Scherzi Dei Vicini. Marco Fogliani

Scherzi Dei Vicini - Marco Fogliani


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      “Beh, se ci pensi bene medici ed infermieri sono un bel numero, se è per questo. Comunque, se devo dirti la verità, ho la netta sensazione che tu abbia voluto incastrarmi, e che ci sia riuscita perfettamente.”

      “Ed io ho la netta sensazione che non ti sia dispiaciuto affatto di essere stato incastrato da me; anzi, che ti sia piaciuto molto. Mi sbaglio?”, cinguettò.

      Feci cenno di sì col capo.

      “Su questo hai perfettamente ragione. Però”, aggiunsi dopo una pausa, “non mi hai ancora spiegato perché hai scelto di incastrare proprio me.”

      “Te lo stavo dicendo. Ti stavo dicendo della mia malattia, che non è l’AIDS e che non è contagiosa. Ti stavo per dire che per via di questa malattia non dovrei rischiare neanche per sbaglio di avere figli.”

      “Mi stai dicendo che siccome non rischi di concepire un figlio ti puoi dare da fare come e quando ti pare con chiunque? Beh, visto che mi hai definito un farfallone, permettimi di farti di osservare che il tuo è un atteggiamento diciamo, a dir poco … libertino!”

      “No, no. Non ci siamo capiti. Sto cercando di dirti tutto il contrario. Mi hanno detto che, nel caso in cui rimanessi incinta, la mia salute e la mia vita sarebbero in gravissimo pericolo. Per questo motivo non dovrei rischiare in nessun modo di avere una gravidanza.”

      “Stai scherzando, spero! E me lo dici così, dopo quello che abbiamo fatto insieme stanotte? Mi fai sentire come se fossi un potenziale assassino, che per di più sta chiacchierando tranquillamente con la sua vittima.”

      “E’ per questo che non te l’ho detto ieri: perché altrimenti non l’avresti fatto.”

      “Sicuro che no. Ma a questo punto mi chiedo perché tu abbia voluto farlo.”

      “Non saprei esattamente. L’ho sempre evitato, pensando che la mia vita e la mia salute fossero il bene più importante da difendere e da salvaguardare. Ma da quando è morta la mamma mi sono chiesta: non avrò sempre sbagliato tutto? Noi, le sue figlie, eravamo tutto per lei, il bene più importante in assoluto. Mi è stata vicina per tutta la vita, si può dire dalla mia nascita alla sua morte. E così dovrebbe essere sempre. Che cos’è la vita di una donna se non ha dei figli? Non deve essa vivere per loro ed in funzione loro, e magari dare la propria vita per loro? E non valgono essi più della sua stessa vita? Di che vita, poi. Una vita come la mia, che non serve a nulla e a nessuno, e che non riesce a tirare avanti da sola. Almeno se mettessi al mondo un bimbo la mia vita avrebbe un senso, un significato. Sarebbe valsa a qualcosa.”

      Dicendo queste parole scoppiò in lacrime. Io l’abbracciai, stringendola forte a me, tentando di consolarla.

      “No, dai. Non devi pensare queste cose. Pensa che adesso ci sono anch’io, e che la tua vita per me è importantissima, così come vorrei che lo fosse la mia per te. Devi vivere per me, se pure non vuoi farlo per nessun altro, perché adesso che ti ho conosciuto io ho bisogno di te, e sento che di te non potrei più fare senza.”

      Non so dirvi quanto continuò a piangere la mia povera Chiara. Credo almeno un quarto d’ora. Smise solo quando udimmo suonare il citofono, accompagnato dagli schiamazzi e dal vociare di alcuni bambini.

      “E’ mia sorella. Non ti avevo detto che sarebbe venuta stamattina e saremmo andati insieme in chiesa?”

      No, non me lo aveva detto.

      Mentre ci ricomponevamo e ci asciugavamo le lacrime, l’avanguardia di tre maschietti di diverse dimensioni fece irruzione correndo per la casa, attratta irresistibilmente da una Ketty scatenata ma meno impaurita di quanto sarei stato io al suo posto.

      Pensai che fosse una fortuna che io e Chiara ci fossimo già rivestiti, altrimenti chissà cosa avrebbe pensato sua sorella. Ma lei aveva capito tutto ugualmente.

      “Chiara! Non ti si può lasciare sola una notte, che tu inizi ad amoreggiare col tuo nuovo vicino di casa. Avete passato la notte insieme, vero?”

