Italo Svevo: Opere Complete - Romanzi, Racconti e Frammenti. Italo Svevo
— Senti, — disse Alfonso cui nella sua debolezza l’ira aveva spinto il sangue con grande veemenza alla testa, — se tu arrivi ad uscire di questa stanza, ti prevengo che considero rotta ogni trattativa fra noi.
Creglingi s’inalberò e disse che negli affari egli non aveva riguardi e non cedeva ad alcuna pressione:
— Gli affari non si concludono mica così su due piedi!
Faldelli, venuto solo, trovò Alfonso ancora nell’ira. Senza leggere il contratto che Faldelli aveva portato seco, Alfonso firmò immediatamente e quantunque tanta fretta non gli venisse domandata. Alcune clausole furono riempite più tardi e trovando il suo contraente tanto pronto, Faldelli diminuì la sua offerta. I mobili, diceva, erano più vecchi di quanto egli avesse creduto.
Quantunque avesse appreso che il contratto era stato già firmato, Creglingi venne da lui ancora una volta e con lo scopo aperto di fargli dispiacere. Due o tre volte gli disse che se gli si avesse dato il tempo necessario per riflettere egli avrebbe pagato molto di più. Quest’asserzione lasciò Alfonso tranquillo e sorrise con disprezzo, ma Creglingi interpretò questo disprezzo in modo che Alfonso non avrebbe voluto.
— Già, — mormorò avvilito vedendo che la questione del denaro non toccava Alfonso, — a te la cosa che più importava era di fare un dispetto a me.
Alfonso non si difese perché riconosceva che, in qualunque modo si fosse comportato, l’inimicizia di quell’individuo ci avrebbe trovato ragione ad aumentare. Si divisero bruscamente per non rivedersi mai più.
Rivide Rosina e provò un senso di ripulsione come se si fosse imbattuto in Creglingi stesso. Fece uno sforzo per vincersi; non volle identificarla al suo promesso sposo e le fece un saluto sorridente. Si levò il cappello per abbondare anche in cortesia. I grandi occhi neri di Rosina si allargarono dalla meraviglia ed ella salutò esitante. Era certo che quella forma di saluto non sarebbe divenuta mai famigliare in villaggio.
Qualche giorno prima della sua partenza, Mascotti lo pregò di andare a fare una visita d’addio alla sua figliuola, ma Alfonso non vi andò quantunque glielo avesse promesso. Non serbava rancori, ma gli seccava di andare a udire sciocchezze o villanie. Mascotti divenne molto freddo verso di lui e non fu che l’ultimo giorno che si rasserenò.
Quel giorno Faldelli portò tutti i denari, un franco sull’altro, come egli diceva. Mascotti voleva andarsene, ma Faldelli ch’era giunto inatteso lo pregò di rimanere per assistere allo scambio dei documenti. Versò, invece di dodicimila franchi, novemila soltanto e, in luogo dei mancanti, consegnò una ricevuta di Mascotti con diversi allegati. Nella prima sorpresa, Alfonso alquanto offeso chiese a Mascotti perché non avesse atteso d’incassare da lui la somma che gli era dovuta. Mascotti alquanto confuso dichiarò che aveva agito così per evitare a lui delle seccature e Alfonso ebbe il tempo necessario per convincersi che sarebbe stato indecoroso di perdere una sola parola a lagnarsi dell’elevatezza della somma prelevata e non esaminò gli allegati che allorché si trovò solo.
V’erano i conti del farmacista, la maggior parte, quantunque tutti insieme non arrivassero a formare oltre qualche centinaio di franchi, poi una ricevuta di Giuseppina per una somma che Alfonso non trovò superiore a quella ch’ella poteva credere di aver meritata, una ricevuta di Frontini per un importo che avrebbe fatto sorridere dal disprezzo il più misero mediconzolo della città. Ultimo un piccolo bollettino di Mascotti che doveva giustificare la mancanza del resto, ben più della metà. V’erano due parole in matita delle quali Alfonso non seppe decifrare che una: “Tutela” e poi la cifra.
Parve che il contegno di Alfonso fosse piaciuto a Mascotti perché, senz’esserne stato invitato, volle accompagnarlo nella visita che, prima di partire, Alfonso fece al cimitero:
— Lasciarla solo in quel luogo, col suo dolore? Non ne ho la coscienza!
