Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo

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      Gl’imponeva o almeno così gli parve di dover definire il rispetto che gl’impediva di notare quanto di falso, di affettato ci fosse nel suo contegno. Quando Macario per la prima volta gliel’aveva descritta, quella donnetta che si era sentita nascere improvvisamente una vocazione aveva destato la sua ilarità, per quanto da questa vocazione egli venisse avvantaggiato. Era ridicolo anche quell’apparato, quei preparativi per formare a sé d’intorno una società letteraria, e se egli non ne rideva non era per il nuovo suo sentimento. Egli scorgeva con facilità il lato ridicolo o falso nelle opere altrui, ma spesso gli accadeva di non saperne ridere perché per la soggezione in cui con facilità lo tenevano persone a lui del resto inferiori finiva col dubitare di sé, della giustezza del proprio sentimento o del proprio giudizio. Anche qui non si trattava d’altro. In Annetta gl’imponeva la mancanza di dubbî, la sicurezza, l’incuria dell’impressione che potesse produrre in altri il suo contegno, infine l’aspetto di superiorità da persona che non si sente diminuita da nessuna inferiorità e magari nella stessa cosa in cui vuole eccellere, inferiorità di solito avvilente.

      Prarchi parlò di un suo romanzo naturalista.

      — Rimarrò medico — diceva — anche essendo romanziere. Si tratta di studiare un lento corso di paralisi progressiva. I medici cominciano a studiarla quando è già completa; io invece allora l’abbandonerò. La studierò nel suo formarsi. Carattere da paralitico, organismo da paralitico, idee da paralitico e che arrechino dei disturbi alle persone che lo contornano e... il romanzo è fatto.

      — Sì — esclamò Annetta — il romanzo sì, ma il successo?

      Ad Alfonso, che ne aveva qualche pratica, parve di poter arguire dalla descrizione di Prarchi che del romanzo ch’egli descriveva nulla ancora avesse fatto e che anzi giusto allora ne avesse avuto la prima idea.

      Prarchi era un giovane forte senz’esser grasso. Non bello, aveva la testa grande quasi calva e sul largo volto piccoli mustacchi di un biondo troppo chiaro.

      Fumigi avrebbe dovuto riuscire più simpatico ad Alfonso e prima di tutto perché quella sera dirigeva di preferenza a lui la parola. Ciò però avveniva soltanto perché parlava malvolentieri ad alta voce e stava piuttosto cheto, la personcina magra poggiata allo schienale della seggiola, ascoltando attento e dicendo la sua parola di rado a bassa voce e diretta al suo vicino. I capelli della testa aveva grigi, dei mustacchi e della barbetta ancora neri.

      Alfonso penava per mettere la sua parola nel discorso generale e non gli riusciva. Fino ad allora Annetta aveva dovuto ammetterlo per letterato sulla raccomandazione di Macario. Egli non aveva saputo darne alcuna prova. Proprio quando si era sul punto di congedarsi comparve Francesca. Era pallida ma tranquilla. Strinse con effusione la mano ad Alfonso e gli chiese notizie di casa sua. Alluse con un sorriso, che ad Alfonso parve triste, alla lettera ch’ella aveva scritta alla signora Carolina. Sapeva dunque dell’incarico da lui ricevuto da Maller.

      Annetta le rivolse la parola dandole del lei e Alfonso cercava di rammentarsi se prima non le avesse udite trattarsi con maggior famigliarità.

      Sulle scale, alla domanda fattagli da Prarchi sulla ragione che poteva aver fatto desiderare alla signorina Francesca di abbandonare la casa Maller, Macario rispose:

      — Donne!... — con grande disprezzo.

      Da allora Alfonso fece visita ad Annetta regolarmente ogni mercoledì. Macario lo aveva avvisato che poteva avvenire che un mercoledì o l’altro trovasse Annetta con opinioni e gusti del tutto mutati e la letteratura abbandonata, ciò che avrebbe significato anche la cessazione di quelle riunioni. Alfonso vi andava temendo di trovare avverata la predizione di Macario. Ci teneva molto a quella riunione altrettanto per la soddisfazione di vedere Annetta che per quella della sua vanità. In ufficio si sapeva che egli frequentava la casa del principale e veniva trattato con maggiore rispetto dai superiori. Anche il contegno di Cellani ne venne modificato. Più gentile non poteva divenire ma divenne più famigliare.