      Chiara non tentò neanche di dire una bugia: “Sì”.

      “Ma non gli hai detto dei pericoli che correresti se rimanessi incinta?”

      “Sì, me lo ha detto … ma dopo”, dissi io adottando la stessa condotta super-sincera della mia amata. Nel frattempo presi Chiara per mano, per farle sentire la mia vicinanza, e per farle capire che io sarei rimasto comunque e sempre dalla sua parte.

      “Beh, spero che la cosa non si ripeterà più. Me lo promette, signor?”

      “Amilcare. Sì, glielo prometto. Non accadrà più.”

      Ma stavolta mentii spudoratamente: sapevo infatti, come poi accadde, che sarebbe successo ancora tante e tante altre volte, quasi tutte le notti possibili, anche se con tutte le dovute precauzioni.

      “Però devo dire che sembrate una bella coppietta, insieme”, concluse poi la sorella di Chiara. “E adesso sbrighiamoci, che tra venti minuti inizia la messa. Tu Chiara sei pronta?”

      “Sì”, rispose lei.

      “Ti posso accompagnare?”, le chiesi io, sempre tenendole la mano.

      “Naturalmente. Non puoi , ma devi . E guai a te se non lo fai”, mi intimò la mia ragazza, sempre nel suo simpatico tono scherzoso.

      Purtroppo nella vita spesso le cose belle sono destinate a durare poco. E così anche la nostra bellissima storia d’amore si interruppe presto, dopo neanche sei mesi.

      Per lavoro andavo spesso in trasferta, tornando solo nel fine settimana; ma quando ero a casa io e lei stavamo sempre insieme, fossimo da soli col cane, o ci fosse anche la Giordana, o sua sorella Ginevra con la sua famiglia, o chiunque altro. Volevamo goderci il più possibile la nostra reciproca compagnia, forse timorosi che per qualche motivo quel sogno - la nostra bella fiaba - potesse svanire da un momento all’altro.

      Ed infatti dopo due mesi fui comandato in trasferta all’estero, in missione vicino ad una nazione un po’ troppo bellicosa. Purtroppo non riuscii ad evitarlo. Sarebbe durata sei mesi; ma sarebbe stata anche la mia ultima trasferta lunga; dopo di che, avevamo già deciso, ci saremmo sposati, anche per fare in modo che io potessi restarle più vicino e a pieno titolo, come viene abitualmente concesso ad un marito per la moglie.

      Ed invece lei non riuscì ad aspettare il mio ritorno. Se ne andò quasi all’improvviso, mi dissero, ed io non ebbi modo neanche di accompagnarla al cimitero.

      Quando rividi sua sorella, con cui ormai ero entrato in buoni rapporti, dopo esserci abbracciati e scambiati le condoglianze mi disse, con lo stesso tono scherzoso che usava spesso Chiara e che era evidentemente una caratteristica di famiglia:

      “Ti è andata bene: dalle ultime analisi che aveva fatto sembra che non fosse incinta. Altrimenti avresti fatto meglio a salire sul tuo aereo e a non farti più vedere da queste parti. Però secondo me” aggiunse, “lei è morta comunque per causa tua: per il troppo amore. Troppo amore, tutto insieme, tra voi due. E non ce l’ha fatta.”

      Sembrava che scherzasse, ma forse diceva sul serio. E mi abbracciò di nuovo con affetto.

      IL TAPPETINO CHE SAPEVA VOLARE

      Eh, non son più i bei tempi di una volta! Nessuno purtroppo crede più alle favole, salvo forse i bambini più piccini. Né, vorrei aggiungere, la gente sa dare il giusto valore alle cose o sa riconoscere ciò che davvero merita rispetto.

      Non dico di quando ero giovane io: a quei tempi vedevo, più volte al giorno, qualcuno inginocchiarsi con devozione ed animo pio; ed ogni volta mi sentivo sfiorare con le guance quasi per un bacio affettuoso e di rispetto. Allora sì, si sapevano distinguere la seta dalla lana e dal cotone, ed io nella mia casa ero doppiamente considerato il bene più prezioso, sia per la mia raffinatezza che per il mio sacro incarico. E naturalmente nessuno osava portare scarpe in mia presenza.

      Ma senza andare così indietro, mi basta ripensare a nonna Ida per provare nostalgia e malinconia per i tempi andati. Ricordo con quale delicatezza mi strofinava


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