La sua presenza contribuì a togliere ad Alfonso la commozione. L’aveva attesa e fu sorpreso di non venirne colto. Stava là immobile dinanzi al monticello di terra nuda, la tomba della madre, mancante ancora del sasso ch’era stato commesso, e si trovò tanto freddo che cercò di scusarsi verso se stesso. Che cosa v’era là sotto? Un corpo distrutto che forse non portava più neppure la traccia di chi lo aveva abitato. Questo chi, anima o forza occulta, la fede dei filosofi, non era in quella tomba.
Il cimitero era disposto come un altro campo qualunque, recintato da un muro. Le tombe, per la maggior parte fornite di piccole croci di pietra, erano disposte regolarmente una dietro all’altra con le iscrizioni verso la strada maestra cui il cimitero volgeva uno dei lati più corti. Sembrava un campo oblungo su cui l’aratro avesse fatto i solchi lunghi, regolari. Era diviso da una sola viuzza che conduceva a una piccola cappella posta rimpetto all’ingresso.
La tomba del vecchio Nitti era vicina all’entrata, ma per due file di tombe distante dalla via divisoria. Per arrivarci, Alfonso dovette camminare su quelle tombe. Giunse dinanzi a un sasso levigato con suvvi il nome del medico e gli anni della sua nascita e della morte. Quante lagrime Alfonso non aveva sparse su quella tomba! Quanto semplici e quanto vivaci erano stati i suoi sentimenti alla morte del padre!
La sera prima della partenza, Giuseppina gli raccontò che Faldelli l’aveva presa al suo servizio e che le aveva descritto quanti mutamenti egli volesse fare nella casa. Il nuovo padrone avrebbe utilizzata quell’abitazione meglio di quanto non avessero saputo fare i Nitti. Intanto la parte che i Nitti avevano completamente abbandonata doveva essere per lui la più utile: — Nelle mani di costoro, — aveva detto a Giuseppina, — questo era un capitale morto. — Ciarlava volontieri dei suoi piani come tutti gli uomini intraprendenti.
Alfonso venne quasi cacciato dalla casa. Alla mattina alle quattro lo svegliò il Faldelli in persona e lo avvisò che gli avrebbe permesso di continuare a dormire e che veniva soltanto a chiedergli di poter accatastare in quella camera tutti i mobili che c’erano nella casa. Alfonso si alzò e prima di recarsi alla stazione stette per una mezz’ora a guardare gli operai che trasportavano in quella camera dei mobili ch’egli neppure rammentava che più esistessero.
— La vuole lei? — chiese Faldelli porgendogli una pipa lunga, di legno, con una testa di schiuma.
Egli la riconobbe. Il padre non l’aveva usata negli ultimi anni di sua vita e perciò era un ricordo dei più begli anni, quando in casa i genitori avevano avuto la salute e lui la prima gioventù. Non l’accettò per superbia, ma volle mostrarsi riconoscente a Faldelli e si congedò da lui stringendogli affettuosamente la mano. L’altro fu gentile ma distrattamente, e tutto ad un tratto lo abbandonò per lanciare una bestemmia e un calcio a un contadino che movendo il tavolo aveva rotto una lastra della porta. Alfonso sorrise vedendo che quando Faldelli si stendeva tutti i vestiti gli divenivano troppo corti; abitualmente vi si teneva raggrinzito.
Durante il viaggio Alfonso rimase sempre solo nella sua terza classe.
Ad una stazione intermedia udì delle voci di persone che litigavano. Guardò dallo sportello e vide un individuo vestito molto male che con un solo balzo usciva da un carrozzone. Ne era stato gettato fuori, e il conduttore raccontò ad Alfonso che non aveva pagato il passaggio e che per bontà non lo si era fatto arrestare.
Quando il treno si mosse, il povero diavolo era ancora al medesimo posto pulendo con la manica il cappello logoro che nel salto gli era caduto a terra. Guardava dietro al treno con intenso desiderio. Che cosa avrebbe fatto in quel villaggio nel quale capitava per caso e ove non conosceva nessuno?
R
XVII
L’arrivo in città fu triste. Mentre fuori fioccava la neve bianca e allegra, dal mare soffiava lo scirocco e in città piovigginava monotonamente. Alfonso ebbe il triste sentimento che quel tempo non avesse più a cessare. Non erano nubi distinte su quel cielo, ma fino all’orizzonte un solo strato grigio sucido.
Stava per uscire dalla stazione quando venne fermato da Prarchi accorso correndo e che nella fretta, quantunque si trovasse al coperto, aveva dimenticato di chiudere l’ombrello.
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