Politica estera: memorie e documenti. Francesco Crispi

Politica estera: memorie e documenti - Francesco Crispi


Скачать книгу
di simpatia per l'Italia.

       Mi congedo alle 5 meno un quarto.

      Il Tisza sembra un presbiteriano. Ha un viso impassibile. Grandi lenti gli nascondono gli occhi. Non discute, sentenzia. Delle questioni di diritto civile si comprende che capisce poco o nulla. Vorrebbe un trattato internazionale europeo. Buono, se fosse possibile; ma è posto innanzi perchè non si concluda nulla.

      Alle 5 ricevo la visita del ministro di Giustizia e del suo sottosegretario di Stato. Il Ministro mi dice:

      «Nous ne voulions pas que vous quittiez Pesth sans que vous reste une bonne impression de nous».

      Pranzo dal Presidente Ghyczy; v'intervengono deputati dei varii partiti e varii ex-ministri: Szlávy (Jórsef) già ministro-presidente — Gorosc, già ministro del Commercio, ora presidente del Club della Destra — Simonyi, già ministro del Commercio — Szapáry, già ministro dell'Interno — Bittò (István), già ministro-presidente — Eber, deputato — Wahermann Mór, deputato — Csernátory, deputato e direttore dell'Ellenor — Falk, deputato e direttore del Pester Lloyd — Zsedénzi, presidente della Commissione di Finanza — Pulszky, direttore del Museo — Kállay Beni, deputato di estrema destra — Hélfy Ignáez, deputato di estrema sinistra, ecc.

      Telegrafo al Re: «Conto essere a Torino il 24. Prego V. M. di volermi telegrafare il giorno e il luogo dove potrò vederla. Agli ordini di V. M., ecc.».

      Visita ad Andrássy alle 12 e mezza.

      Questione dei diritti civili — Trattato di commercio.

      — Non mi sono allarmato del vostro viaggio a Gastein ed ho lasciato dire ai giornali.

      — Non avreste avuto ragione di allarmarvene perchè il principe di Bismarck ve ne parlò e vi disse quali erano le mie idee. Nulla dissi di cui potreste lagnarvi.

      Mi parla della sua politica con l'Italia — Ultramontanismo — vecchie opinioni — non sono nell'interesse dell'Austria-Ungheria. Se fosse stato italiano, avrebbe fatto lo stesso. Necessità ora di tenersi amici e di non turbare l'accordo con esigenze praticamente non attuabili. Non crede ai giornali, convinto della nostra buona volontà. Soggiunge:

      — Non sempre il principio di nazionalità è applicabile in tutti i luoghi, nè è norma la lingua a stabilire la nazionalità; non si fa la politica con la grammatica. La nazionalità è stabilita da varii elementi: precede innanzi tutto la topografia, e seguono le condizioni economiche che valgono ad alimentare la vita delle popolazioni. Prendetevi Trieste, se pur noi ve la dessimo, e voi non potreste starvi un giorno: sareste maledetti. Ho una nota su tale argomento, che vi farei leggere se avessi qui, nella quale svolgo questi concetti. E poi, bisogna parlar franco: volete altre terre? Ditelo; è una politica che comprendo. È questione....

      — Accordo nei principî. La lingua non è da sola argomento di nazionalità, e se noi la prendessimo a norma dovremmo inimicarci molti Stati e far la guerra. Ora, la nostra è politica di pace. Vogliamo star bene coi vicini, stabilire accordi sulla base degl'interessi e rispettare i trattati. — Non attaccheremo; ci difenderemmo se fossimo attaccati. Fummo rivoluzionarli per fare l'Italia; siamo conservatori per mantenerla. Voi solo potete comprenderci, perchè anche voi foste rivoluzionario.

      — Fui impiccato in effigie.[11]

      — Orbene, voi sapete che quando l'indipendenza e la libertà di un paese furono acquistate con sacrificii, chi li ha fatti cotesti sacrificii non può con audaci avventure mettere in pericolo i beni raggiunti. — Fiume — ridicola imputazione; i porti sono sbocchi necessarii al commercio; chi li ha, deve possedere il territorio donde vengono i prodotti. Di Fiume che potremmo farcene?

