Folgorazione. Блейк Пирс

Folgorazione - Блейк Пирс


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dal tour di promozione del suo libro nell’arco di pochi minuti, probabilmente prima che fosse andato a letto. Julian doveva essere sicuro di non lasciare alcuna prova del fatto che si fosse concesso il bacon e altri alimenti ad alto contenuto di colesterolo durante la sua assenza. Si ripromise di spruzzare interamente la cucina con del deodorante, per sbarazzarsi del persistente e delizioso profumino.

      Per quanto amasse Sheila, e per quanto fossero sempre stati felici insieme, l’uomo doveva ammettere che si era goduto l’assenza della moglie durante l’ultima settimana. Dopo ben trentacinque anni di matrimonio, non poteva dire di sentire particolarmente la sua mancanza e supponeva che la cosa fosse reciproca. Al contrario, quella separazione si era rivelata un interessante cambiamento, probabilmente per entrambi.

      Era stato un sollievo non dover ascoltare quotidianamente il suo rimprovero, gentile ma insistente, riguardo ai suoi leggeri vizi ed alle sue debolezze. Era riuscito a mangiare ciambelle e pizza, a saltare le sessioni di allenamento in palestra e a godersi del bourbon extra dopo cena.

      Tutto questo sarebbe cessato, al ritorno di Sheila.

      Cogli l’attimo, si disse.

      Tolse il bacon dalla padella e ruppe un paio di uova all’interno del gorgogliante grasso del bacon. Poi, infilò un paio di fette di pane nel tostapane e si versò dell’aranciata. Quando le uova sembrarono pronte, le rovesciò per alcuni secondi e poi le rigirò nuovamente. Soddisfatto dell’impeccabile strato bianco e traslucido, versò le uova in un piatto proprio nell’esatto istante in cui il toast sbucò fuori dal tostapane.

      Dispose il piatto con bacon, uova e toast sul tavolo della cucina, poi si sedette e spalmò del peccaminoso burro sul toast, un altro lusso che avrebbe dovuto dimenticare, al ritorno di Sheila. Quando iniziò a mangiare, si ritrovò a pensare alle sessioni di terapia dell’indomani. Il suo primo appuntamento del mattino era con un ragazzo di nome Dennis Jones, che non riusciva a controllare gli impulsi, tanto da essere stato arrestato per taccheggio.

      Julian aveva fatto del suo meglio per convincere un giudice del fatto che la cleptomania di Dennis fosse una malattia e che non avesse un’origine criminale, una sorta di disordine ossessivo-compulsivo e non un cedimento di carattere morale. Dopotutto, il ragazzo in genere rubava oggetti che non voleva neanche.

      Ma il giudice era ancora incerto su che cosa fare di Dennis; perciò, per poterlo tirar fuori di prigione, Julian avrebbe dovuto fargli cambiare definitivamente comportamento.

      L’indomani avrebbe dovuto persuadere il ragazzo ad aggiungere il naltrexone alle sue medicine, che attualmente includevano fluoxetina e bupropione. Dennis era nevrotico e non particolarmente intelligente. Sebbene non fosse afflitto da depressione o paranoia, alcuni articoli di siti online su cospirazioni l’avevano convinto che il governo stesse utilizzando la medicina psichiatrica per controllare la mente. Julian sperava che quel giorno sarebbe riuscito a fargli comprendere come quell’idea fosse ridicola.

      Julian grugnì infastidito, per la seccatura che questo genere di situazioni stava causando.

      Di certo internet non mi ha facilitato il lavoro, pensò.

      A suo parere, i social network e le altre attività online stavano danneggiando la salute mentale dell’intera società. Sheila si era adattata bene a tutta questa novità digitale, ma talvolta Julian si sentiva come una reliquia di tempi più semplici e assennati.

      Cosa ancora peggiore, sapeva bene che i suoi colleghi più giovani lo consideravano una sorta di vecchio bacucco che non riusciva a stare al passo con i cambiamenti nel mondo. Non vedeva l’ora di andare in pensione, ma mancavano ancora due o tre anni.

      Mentre si gustava lo spuntino, si ritrovò ad invidiare Sheila, che era riuscita a mettere da parte la sue sessioni di terapia di famiglia, dopo aver scritto un bestseller in merito agli stessi problemi che tormentavano Julian. E ora viaggiava intorno al mondo, parlando e tenendo conferenze e firmando libri, crogiolandosi generalmente nell’ammirazione del pubblico.