      Non pareva che Annetta fosse vicina a dare compimento alla profezia di Macario e sempre più si esaltava per i suoi nuovi studî. Ogni settimana poteva raccontare di aver pensato qualche cosa di artistico, letto qualche libro che con le esagerazioni del neofita ella dichiarava il più importante nel genere, quando, per capriccio o avendovi scorto una parte più debole, non lo demoliva, e ciò sempre col suo abituale tono di competenza, ma spesso trovando detti spiritosi o giudizî acuti che non avevano che il difetto di non trovarsi tutti in buona armonia fra di loro.

      Ospite insolito una sera venne Cellani. Era probabilmente la prima volta che compariva in quella compagnia perché Annetta dovette presentargli Spaiati. Non si trovò a disagio da quanto Alfonso poté giudicare. Non parlò affatto ma stette a udire con grande attenzione. Una volta in una discussione venne chiesto del suo parere. Egli si rifiutò a dirlo sorridendo e asserendo di non averne. Con Annetta sembrava avesse rapporti molto amichevoli. Per quella sera ella si occupò principalmente di lui con cortesia attenta tanto, che diveniva dimostrazione di un affetto rispettoso.

      Prarchi interveniva meno spesso a quelle serate perché molto occupato. Fumigi mancava di rado, ma il più assiduo era Spalati. Come l’aveva detto Macario, Spalati era anzitutto un bell’uomo, una figura erculea accanto alla quale Alfonso pur alto e non magro doveva scomparire. Ad Alfonso non era simpatico. Rimproverava a Spalati la pedanteria, ma l’odiava per gelosia. Ne aveva qualche ragione. Spalati era il più innanzi nella confidenza di Annetta. Per circa un anno le aveva impartito delle lezioni di letteratura italiana e aveva saputo arrivare ad avere con essa la confidenza dell’insegnante, senza seccarla con troppa dottrina. La lasciava parlare, stava ad ascoltare, approvava o leggermente modificava, sempre contento di venir trattato da pari a pari.

      Sentendosi sempre inferiore con la sua parola impacciata, Alfonso ebbe degli assalti violenti di gelosia, tempeste in un bicchier d’acqua. Al di fuori nulla trapelava per la forzata abituale sua riserva nell’espressione dei suoi sentimenti, la quale tanto maggiore diveniva quanto più forti erano.

      Una sera se ne andò via prima dicendo di essere indisposto. Voleva dimostrare il suo malumore e si adirò che nessuno lo comprendesse, che tutti credessero nella sua malattia.

      Gironzò per le vie della città malcontento degli altri e di sé. Avendo l’abitudine quando era agitato di monologare, doveva accorgersi del ridicolo che c’era nella sua ira. Anche nel sogno più astratto una parola precisa pronunziata richiama alla realtà. Egli era giunto a desiderare Annetta, amarla, esserne geloso; ella invece sapeva appena appena quale suono avesse la sua voce. Con chi doveva prendersela? Lo aveva offeso più di tutto la stretta di mano di congedo ch’ella gli aveva dato freddamente e tenendo gli occhi rivolti a Spalati che continuava a parlare! Avrebbe forse voluto ch’ella si mettesse a meditare sulle cause dell’improvviso pretestato malessere? Un malessere infine non poteva dire nulla quando prima nulla era stato detto per spiegarlo. Poteva capitare a Spalati e andandosene neppure costui avrebbe potuto ottenere altro che l’augurio di buona salute.

      Ironizzando su se stesso si trovò piccolo e malaticcio coi suoi desiderî tanto sproporzionati al possibile, perché egli aveva sognato di venir amato da Annetta!

      Voleva abbandonare il giuoco! Era l’unica via che gli restasse aperta. Non avrebbe fatto più di quelle visite! Era tempo perduto, prima quello che passava in quella casa e poi dell’altro fuori, per l’agitazione in cui quelle visite lo ponevano. Lo avvilivano! S’era messo in una lotta in cui doveva soggiacere, lui non capace di parlare per piacere ma solo per farsi comprendere, e doveva soggiacere anche per le condizioni in cui si trovava poco atte a sedurre della gente ambiziosa come era quella con cui aveva a fare. Con una scusa qualunque, anzi procurando di non farla credibile, si sarebbe astenuto dal rimettere più piede in casa Maller. Erano quelle visite che lo avevano fatto deviare dai suoi propositi ferrei di lavoro continuato e senz’accorgersene l’ambizione, nata in lui da poco, andava mutandosi in vanità, il desiderio di venir tenuto da più di quanto non fosse.

      Gli parve di essere già ritornato alla serietà di propositi che aveva avuta altre volte quando era frequentatore assiduo della biblioteca civica, ma col pensiero


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