I Bianchi e i Neri: Dramma. Francesco Domenico Guerrazzi
ogni persona, e molte sozze e rigide cose facevano; e molti ne faceano uccidere e ferire, e per tema di loro nessuno ardia lamentarsi. Seguitoe che certi giovani della detta casa li quali teneano la parte Bianca, ed altri giovani della detta casa i quali teneano la parte Nera, essendo a una cella ove si vendea vino, et avendo beuto di soperchio, nacque scandalo intra loro giucando; onde vennero a parole, e percossonsi insieme, sì che quello della parte Bianca soprasteo a quello della parte Nera, lo quale avea nome Dore di messer Guglielmo, uno dei maggiori della casa sua, cioè della parte Nera. Quello della parte Bianca che lo avea battuto, avea nome Carlino di messer Gualfredi, pure dei maggiori della parte Bianca. Onde vedendosi Dore essere battuto et oltraggiato, e vitoperato dal consorte suo, e non potendosi quivi vendicare, però ch'erano più fratelli a dargli, partissi, e pruoposesi di volersi vendicare; e quel medesimo dì, cioè la sera a tardi, stando Dore in posta, uno dei fratelli di detto Carlino che aveva offeso lui, che aveva nome messer Vanni di messer Gualfredi, et era giudice, passando a cavallo in quel luogo dove Dore stava in posta, Dore lo chiamò, et egli non sapendo quello che il fratello gli aveva fatto, andò a lui, e volendogli Dore dare di una spada in su la testa, messer Vanni per riparare lo colpo parò la mano: onde Dore, menando, gli tagliò il volto e la mano per modo, che non ve gli rimase che il dito grosso. Di che messer Vanni si partio, et andonne a casa sua; e quando lo padre e' fratelli e gli altri consorti lo videro così fedito, n'ebbero grande dolore, però ch'egli era, come detto è, dei migliori del lato suo: ed anco perchè colui che lo aveva fedito era quello medesimo intra quelli del suo lato; di che tutti gli amici e parenti loro ne furono forte malcontenti. Lo padre di messer Vanni e i fratelli pensarono per vendetta uccidere Dore, e il padre e i fratelli e consorti di quello lato. Eglino erano molto grandi e molto imparentati, e coloro gli temeano assai, e tanta paura aveano di loro, che per temenza non usciano di casa. Onde vedendo il padre, e' fratelli, e' consorti di Dore che li convenia così restare in casa, credendo uscire della briga, deliberarono di metter Dore nelle mani del padre e dei fratelli di messer Vanni che ne facessono loro piacere; credendo che con discrezione lo trattassono come fratello: dopo questa deliberazione ordinarono tanto che feciono pigliare Dore, e così preso, lo mandarono a casa di messer Gualfredi e del fratelli di messer Vanni, e miserlo loro in mano. Costoro, come spietati e crudeli, non riguardando alla benignità di coloro che gli lo avevano mandato, lo misono in una stalla di cavalli, e quivi uno dei fratelli di messer Vanni gli tagliò quella mano con la quale aveva tagliato quella di messer Vanni, e diedegli un colpo nei viso in quel medesimo lato dov'egli aveva fedito messer Vanni, e così fedito e dimozzicato lo rimandarono a casa del padre. Quando lo padre, e' fratelli, e' consorti del lato suo, ed altri suoi parenti lo videro così concio, furono troppo dolenti: e questo fue tenuto per ogni persona troppo rigida e crudele cosa a metter mano nel sangue loro medesimo, e spezialmente avendolo loro mandato alla misericordia. Questo fue lo cominciamento della divisione della città e contado di Pistoia, onde seguirono uccisioni di uomini, arsioni di case, di castella, e di ville.» — Così le Istorie Pistoiesi dal 1300 al 1348, dalla Crusca tenute di anonimo scrittore, e nelle note all'ultima edizione dello Ammirato, attribuite a Iacopo di Franceschino Ambrogi.
