Clelia: Il governo dei preti - Romanzo storico politico. Garibaldi Giuseppe
casta pretina, Don Ignazio confessore della vecchia, a forza di giri e rigiri era pervenuto ad ottenere che sul suo testamento s'introducesse un legato a suffragio delle anime del Purgatorio, ma se questo accontentava le anime del Purgatorio, non rendeva pago lo scellerato, il quale agognava all'intera proprietà della casa Pompeo.
Ammalatasi la vecchia Virginia, Ignazio le fece accettare Flavia per infermiera e col suo mezzo, e assiduamente vigilandola senza quasi permettere ch'altri l'avvicinasse, quando il corpo e la mente dell'infelice per l'aggravarsi del male s'andarono indebolendo, il ribaldo non trovò difficoltà a sostituire al testamento che portava il legato un nuovo testamento che lasciava per intero l'eredità Pompea alla corporazione di S. Francesco di Paola, creando per giunta don Ignazio stesso esecutore testamentario.
Non mancavano i testimoni idonei e la bigotta sottoscrisse la miseria e lo spoglio dell'infelice bambino per impinguare la crapula di quei figli della maledizione.
Intanto Muzio, diseredato, dormiva placidamente nella sua cameretta ancora adorna dalla mano materna in un magnifico letticino. Orfano infelice! che il domani doveva svegliarsi mendico.
CAPITOLO VIII
IL MENDICO
Diciott'anni sono trascorsi da quella sera fatale in cui un prete nero nero come la befana avea traversato la piazza della Rotonda per commettere il nefando delitto che abbiamo narrato e noi ritornando sulla stessa piazza vediamo appoggiato ad una delle colonne del Panteon un mendico avvolto nel solito mantello foggiato a toga.
Non era questa volta una notte oscura di dicembre. Era un tramonto procelloso di febbraio.
Il mendico teneva avvolto intorno alla persona lo sdruscito mantello tanto da nascondere anche la parte inferiore del viso ma alle scarse sembianze che rimanevano svelate scoprivasi una di quelle fisonomie che vedute una volta ti restano impresse per tutta la vita.
Un naso Romano divideva due occhi azzurri che avrebbero abbarbagliato un leone: benché coperte il contorno delle spalle era mirabile e mostravano di appartenere a tale che non sarebbe stato facile insultare impunemente. L'attitudine, il contegno della persona apparivano imponenti, e lo scultore spesso dovette aver ricorso a quel mendico quando volle inspirarsi ad un atteggiamento eroico(13).
(13) Il modello e la modella sono professioni apprezzate in Roma, terra classica di pitture e sculture.
Un piccolo tocco sulla spalla scosse il mendico dalla sua immobilità contemplativa. Si volse e con piglio famigliare disse al sopravvenuto: "Sei qui fratello!" e sembrava veramente un fratello di Muzio quegli a cui egli dava quel nome. Egli era Attilio, l'amico nostro, il quale alle parole di Muzio soggiunse:
"Sei tu armato?".
"Armato?" rispose alquanto sdegnoso il mendico.
"Il mio ferro, tu lo sai, fu il mio solo retaggio, tutto il mio patrimonio! vuoi tu ch'io l'abbandoni, io che l'amo quanto tu poi amare la tua Clelia ed io… la mia?". Poi, levando in alto gli occhi dopo un istante di pausa con amaro piglio continuava: "Ma e che giova l'amore ad un mendico, ad un reietto della società umana? Chi crederà che palpiti qualche cosa sotto un petto coperto di cenci?".
"Eppure," soggiungeva Attilio, rispondendo alla digressione del mendico, "quella bella straniera, sono sicuro che ti ama, quanto è capace di amare una donna".
Muzio tacque e d'improvviso annuvolossi, il che Attilio scorgendo e dubitando si sollevasse qualche tempesta nell'animo contristato dell'amico lo prese dolcemente per mano e gli disse: "Vieni" e Muzio lo seguì senza proferire parola.