      Dev’essere bello, Julian pensò.

      Ma era determinato a non cedere alla gelosia. Dopotutto, i diritti editoriali di Sheila avrebbero migliorato di gran lunga la vecchiaia di entrambi. Ed era felice che lei si stesse godendo la sua nuova vita.

      Julian finì di mangiare e mise piatto, bicchiere e posate nel lavandino. Aveva appena iniziato a lavarli, quando gli parve di sentire un rumore, oltre al suono prodotto dall’acqua che scorreva. Chiuse il rubinetto e si mise ad ascoltare.

      Sheila era rincasata prima del previsto?

      In quel caso, non avrebbe potuto nascondere l’odore del bacon fritto.

      Beccato, pensò.

      Avrebbe semplicemente dovuto sfoggiare un grosso sorriso imbarazzato, ammettendo il suo comportamento ribelle. Sheila si sarebbe dimostrata scontrosa, ma non scortese. Avrebbero entrambi riso bonariamente, mentre lui avrebbe fatto promesse per il futuro che sicuramente non avrebbe mantenuto.

      Restò ad ascoltare per un istante, ma non sentì alcunché. Convintosi che i sensi di colpa e la sua immaginazione gli avessero giocato un brutto tiro, finì di lavare i piatti. Mentre si asciugava le mani, un altro rumore catturò la sua attenzione.

      Stavolta era certo che non fosse il frutto della sua immaginazione.

      “Sheila?” gridò.

      Non ci fu alcuna risposta.

      Si diresse in soggiorno e si guardò intorno. Non c’era nessuno. Ma era sicuro di aver sentito qualcosa.

      Tornò nell’ingresso e vide che la porta che conduceva allo studio di Sheila, al piano di sotto, era chiusa.

      A quel punto si allarmò.

      Forse Sheila era entrata e aveva sentito l’odore del bacon, e, invece di reagire con bonaria irritabilità, si era infuriata con lui, chiudendosi nel suo studio. Quel genere di comportamento non era esattamente da lei, ma, se il suo viaggio non fosse stato piacevole, avrebbe potuto essere più irritabile del solito.

      L’uomo si diresse allora alla porta dello studio e bussò.

      “Sheila, sei qui dentro?” chiese.

      Ancora una volta, non ci fu alcuna risposta. Per un momento, Julian restò immobile e confuso. Qualcuno era davvero entrato in casa? Era certo di non aver immaginato quei rumori. Ma non c’era alcuna valigia lì in corridoio.

      Era possibile che Sheila avesse portato le valigie nello studio e che si fosse chiusa la porta alle spalle, e ora non volesse neppure parlargli?

      Sarebbe stato sciocco, naturalmente. E sapeva che il solo averlo immaginato meritava una diagnosi di nevrosi.

      Scuotendo il capo divertito dalle sue stesse congetture, aprì la porta dello studio ed entrò. Ad un primo sguardo, vide che il luogo di lavoro di Sheila, tipicamente immacolato, tanto diverso dal caos del suo ufficio al piano superiore, era intatto e vuoto.

      Forse è andata di sopra, pensò.

      Ma in quel caso avrebbe sentito con chiarezza i rumori prodotti dai movimenti nella casa. Era molto più probabile che la sua immaginazione gli stesse facendo degli scherzi.

      Improvvisamente, sentì un rumore alle sue spalle, nel corridoio proprio fuori dallo studio. Sembrava un lieve rumore di rapidi passi. Prima di riuscire anche solo a voltarsi, fu afferrato per le spalle e bloccato in una morsa. Una mano forte pressò un pezzo di stoffa bagnato sul naso e sulla bocca.

      Julian riconobbe immediatamente il sapore e l’odore pungenti dalla preparazione medica.

      Cloroformio!

      La sua mente reagì prima del corpo, che non era ancor stato assalito dal panico. Sapeva di essere in grave pericolo, ma semplicemente non lo avvertiva.

      Si agitò solo per breve tempo, senza neppure rendersi conto di aver ribaltato la lampada della scrivania.

      E nell’arco di pochi istanti, non fu più consapevole di nulla.

      CAPITOLO UNO

      Riley Sweeney sentì una goccia di sudore scorrere da un sopracciglio. La sua mano tremò, mentre si asciugava


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