Il Suo Lupo Imprigionato. Kristen Strassel

Il Suo Lupo Imprigionato - Kristen Strassel


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quello che avrete, selvaggi.”

      Bene, avremmo combattuto a stomaco vuoto.

      “Chi mandiamo?” chiese mio fratello Dallas una volta che Ryker se ne fu andato, fissando il suo sguardo su di me. I miei fratelli si aspettavano che avessi la risposta, ma era impossibile pensare lucidamente con la catena che mi tagliava la pelle sul collo. La rabbia e la fame mi attanagliavano il corpo. Più guardavo i miei fratelli, meno pensavo di poterli salvare. Non potevo mostrare debolezza, specialmente con i fratelli Lowe abbastanza vicini da sentirne l'odore. Erano anni che ci consideravano dei deboli. Ci avrebbero azzannati con ciò che rimaneva dei loro denti, se ne avessi dato loro la possibilità.

      Dallas abbassò la voce, in modo che solo noi quattro potessimo udirlo: “Decidiamo per la velocità o per la forza?”

      Voleva che dicessi velocità. Il mese prima Ryker lo aveva messo contro Xavier e l'incontro era terminato con la zampa di X sulla gola di Dallas. X non aveva smesso di vantarsene per tutto il mese. Quando erano stati gettati di nuovo nel recinto, entrambi i lupi avevano la pelle scorticata, sanguinavano e respiravano a malapena. Per di più erano incatenati, così da non poter neanche guarire adeguatamente. Non l'avrei definita esattamente una vittoria, ma la vendetta sarebbe stata così dolce.

      La sera prima avevo colpito Dallas. La zampa mi faceva ancora male per la rissa per il cibo. Ryker aveva gettato dei polli nel recinto e quella carne vera ci aveva fatti sbavare tutti e mostrare i denti l'uno contro l'altro, fratelli o no. Ryker ci trattava come bestiame, da macellare in un altro modo.

      “Non ha nessuna fottuta importanza quello che fate”, gridò Xavier ─ no era Major ─ dall'altra parte del recinto. Xavier sapeva che non doveva parlare a nome del fratello maggiore. “Ognuno di noi può fottervi.”

      Major aveva addestrato i suoi fratelli a essere sanguinari, a prendere ciò di cui avevano bisogno e a non guardarsi indietro. Cerca e distruggi. Era una filosofia piuttosto buona, condivisa dalla maggior parte degli uomini-lupo della foresta di Sawtooth.

      I Channing avevano sempre mantenuto l'ordine nella foresta. Per generazioni, la nostra famiglia aveva fatto da pacificatrice. Cacciavamo e uccidevamo, ma non distruggevamo. Quella mentalità non ci rendeva popolari tra i lupi di Sawtooth, ma non avrebbe avuto nessuna importanza cosa pensassero gli altri se fossimo morti.

      Non solo ci stavamo uccidendo a vicenda, ma a Granger Falls nascondevamo la nostra vera natura agli umani. Le storie sui lupi mannari non erano altro che leggende per loro. E il colpo di grazia era che non avevamo possibilità di accoppiarci. Le nostre lupe erano state vendute al miglior offerente. Il resto di noi era stato lasciato a morire, solo e dimenticato.

      Se mai fossimo usciti di lì, mi sarei assicurato che avessimo qualcosa per cui lottare.

      “Io prenderò Major”, ringhiai, tirando la catena per avvicinarmi il più possibile all'alfa dei Lowe. Ne avevo avuto abbastanza di sentirlo negli ultimi sei mesi. Mi sarei divertito a saltargli sopra. “Combatteremo fino alla morte.”

      Ero sceso al suo livello, ma i tempi duri all'inferno avevano quell’effetto anche sul lupo più forte.

      Non si ragiona con nessuno durante una lotta tra cani.

      Archer mi diede una spintarella all’anca con il muso.

      “Voglio sfidarlo io.” Il mio fratello più giovane era rimasto colpito dal mio nome, Shadow, ed era diventato mio non appena era stato abbastanza grande da avventurarsi lontano da nostra madre.

      Major scoppiò a ridere, con la pelle rosa, irritata, visibile dove le catene avevano consumato la pelliccia. Quando comunicavamo nel nostro linguaggio potevamo capirci tra noi, ma uno spettatore umano avrebbe udito solo abbaiare e ringhiare.