Intanto la notte scendendo, copriva col nero suo manto la città eterna. Per le vie silenziose, i passanti s'eran fatti più radi, l'ombre dei palagi e dei monumenti si confondevano colle tenebre e solo alcune pattuglie di stranieri rompevano il silenzio della notte col loro passo misurato e pesante.
Preti a quell'ora se ne incontravano pochi. Non s'incomodano, né si fidano: la tepida sala è preferibile alla squallida via, poi nella notte sono poco sicure le strade di Roma ed i preti, meno di chicchessia, amano di mettere la preziosa loro pelle in pericolo.
"La finiremo un giorno con questi mercenari che la fan da birri ai preti" diceva il mendico tornato in calma al suo compagno.
"Oh sì! la finiremo, e presto" rispondeva Attilio.
Così discorrendo ascendevano il Quirinale, oggidì Monte Cavallo, per le due famose statue equestri, capo-lavoro dell'arte greca che sulla piazza si ammirano.
Giunti a pié dei colossi si fermarono entrambi. Attilio tolto di tasca un acciarino ne trasse delle scintille; all'estremità della piazza lo stesso segnale si ripetè, e allora i due amici si avanzarono.
Prima di giungere all'ultimo limite della piazza un militare del picchetto di guardia al palazzo facevasi innanzi, stringeva la mano ad Attilio e conduceva i due verso una porticina laterale al portone d'entrata. Entrarono. Passato un angusto corridoio salirono una scaletta e si trovarono in una stanza apparentemente lasciata a disposizione del comandante la guardia.
Tutti gli arredi della stanza consistevano in un desco ed alcune sedie; sul desco varie bottiglie, parecchi bicchieri ed un lumicino ad olio. Quivi, dopo aver fatto sedere gli ospiti, ed essersi lui pure seduto, il militare ruppe il silenzio dicendo:
"Beviamo un bicchiere d'Orvieto, compagni, che val più d'una benedizione del Santo Padre, in questa notte d'inverno", e presentava così dicendo un calice del benefico liquore ai due amici.
"L'han dunque condotto qui Manlio?" chiese Attilio appena libato il primo sorso.
"Qui, siccome ti ho avvertito", riprese Dentato il sergente dei dragoni; "fu la scorsa notte verso le undici, e lo hanno rinchiuso in una segreta come fosse un gran delinquente. Dicono però che presto lo trasporteranno in castel S. Angelo, essendo queste prigioni soltanto di transito".
"E si sa per ordine di chi sia stato arrestato?" riprese Attilio.
"Eh! per ordine del favorito, del cardinale ministro; si dice e si aggiunge," continuò il militare, "che Sua Eminenza voglia stendere la mano potente non solo sul padre, ma anche sulla figlia, la perla di Trastevere".
Un movimento convulsivo di rabbia agitò Attilio alle ultime parole del sergente e:
"A che ora tenteremo di liberarlo?" chiese con visibile impazienza.
"Liberarlo! ma siamo in pochi per riuscire davvero", rispose Dentato.
"Fra un'ora sarà qui Silvio con dieci dei nostri; con tal rinforzo saremo sufficienti ad assalire tutta quella caterva di birri e di preti", soggiunse Attilio con accento d'uomo convinto.
Un istante di silenzio successe a queste ultime parole. Allora
Dentato:
"Poiché hai deciso di tentare questa notte, dovremo aspettare almeno sino alle dodici. Allora direttori e custodi saranno in potere di Bacco e forse già addormentati. Il mio tenente poi ha trovata certa Lucrezia nelle vicinanze, la quale basterà per tenercelo discosto fin presso al mattino".
Le parole di Dentato furono tronche dall'entrare del dragone lasciato di guardia alla porta, il quale annunzio l'arrivo di Silvio co' suoi.
CAPITOLO IX
LA LIBERAZIONE
Una delle cose ch'io notai come straordinaria in Roma fu il contegno e la bravura del soldato Romano. Quei soldati propriamente che si chiamano soldati del Papa e servono il più schifoso dei governi hanno conservato certo robusto piglio marziale e tanto valore individuale da far stupire davvero.
Alla