Fatalità. Ada Negri
un mondo immenso.
Da le nubi squarciate io vedo il sole
Cinger, nudo e ridente,
Il suol ricco di mirti e di viole
In abbraccio possente;
E dai fieni falciati, e da le messi
Mareggianti all'aperto,
Da le chiome de l'elci e dei cipressi,
Da l'arido deserto,
Dai grandi boschi urlanti al vento iroso
Con grido appassionato,
Dal fremito d'amor voluttuoso
Che ravviva il creato,
Sento, sento salir coi voli erranti
D'aligere sperdute
Soffi larghi, novelli e trionfanti
Di forza e di salute.
E non più sangue, non più sangue allaga
La dolorosa terra,
Non più, feroce ed inflessibil maga,
Spiana il fucil la guerra;
Ma tutto il mondo è patria e tutti un santo
Entusiasmo avviva,
E di pace solenne e mite un canto
Vola di riva in riva.
Non più il pazzo furor de la mitraglia
Eruttano i cannoni,
Non più volan fra mezzo a la battaglia
Le belliche canzoni;
Fuma il vapor; rompe l'aratro il cuore
A le zolle feraci,
Rimbomba de le macchine il fragore,
Rosseggian le fornaci;
E sul ruggito leonino e rude
De la terra in fermento
Libertà le sue bianche ali dischiude
Fiera squillando al vento.
[pg!12]
VA L'ONDA....
Fra l'alte rive, irrefrenata e cieca,
Va l'onda, e piange.—Il plumbeo cielo ascolta.
Non ha sorrisi la quieta vôlta.
Non l'aura un soffio ne la notte bieca.
Va l'onda, e piange. E nel suo grembo porta
E via trascina con mestizia greve
Il giovin corpo inanimato e lieve
D'una leggiadra suicida smorta.
Va l'onda, e piange.—In quel lamento accolto
È l'eco d'un mister torbido e strano;
Da quel pianto s'eleva il grido umano
D'un disperato amor vinto e travolto.
[pg!13]
BIRICHINO DI STRADA
Quando lo vedo per la via fangosa
Passar sucido e bello,
Colla giacchetta tutta in un brandello,
Le scarpe rotte e l'aria capricciosa;
Quando il vedo fra i carri o sul selciato
Coi calzoncini a brani,
Gettare i sassi nelle gambe ai cani,
Già ladro, già corrotto e già sfrontato;
Quando lo vedo ridere e saltare,
Povero fior di spina,
E penso che sua madre è all'officina,
Vuoto il tugurio e il padre al cellulare,
Un'angoscia per lui dentro mi serra;
E dico: «Che farai,
Tu che stracciato ed ignorante vai
Senz'appoggio nè guida sulla terra?...
De la capanna garrulo usignuolo,
Che sarai fra vent'anni?
Vile e perverso spacciator d'inganni,
Operaio solerte, o borsaiuolo?
L'onesta blusa avrai del manovale,
O quella del forzato?
Ti rivedrò bracciante o condannato,
Sul lavoro, in prigione, o all'ospedale?...»
.... Ed ecco, vorrei scender nella via
E stringerlo sul core,
In un supremo abbraccio di dolore,
Di pietà, di tristezza e d'agonia:
Tutti i miei baci dargli in un istante
Sulla bocca e sul petto,
E singhiozzargli con fraterno affetto
Queste parole soffocate e sante:
«Anch'io vissi nel lutto e nelle pene.
Anch'io son fior di spina;
E l'ebbi anch'io la madre all'officina,
E anch'io seppi il dolor.... ti voglio bene.»
[pg!17]
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