«Focaccia fu dei Cancellieri di Pistoia, e a tradimento uccise un suo zio. Nel 1300 erano in questa famiglia tre fratelli, e Focaccia, giovane audacissimo e di pessimi costumi, era figliuolo di uno di questi. Intervenne che, giucandosi alla neve, il padre di Focaccia percosse un suo nepote, perchè troppo acerbamente aveva con la neve percosso un altro fanciullo, e questo fece come a sua famiglia, sendo zio. Ma il fanciullo, più temerario e più maligno che non richiedea la sua età, dissimulò il dolore, e dopo non lungo spazio finse volergli parlare all'orecchio: chinossi il zio, e il fanciullo gli dette una ceffata. Dolsene il padre, che rimandò il fanciullo al suo zio perchè lo punisse a suo modo. Ma egli stimando che più non si bisognasse pel fatto di un fanciullo, in luogo di batterlo, lo baciò in volto, e rimandollo al padre. Ma lo scellerato Focaccia, suo figliuolo, tagliò la mano a questo fanciullo, dipoi corse a casa del padre, che era suo zio, ed ucciselo. Dal qual parricidio ne nacque tanto scandalo, che tutta Toscana ne fu molti anni tribolata, perchè di qui ne derivarono le parti dei Bianchi e dei Neri, che divisero prima Pistoia poi Firenze.» — Così il Landino, Commento di Dante, Inferno, Canto XXXII.
«Era fra le prime famiglie di Pistoia quella dei Cancellieri. Occorse che giuocando Lore di messer Guglielmo e Geri di messer Bertaccio, tutti di quella famiglia, e venendo a parole, fu Geri da Lore leggermente ferito. Il caso dispiacque a messer Guglielmo, e pensando con la umiltà il torre via lo scandalo, lo accrebbe; perchè comandò al figliuolo che andasse a casa il padre del ferito, e gli domandasse perdono. Obbedì Lore al padre; nondimeno questo umano atto non addolcì in alcuna parte l'acerbo animo di messer Bertaccio, e fatto prendere Lore dai suoi servitori, per maggior dispregio sopra una mangiatoia gli fece tagliare la mano, dicendogli: Torna a tuo padre e digli che le ferite con il ferro e non colle parole si medicano. La crudeltà di questo fatto dispiacque tanto a messer Guglielmo, che fece pigliare le armi ai suoi per vendicarlo, e messer Bertaccio ancora si armò per difendersi; e non solamente quella famiglia, ma tutta la città di Pistoia si divise.» Niccolò Machiavelli, Istorie Fiorentine, lib. II.
Certo, maraviglia non poca apporterà ai leggitori, il pensiero come per tanti scrittori siasi potuto tanto diversamente narrare un medesimo fatto. Quantunque però li citati sien quelli che viemaggiormente tra loro diversificano, ciò non s'intenda già che altri infiniti, o contemporanei o posteriori all'avvenimento, concordino; chè anzi trovammo esser varii, e negli anni in che accadde, e nel modo della ferita, e nella cagione del nome, e nelle persone eziandio. Simone della Tosa, negli Annali, parla nel 1300 di questa fazione come di cosa già da qualche tempo avvenuta, non pure in Pistoia, ma sì ed anco in Firenze. Paolino di Piero, nella Cronachetta, la rammenta nel 1297 al modo stesso di Simone. Tolomeo lucchese, vescovo Torcellense, negli Annali, ne deriva l'origine fino dal 1286; e questa opinione è stata modernamente seguita dal Pignotti e dal Sismondi. Per la ferita, osservammo le Storie Pistoiesi contare di uno sfregio sul volto, e di una mano tagliata per modo, che non vi rimase appiccato che il dito grosso. Tolomeo Lucchese tace del volto, e dice che tre sole dita furono recise; Il Machiavelli narra la ferita essere stata leggiera. Il Landino semplice percossa. La cagione del nome dal Salvi nelle Memorie Storiche della città di Pistoia, dal Fioravanti nelle Storie di Pistoia, dal Machiavelli e da altri infiniti, si attribuisce a due mogli che furono di messer Cancelliere, di cui l'una si chiamò Bianca, l'altra Nera. Dal Ferretto Vicentino alla diversa capelliera di messer Guglielmo e di messer Gualfredi, che nera quegli, bionda questi aveano sortito dalla natura. Nè manca chi la derivi dall'aver tolto una parte per divisa il Bianco, e l'altra, per opporsele meglio. Il Nero. Finalmente nelle persone; perocchè il ferito ora è Vanni, ora è Pelleri, ora è Geri, e il feritore or Dore, or Focaccia e or Lore. Non senza consiglio poi ci prese vaghezza di tutte questo cose discorrere, imperciocchè se Istoriografi eccellenti, il principale studio dei quali dovea porsi in ricercare la verità, hanno tanto e diversamente parlato di questo atrocissimo fatto, confidiamo non sieno per saperci malgrado i cortesi, se in questa Opera nostra, in che noi non facciamo officio da Storico, dilungati alquanto da tutti l riferiti racconti, narrammo la novella pur noi a modo nostro.
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