La Principessa Belgiojoso. Raffaello Barbiera
venefica da propinare a Sua Maestà.
Immaginarsi con quali faccie, alla comparsa dell'editto imperiale, si saranno guardati fra loro i soavi Torresani, Mazetti, Zajotti, Rosmini, Salvotti e Menghin, tutti quei trentini indegni della loro nobile terra, scesi in Lombardia per sostenere la trista parte di strangolatori dell'idea italiana! “Ossequiente„, per altro, alle “venerate risoluzioni„ dell'imperatore, il Tribunale criminale mosse nuove indagini sulle giardiniere; e trovò un detenuto, certo Spagnoli, che depose formalmente sulle giardiniere e sui giardini; onde nuovi atti d'ufficio si vergarono sulle belle cospiratrici e sulle brutte; ma il processo contro la Belgiojoso rimase interrotto e sepolto per sempre. Si pensi che i delitti d'“alto tradimento„ dei quali ella era accusata avrebbero (secondo le leggi) fatto pronunciare contro di lei la pena di morte col capestro....
I processi dell'Argenti e dell'Albinola furono, invece, condotti severamente sino alla fine. L'Albinola venne condannato alla forca; ma l'imperatore, apprezzando le informazioni date dal misero sulla Giovine Italia (fra quali terrori mai e promesse?), gli commutò per grazia la pena di morte con otto anni di catene sullo Spielberg.[35] Anche all'Argenti fu inflitta simile condanna. Entrambi vennero inviati poscia in esilio a Nova York sull'Ussero, nave guardata da gendarmi coi fucili, e cinta di cannoni carichi a palla. Attraversarono l'oceano, insieme col Foresti, col Castillia, col Borsieri, avanzi dei processi del 1821 e dello Spielberg: esulavan pure con loro l'avvocato Bargnani di Brescia e il cremonese Benzoni, che s'era battuto nella funebre spedizione di Savoja, al seguito del Mazzini.
Ahimè, ogni giorno più, scemavano i denari nella borsa di Cristina Belgiojoso! Ella non possedeva neppure più i giojelli, chè li aveva venduti per la spedizione del 1831 Emilio Belgiojoso, suo ex marito, ma sempre buon amico suo, lo seppe e le propose di procurarle nuovi giojelli per quarantamila lire. Ella nobilmente rifiutò, e scrisse al principe parole che onorano entrambi:
“Ho riflettuto alla proposta che tu mi fai delle gioje, e sebbene essa potrebbe convenirmi, sono per ora troppo alle strette per potermi accordare degli oggetti di lusso, come sarebbero le gioje. Forse è vero che, un giorno, mi potrò procurare dei diamanti; ma nol farò certamente sino a che non avrò messo ordine a' tuoi affari. Le 40 000 lire che spenderei nella compera delle gioje le avrai ugualmente da Finzi, ed io amo meglio impiegarle nel pagamento di qualche altro debito. Ricuso liberamente la tua proposizione, perchè l'accettarla non ti sarebbe d'utilità alcuna. Te ne ringrazio perchè il vantaggio sarebbe mio....„[36]
Questa lettera prova che un buon accordo tornava, almeno un momento, fra i due conjugi separati; ma, a comprovarlo ancor più, valga l'ultima parte della stessa lettera: è un tratto di sentimento sereno e affettuoso verso il principe, che si preoccupava anche della salute di Cristina. La principessa gli scrive:
“Ti ringrazio dell'interesse che prendi alla mia salute. Essa è discreta. È forse vero che il benessere fisico possa sovente tener luogo del benessere morale: io li ho provati ambidue nello stesso tempo; però nello stesso tempo sono ambidue scomparsi; onde non posso giudicare quale dei due possa meglio consolare della mancanza dell'altro. — Addio, Emilio: vivi felice, e ricòrdati che il mio maggior conforto consiste nel rendermi a te utile. — La tua
“aff.ma Cristina.„
Gli uomini forse, non la donna può esistere per sè sola. La stessa gloria non le basta; l'orgoglio non la sorregge; e ciò per la natura sua e per le condizioni che l'uomo, spesso ingiustamente, le ha fatte. Così Cristina Belgiojoso non s'appagava del turbine delle cospirazioni; e, sotto il gelo apparente, e nel suo stesso orgoglio di dominatrice, sentiva bisogno d'affetti gentili. Ella nutriva, è vero, infaticabile un'idea grande, l'idea d'un'Italia grande; e ciò la sosteneva nei trambusti e nelle amarezze ch'ella, con arte infinita, nascondeva avviluppandosi in una specie di silenzioso mistero; e quel silenzio, quel mistero accrescevano il suo incanto; ma dal fondo inviolato dell'anima inflessibile, erompeva quasi una preghiera per un vero affetto, signoreggiante sugli effimeri capricci; e alcuni passi di sue lettere famigliari ne fanno sicura testimonianza. Fu accusata, persino, di aderire nel 1832 al regime austriaco; si scambiarono e le furberie da lei spiegate per ottenere la restituzione dei beni confiscati, e il libero ritorno in Lombardia, per atti di voltafaccia. Il governo austriaco credette, per un momento, al sincero “pentimento di lei„, di lei che, per farlo credere, aveva sollecitato gli alti papaveri dell'impero, non escluso lo stesso Metternich; ma a Vienna seppero leggere ben presto fra le righe delle “suppliche„ dell'“astutissima„, come fu chiamata in un rapporto. Il Metternich scriveva allo Seldnitzky, presidente dell'Alta Polizia a Vienna:
Il perseverante fanatismo, di cui la principessa Belgiojoso si mostrò sino ad ora pervasa in pro della causa rivoluzionaria, dovette renderle ben duro il passo da lei fatto. Non pentimento delle sue colpe, nè migliori convinzioni possono averla indotta a questo atto.
E il Metternich conchiude:
Poichè evidentemente il suo scopo è diretto a far levare il sequestro de' suoi beni, non tanto per ciò che riguarda l'amministrazione, quanto almeno per la rendita annua degli stessi, sarebbe saggia cosa di permettere alla principessa Belgiojoso di disporre liberamente de' suoi averi solo dopo il suo ritorno (in Lombardia); di limitare intanto il suo soggiorno all'estero a quanto richiede la sua salute e di concederle per la durata della sua ulteriore assenza solo gli alimenti necessari.[37]
Intanto la Belgiojoso restava a Parigi, dove fondava il suo regno.
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