Racconti e novelle. Ghislanzoni Antonio

Racconti e novelle - Ghislanzoni Antonio


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rispose Joseph, addentando la polpa del volatile—nessuna transazione è possibile—i miei generi hanno subìto un non lieve rialzo durante la notte, e tu stesso me ne dai prova—in verità, sarebbe strano che consentissi ad un ribasso... Il mio ottimo maestro ed amico Franz avrebbe ragione di ripetermi, più tardi, che io sono un cattivo commerciante, il quale non sa approfittare delle occasioni... Il mio prezzo rimarrà stazionario—Cinquanta mila lire, nè più nè meno.

      Franz uscì dalla grotta per sottrarsi alla vista ed alle esalazioni del cappone tentatore.

      Joseph gli tenne dietro.

      —Tu mi vedrai morire! gli disse l'altro con voce già fioca e rantolosa.—E forse egli contava sui buoni istinti del suo compagno di emigrazione, e sperava intenerirlo.

      —Morire! esclamò Joseph—ma sai tu che faresti un cattivo affare! No... un negoziante par tuo non sarà mai per commettere un tale sproposito! Non vedi tu, che morire significa perdere i cinquantamila franchi e con essi la vita?

      Franz si avviò barcollando alla grotta, si raccolse nel cappotto, e si sdraiò sul terreno-Joseph gli tenne dietro per sorvegliare le sue merci.

      Per tutta la giornata Franz non si mosse—tratto tratto egli esalava qualche gemito affannoso che voleva imitare il rantolo della morte.

      Pur troppo, il cuore d'Joseph era pietrificato dal calcolo. In sul far della sera, dopo essersi divorata con infernale compiacenza una bella coscia di cappone, egli fece l'atto di riporre nel sacco le sue mercanzie...

      —Ferma! gridò Franz, balzando in piedi e stendendo le braccia, che in quel momento somigliavano alle zampe della pantera affamata.. Sei tu ancora disposto a vendermi quella roba per cinquantamila franchi?

      —Mercato concluso! rispose Joseph.

      —Eccoti il portafogli—a me il cappone e la pagnotta....!

      —Un momento!...

      Joseph si fece a numerare lentamente i biglietti di banco, e trovata le somma completa, dopo aver consegnata la merce, intascò il portafogli in aria di trionfo.

      Ma la gioia di Joseph non durò a lungo.

      Perchè mai, dopo due giorni di digiuno, l'amico indugia tanto a spezzare il suo pane, ed a mettersi in bocca qualche frammento del grosso volatile?

      A tale pensiero, abbassando istintivamente lo sguardo sulle proprie imbandigioni, Joseph con sorpresa e terrore si avvide che del suo bel pollo quasi più non gli rimaneva che il carcame... La pagnotta aveva presa la forma di un quarto di luna.

      Frattanto l'amico aveva spiccata la testa al cappone, e dopo aver rinchiuso il restante nella valigia, andava suggendo le cervella e rosicchiando lentamente le ossa del cranio, come un epulone già sazio che si diverta coi residui obliati.

      La situazione dei due reclusi era molto cangiata, e Joseph non tardò molto a comprenderlo.

      —Se vuoi spegnere il lume... disse Franz.

      —Ma ti pare?—rispose Joseph col labbro serrato. Fino a quando tu non abbia finito il tuo pranzo...

      —Il mio pranzo è finito, disse l'altro, tritolando fra i denti il becco del pollastro—ora si può dormire.

      Joseph soffiò sulla candela, e si rannicchiò nel suo covo in preda ai più foschi pensieri.—In verità la sua situazione, malgrado i cinquantamila franchi intascati, era divenuta assai buia.

      All'indomani, verso l'alba, i due colleghi facevano colazione. Franz macinava flemmaticamente coi denti il collo del volatile.—Joseph, abbandonandosi al suo fiero appetito, consumava gli ultimi avanzi della pagnotta... Non gli restavano, pel pranzo, che le ossa spolpate del carcame.