      Guardai Archer: era debole, senza possibilità di nasconderlo. Finché non ci avevano catturati non era stato un ostacolo.

      “Hai perso, Shadow, e il tuo cucciolo appartiene a me. Lo renderò uomo. Qualcuno deve pur farlo. Non ho tempo per le stronzate da bambinaia”, ringhiò Major.

      “Non ti seguirà mai.” Mi misi muso contro muso con il mio avversario di tutta una vita. La punta del suo naso era secca e la sua minaccia era vuota. I miei fratelli, dietro di me, erano inquieti. Se mi fossi girato, i Lowes avrebbero capito che la mia famiglia dubitava di me. “Non ho intenzione di perdere.”

      “Nemmeno io.” Un lato del labbro di Major si piegò in un ghigno feroce. “Archie sarà il mio schiavo. Te ne andrai all'inferno con questo peso sulla coscienza.”

      Dopo qualche altro scambio di ringhi e sbuffi, io e Major ci ritirammo ai nostri lati del recinto. Se ne avessimo avuto la possibilità avremmo fatto i conti lì. Quel bastardo di Ryker si era assicurato che le nostre catene fossero troppo corte per danneggiarci a vicenda. Voleva risparmiare quella rabbia repressa per i clienti paganti.

      Quella sera avrebbero speso bene i loro soldi.

      “Mangiate”, sbuffai ai miei fratelli, con i croccantini bloccati nella gola secca.

      “Questa merda?” disse Dallas, dando una zampata ai croccantini. “Questo si fa fatica a chiamarlo cibo.”

      “Non scherzo, fratello. Dobbiamo essere preparati.”

      “Mi lascerai andare dentro?” Archer spalancò gli occhi. “Voglio affrontarlo io.”

      Spinsi più croccantini verso di lui. La sera prima ero stato troppo impegnato a ingozzarmi con il pollo per notare se Archer era riuscito a mangiare qualcosa oltre alle piume attaccate alla lingua. Gli omega mangiano per ultimi e mi vergognavo di non essermi preso cura di lui a così poca distanza dai combattimenti.

      “No,” dissi, “questa è la mia lotta.”

      “Qual è il tuo piano se Ryker ti fa davvero uscire di qui, Shadow?” chiese Baron a bassa voce, per non essere ascoltato dai Lowes. Avevamo compreso molto tempo prima che potevamo fidarci solo tra di noi.

      Guardai Major in cagnesco, esprimendomi abbastanza forte da farmi sentire: “Per abbattere quel bastardo.”

      ***

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      Potevamo essere emaciati e umiliati, ma nessuno ci avrebbe scambiati per mansueti o mediocri mentre venivamo condotti sul ring dallo scagnozzo di Ryker. Tenevamo la testa alta, senza niente da nascondere. Anche in catene eravamo più forti di quei bastardi.

      E così vicini alla libertà.

      L'aria era densa di odore di birra, tabacco e sudore: il pubblico che aveva pagato per vedere la nostra distruzione. Ma non mi importava di loro. Avevo sognato quel momento da quando Ryker e i suoi scagnozzi ci avevano sparato con pistole tranquillanti e fatti prigionieri.

      Ryker ci usava da allora a proprio vantaggio con la sua arena da gladiatori personale.

      Il sangue e pessime scelte erano ciò che faceva riempire le tribune ogni mese. Ogni scontro era differente. Negli ultimi sei mesi eravamo stati condizionati a essere preparati al peggio in ogni momento.

      Ryker passò in rassegna tutti noi sette.

      “Tu.” Tirò la catena di Shea. Merda, Shea non aveva limiti o coscienza. Era stato un pazzo assetato di sangue fin da quando eravamo piccoli. Major doveva tenere a freno suo fratello. Nel branco c’era spazio solo per un alfa.

      Non mi importava contro chi di loro avrei combattuto, ma quella sera sembrava che gli avversari fossero già stati scelti. Ryker odiava i combattimenti alla pari. La folla aveva piazzato le sue scommesse e il bastardo voleva proteggere i soldi del banco.

      “E tu.” Le nostre catene erano aggrovigliate tra loro e tutti e quattro scivolammo in avanti. Ryker sospirò forte, spingendo via uno dei suoi scagnozzi in modo da poter districare le catene, tirandole bruscamente mentre lavorava. Quando le catene si liberarono perdemmo tutti l’equilibrio. Un altro tiro chiarì chi voleva:

      Archer.


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