      L'opinione pubblica è interpretata dal Parlamento e dal Governo. Avete da lagnarvi del loro contegno? È necessario che i due Stati siano amici, e i governi d'accordo.

      — Ho fatto sempre cotesta politica e nei sei anni che fui ministro, e nei cinque dacchè son Cancelliere — Non mi curo dei giornali, nè dei parlamenti — Sfido l'impopolarità, so quello che è necessario nell'interesse dell'impero. Una politica di ostilità con voi è contraria agl'interessi dell'Austria-Ungheria — Finchè sarò ministro non me ne distaccherò.

      — Concludiamo da tutto questo. Trattato di commercio, relazioni civili.

      — Adagio. La politica ha poco da fare con le relazioni commerciali. Sviluppo di questa tesi — Esempio con la Germania.

      — Penso anch'io così; ma guardiamo alle conseguenze. Non dico che il trattato di commercio debba farsi ad occhi chiusi. Penso che convenga cominciare a trattare per venire ad una conclusione. La sospensione delle trattative farebbe cattiva impressione.

      — Così va bene.

      — Accordo sulla questione orientale?...

      — Guerra russo-turca; come finirà. Questione di nazionalità anche qui; come scioglierla. Autonomia dei bulgari: fin dove — ai Balcani. E degli altri? Questo se vincono i russi — Ma se vince la Turchia? Bisogna dunque attendere la fine della guerra.

      — Ma giusto allora dobbiamo già esser d'accordo.

      Denari e uomini spesi — Questione rinascente periodicamente — necessità di scioglierla per sempre — Impossibile determinare il come e se quello che convenga stabilire è lo statu-quo territoriale.

      — Ed anche su questo nulla può essere assoluto; bisogna attendere il giorno in cui le Potenze si riuniranno a congresso.

      — Va bene. Vorreste però dare un territorio alla Russia?

      — Questo no, ma per ogni altro riordinamento bisogna rimettersi al giorno opportuno.

      — Benissimo. Anche su questo desideriamo esser d'accordo con voi.

      Alle 3.30 da Helfy.

      Ricevo questo telegramma, in risposta al mio di stamane:

      «Je vous prie de venir loger à mon palais à Turin. Mercredi je vous ferai dire heure que j'aurai le plaisir vous voir. Bien des amitiés.

      Victor Emmanuel.»

      Alle 9.30 partenza per Vienna.

      

      22 ottobre. — Arrivo a Vienna alle 6 del mattino. Alle 9 pom. sono alla frontiera.

      23 ottobre. — Alle 7 a Verona.

      A Torino. Conferenza col Re.

      «Napoli, 30 ottobre 1877.

      Caro Depretis,

      . . . Spero che non avremo la guerra, ma siccome non possiamo noi arrestare il corso degli avvenimenti europei, ed abbiamo bisogno che l'Europa ci ritenga essere abbastanza potenti da far valere la nostra forza in caso di complicazioni in conseguenza della guerra d'Oriente, è giuocoforza tenersi pronti ad entrare anche noi in campagna. Su questo, amico mio, non ho parole per ripeterti che l'Italia deve, con qualunque sacrifizio, compiere i suoi armamenti. All'estero siamo considerati quale popolo prudente e savio, ma non tutti ci credono forti abbastanza.

      A me Andrássy non lo accennò, ma Robilant mi disse che ragionando col Cancelliere austro-ungarico, questi in tutte le questioni territoriali avrebbe sempre risposto che l'Impero era pronto a farle decidere con le armi.

      È quindi interesse di patria di tenerci in condizioni da poter dire anche noi di poter ricorrere alle armi se tale debba essere la sorte cui ci spinge l'avversario.

      È il solo modo con cui potremo evitare la guerra.

      Quando rifletto che fino dal 1870 io chiedeva al Ministero di destra di armare la nazione in previsione di grandi avvenimenti, e che non fui ascoltato, ne sento doppio dolore.

      Ma oggi siamo noi al governo, e se qualche disgrazia avvenisse, i nostri avversarii direbbero subito che non abbiamo saputo fare il debito nostro. Mettiamoci dunque con ogni zelo all'opera, facendo tutto ciò che possa essere necessario.

      Prego di telegrafarmi, e ti assicuro che mi avrai sempre con


Скачать книгу