      Trascorsero parecchie ore... Franz non abbandonava il suo posto, non profferiva parola, non si permetteva il più leggero movimento. Obbedendo ai dettati della scienza, egli si guardava da qualunque atto potesse alterare l'economia della sua vitalità. Egli sapeva troppo bene che l'inerzia e il silenzio ammortiscono l'appetito.

      Sul far della sera, il suo orecchio fu colpito da uno strano rumore. Rabbrividì—sorse in piedi...

      —Oh! sta a vedere, che gli zappatori arrivano in mal punto a guastare i miei calcoli!

      —Così parlando uscì dalla grotta per esplorare...

      Era il povero Joseph che si apprestava l'ultimo pranzo, macinando fra due pietre il carcame del pollastro...

      A quella vista gli occhi di Franz sfavillarono.

      Poco dopo, Joseph rientrò nella grotta, e avvolgendosi nel cappotto, non potè reprimere un accento di desolazione:

      —Tutto è finito!

      —Ed io ne ho per dieci giorni! rispose dall'antro opposto una voce lugubre.

      Joseph portò la mano al portafogli, e lo serrò presso al cuore, come una madre stringerebbe un figliuolo minacciato.

      Quella notte fu lunga e travagliata per entrambi.

      —Se domani è abbattuta la valanga, il mio tesoro è salvato!—pensava Joseph tra i fremiti del terrore.

      —Se gli zappatori, calcolava l'altro fra gli spasimi, tardano due giorni a liberarci, le mie cinquantamila lire sono redente!

      La notte trascorse—venne il mattino—una eterna giornata di digiuno torturò le viscere del povero Joseph—e la grotta non si aperse. Nessuna oscillazione della neve, nessun rumore lontano che annunziasse l'approssimarsi dei liberatori.

      Joseph rientrò disperato nella grotta, e, prima di coricarsi, si lasciò sfuggire la parola fatale:—ho fame!

      —Ed io n'ho d'avanzo!—rispose dall'antro opposto la solita voce—posso servirti?

      —Mi rimetto... alla tua discrezione.

      —Diecimila lire per un quarto di pagnotta e quaranta mila lire per una coscia di pollo-totale: lire cinquantamila.

      —No... usuraio!... no, assassino! gridò Joseph dal suo covo.

      —Joseph! in commercio si fanno dei prezzi e delle transazioni... ma io ti ho insegnato, col mio esempio, a risparmiare le ingiurie.—Calmati—rifletti—io ti do tempo fino a domani.

      Joseph non disse più parola, e si accovacciò come un leone in febbre.

      Verso mezzanotte, Franz uscì dalla grotta per le sue esplorazioni. Tese l'orecchio.... Gli parve udire fra le tenebre dei suoni indistinti... La massa della neve tratto tratto oscillava...

      —Ohimè! gli zappatori si avvicinano.... Io sono perduto!...

      Rientrò affannato nella grotta... Poche ore gli rimanevano per ricuperare il suo capitale...

      Accese un moccolo—trasse dalla valigia i commestibili, e, schieratili in bella mostra sovra un macigno, si pose a mangiare...

      Joseph si levò... I suoi occhi, tutti i suoi sensi parvero affascinati... Egli afferrò con una mano la coscia del cappone, coll'altra mano gettò il portafogli ai piedi di Franz. Fu una scena muta—un vero quadro coreografico della grande epoca Catte-Ghedini.

      E Joseph non aveva ancora terminato il suo pasto—e Franz finiva appena di numerare i suoi biglietti di banco, che un suono di voci e di ferrei stromenti riscosse gli echi della grotta.

      —Ah! gridò Franz accorrendo.—ecco i nostri liberatori!.... vieni, Joseph! La valanga è spezzata.... che Iddio sia benedetto!

      Joseph, con un tozzo di pane nella destra e un osso di cappone nella sinistra, si affacciò alla imboccatura dello speco. A vederlo, pareva inebetito.

      I due colleghi riprendevano poco dopo il sentiero della montagna.

      All'ingresso del villaggio, sul punto di separarsi:

      —Spero bene che tu non mi serberai


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