Le Novelle della Pescara. Gabriele D'Annunzio

Le Novelle della Pescara - Gabriele D'Annunzio


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Ah, dov'è Spacone? — chiese.

      — È a Popoli, donna santa: l'hanno chiamato.

      Orsola non resse più: cominciò a singhiozzare e a strapparsi i capelli.

      — Che volete, donna santa? che volete? Io sono la moglie; ci son qua io... — miagolava la strega, trattenendole i polsi, incitandola a parlare.

      Orsola esitò un momento; poi disse tutto, a precipizio, tra i singulti, coprendosi la faccia.

      — Aspettate. Il rimedio c'è; ma costa cinquanta soldi, donna santa — fece la strega in quel suo idioma tutto molle di vocali, cantando quel bello appellativo per intercalare.

      Orsola sciolse un nodo nel fazzoletto e offerse cinque piccole monete d'argento. Poi aspettò, più calma.

      La stanza era vasta, ma bassa. Le pareti, su cui qua e là il salnitro fioriva, apparivano scagliose e verdastre. Rozzi idoli cristiani di maiolica popolavano quel fondo di spelonca; forme strane di utensili e di stromenti ingombravano le tavole. Era come un aspro santuario custodito da un semplicista monaco.

      La moglie di Spacone, dinanzi al camino, componeva il suo filtro, in silenzio. Era una femmina alta e ossuta, bianchissima in faccia, co 'l naso guasto, violetto come un fico, con i capelli rossi e lisci su le tempie, con due piccoli occhi di albina, tatuata nel mento, nella fronte, nel dorso delle mani.

      — Ecco, donna santa! Coraggio!

      Orsola ingoiò il liquido, d'un fiato; ma si sentì, subito dopo, da un'amarezza atroce mordere il palato e le viscere. Restò con la bocca aperta, premendosi il ventre con le mani, battendo rapidamente un piede sul pavimento, nello spasimo della prima contrazione uterina.

      — Coraggio, donna santa, coraggio! — le ripeteva la strega, fissandola con quegli occhi bianchicci, soffregandole le reni. Avete tempo di arrivare a Pescara... Via! via!

      Orsola non poteva rispondere: alla bocca non le venivano che urli. I crampi le serravano lo stomaco, le irrigidivano i muscoli respiratorii, le eccitavano il vomito. I bulbi visivi le ruotavano in alto, come se ella fosse entrata ne' sintomi di una convulsione epilettica. In tutto il suo debole organismo la potenza eccessiva della bevanda operava ora effetti inaspettati. Il parto falso si produsse quasi d'improvviso, con una di quelle terribili perdite per ove le forze della vita se ne vanno mollemente, insensibilmente, fluendo.

      — Gesù, Gesù, Gesù! — mormorava la strega, inquieta, presa da una sùbita paura dinanzi a quel povero corpo riverso — Gesù, aiutatemi!

      Alle sollecitazioni di lei, Orsola rinvenne. E come dopo qualche tempo il profluvio parve arrestarsi, la meschina si potè levare in piedi; sospinta dalla femmina, uscire; giungere fino alla strada nuova, barcollando, pallida come se non le fosse rimasta sotto la pelle una goccia di sangue, ma tenuta viva dalla speranza che il maggior pericolo fosse omai superato.

      Ora la campagna era tutta frescamente luminosa dopo la pioggia. Passava una fila di carretti carichi di gesso, e i grossi carrettieri di Letto Manoppello, pieni di vino, sdraiati sui sacchi fumavano. Come Orsola si mise dietro la fila, uno di quelli, l'estremo, gridò:

      — Ohè, volete che vi porti, bella figliuola?

      Quasi inconscia Orsola si lasciò tirar su dalle forti braccia dell'uomo, e stette così seduta sopra i sacchi. Non intendeva le grosse risa e i motti osceni che di carro in carro si propagavano.

      Con l'energia dell'istinto teneva le ginocchia serrate per impedire al flusso la via. Sentiva a poco a poco una specie di ottusità occuparle i sensi, così che gli sbalzi frequenti delle ruote su la ghiaia le davano appena un dolor sordo e il lezzo delle pipe le feriva appena le nari. Poi cominciò un susurro lontano agli orecchi, un tremante bagliore alla vista. Più volte ella sarebbe caduta se non l'avessero sorretta le mani del carrettiere, che incoraggiato dalla muta docilità di lei tentava qualche brutale carezza.

      Il paese di Pescara apparve in cima alla strada, in mezzo al sole, mandando suoni sul vento.

      — Fanno la processione — disse uno degli uomini. Tutti gli altri sferzarono; e la strada risonò sotto il trotto pesante, al tintinnìo de' sonagli, allo schiocco delle fruste.

      Quella violenza di scosse e di fragore richiamò per un momento Orsola al senso della realtà circostante. Ma, poichè l'uomo le cingeva i fianchi con un braccio e le soffiava il fiato vinoso nella guancia, ella per un cieco impeto si mise a gridare e a gesticolare quasi l'avesse presa il delirio. E il fantasma di Lindoro subitamente le si rizzò dinanzi agli occhi offuscati e potè anco suscitarle il ribrezzo dell'orrore in quel poco di sensibilità che le restava nei nervi. Appena il carro si fermò, discese a terra dai sacchi scivolando; tentò di muovere i passi, con la furia affannosa di chi cerchi raggiungere un luogo sicuro per cadere.

      Venivano in contro nella strada le verginelle coperte di veli candidi, con in mano i cèrei dipinti, e cantavano. Dietro la torma angelica, un grande sventolìo di drappi e di baldacchini ampliava l'aria beneficata dalla pioggia recente. E cantavano:

       Tantum ergo sacramentum

       Veneremur cernui...

      Orsola, intravedendo, voltò nel vicolo; giunse alla casa di Rosa Catena, entrò; presa dalla vertigine, cadde in mezzo al pavimento. E, come il profluvio del sangue ricominciava, la paralisi le occupò la metà inferiore del corpo, ogni facoltà di moto volontario in lei si spense.

      Rosa non era nella casa: la processione aveva attirato tutto il paese, quel giorno. In un angolo della stanza Muà, il padre, un mostro di vecchiaia umana, un cieco inchiodato per anni sul legname di una sedia dall'artrite deformante, tentava vagamente con la punta del bastone i mattoni intorno a sè per scoprire la causa del rumore improvviso; e un borbottìo bavoso gli esciva dalla bocca sdentata.

      Allora, ai piedi del mostro orrendo, in mezzo al sangue del peccato, con i pollici stretti nei pugni, senza grida, la sposa violata del Signore per alcuni attimi si agitò nella convulsione mortale.

      — Via! Via! Passa via! Via di qua!

      Il vecchio, credendo che fosse entrato il mastino del beccaio, allungava il bastone per scacciarlo; e percoteva la moribonda.

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