I Robinson italiani. Emilio Salgari

I Robinson italiani - Emilio Salgari


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      Quando uscì dalla piantagione, il marinaio ed il mozzo stavano trasportando gli ultimi bambù.

      — Avete trovata la colazione, signore? — chiese Enrico.

      — Sì, amico, e anche delle pentole.

      — Delle pentole!... Eh! via, scherzate?

      — Non dico di averle trovate già fatte e pronte per metterle sul fuoco, ma porto con me dell'argilla per fabbricarle.

      — Ma voi siete la provvidenza in persona, signore! Mio Piccolo Tonno, ti farò assaggiare il giupin!... Terremoto di Genova! Ti leccherai le dita!...

      — Ed i maccheroni, signor Emilio?... Ah!... Cosa darei per averne un piatto!... Altro che giupin!

      — Ehi, furfante! Non disprezzare il giupin! — esclamò il marinaio.

      — Non vale i maccheroni, — ribattè il mozzo. — Vorrei preparartene un piatto a mio modo e scommetterei che mangeresti anche il piatto, marinaio.

      — Roba da napoletani!...

      — Lave del Vesuvio! Disprezzare i maccheroni! Tu perdi la testa, marinaio!

      — Il giupin, ti dico!...

      — I maccheroni!...

      — Avete finito? — chiese il signor Emilio, che rideva, vedendoli arrabbiarsi pei loro piatti favoriti. — Litigate pei maccheroni e per la zuppa alla marinara, mentre non possiamo avere nè l'uno nè l'altra, anzi non abbiamo nemmeno i recipienti dove cucinarle. Calmatevi, ragazzi miei, e pensiamo invece a fabbricarci il ricovero, innanzi a tutto.

      — Credo che abbiate ragione, signor Albani, — disse il marinaio. — Parliamo di cose che sono ancora molto lontane o che forse non potremo mai avere.

      — Col tempo, chissà!...

      — Sperate di farmi mangiare la zuppa?...

      — Ed anche i maccheroni, forse.

      — Ah! signore! — esclamò il mozzo, cogli sguardi ardenti.

      — Basta, andiamo alla spiaggia.. —

      Il marinaio ed il mozzo si caricarono degli ultimi bambù e si diressero verso la costa, mentre il signor Albani si dirigeva verso un folto macchione dai cui alberi pendevano delle numerose corde vegetali, che pareva avessero delle lunghezze straordinarie.

      — Ecco le funi per i nostri bambù, — mormorò. — Abbiamo tutto sottomano. —

      Quelle specie di liane erano rotang (calamus), fibre assai resistenti, che appartengono alla famiglia delle palme, assai comuni in tutto l'Arcipelago Indo-Malese. Sono arrampicanti grossi pochi centimetri, ma sono i più lunghi di tutti, poichè raggiungono perfino i trecento metri.

      Resistono lungamente anche in acqua ed i Malesi, i Burghisi ed anche i Giavanesi, se ne servono per formare l'attrezzatura dei loro piccoli velieri.

      Ne tagliò parecchi, poi raggiunse i compagni per cominciare subito la costruzione, volendo prima di sera mettersi al coperto contro un ritorno offensivo della tigre o di altre sue compagne.

      Avendo a sua disposizione dei bambù assai lunghi e resistenti, il veneziano decise di abbandonare la solita forma delle capanne per costruirne invece una aerea, adottando il sistema dei Dayachi, veri maestri in tali costruzioni, arditissime sì, ma ben più sicure delle altre, contro gli attacchi di qualunque avversario.

      Per poter lavorare più rapidamente e con maggior comodo, costruì dapprima una lunga scala giovandosi di quattro bambù lunghissimi e di altri più brevi e più sottili pei piuoli, poi tracciò sul terreno un rettangolo perfetto che doveva servire di base all'intera capanna.

      — A noi due, Enrico, — disse poscia. — E tu, Piccolo Tonno, va' a raccogliere intanto i rotang che ho tagliati. —

      Scelse trenta bambù della specie gigante, li fece tagliare onde avessero tutti l'eguale lunghezza, quindi li dispose lungo le linee del rettangolo, mentre il marinaio, sull'alto della scala l'incrociava a metà, legandoli solidamente coi rotang recati dal mozzo.

      A operazione finita, tutti quei bambù rassomigliavano a tanti X, le cui basi erano state infisse nel suolo, mentre le punte estreme dovevano servire a ricevere le traverse di sostegno destinate al piano della capanna. Si rifocillarono con un pezzo di babirassa arrostito dal mozzo, poi si rimisero al lavoro con febbrile attività, sulla cima dei bambù.

      Alle quattro tutte le punte erano già riunite fra di loro con numerose traverse. Allora cominciarono a riempire i vuoti adoperando i bambù più grossi, formando il pavimento della capanna aerea che rinforzavano con continue legature.

      La notte li sorprese, mentre stavano collocando a posto gli ultimi bambù.

      — Basta, — disse il signor Albani, che era madido di sudore. — In questa prima giornata abbiamo fatto fin troppo e non bisogna stremare le nostre forze. Per questa notte ci accontenteremo di dormire a cielo scoperto.

      — È una costruzione ammirabile, signore, — disse il marinaio che era orgoglioso del lavoro fatto.

      — Solida, leggiera e sicura.

      — Non saliranno le tigri?

      — Siamo a dodici metri dal suolo e non credo che con un salto possano giungere fino a noi.

      — Ma.... ed il camino? Non s'incendierà la nostra capanna, cucinando quassù?

      — Possiamo costruirlo con dei sassi, ma preferisco fabbricarlo nel recinto, Enrico.

      — Ah!... Inalzeremo anche una cinta?

      — Sì, per i nostri animali.

      — Per quali animali? — chiese il marinaio, stupito.

      — Per quelli che prenderemo, e costruiremo anche una uccelliera.

      — Che possiamo prendere degli animali, sia pure, ma degli uccelli!... Volete fabbricare anche delle reti?...

      — Delle reti no, ma ottenere del vischio sì. Ho scorto un albero che ce lo darà.

      — Lampi di Giove!... Io comincio a credere che su quest'isola deserta ingrasserò!... Quanti Robinson c'invidierebbero! E dire che noi siamo sbarcati con una semplice scure e con due coltelli!... Signor Albani, se voi realizzerete tutte le vostre promesse, io non lascierò più quest'isola, nemmeno se venissero dieci navi a levarmi.

      — Fra un mese, spero che non ci mancherà nulla. —

      La cena fu magra quella sera, non avendo avuto tempo per procurarsi nemmeno delle frutta, ma s'accontentarono egualmente. Dopo quattro chiacchiere rizzarono la tenda in cima al pavimento della capanna e s'addormentarono profondamente.

      Il loro sonno non fu interrotto da alcun avvenimento. Forse la tigre era ritornata, ma non osò assalire quell'abitazione che doveva avere, almeno di notte, un aspetto formidabile.

      All'indomani, appena sorto il sole, si rimettevano al lavoro con nuova lena. Non essendo però il mozzo necessario, avendo ormai issati sulla piattaforma tutti i bambù occorrenti, lo mandarono sulla spiaggia a far raccolta di ostriche e di granchi e possibilmente di uova d'uccelli, avendo scorto numerosi nidi di volatili scoglieri.

      Durante il mattino, Albani ed il marinaio rizzarono i sostegni delle pareti e le traverse del tetto, il quale doveva essere a due pioventi, e prepararono anche un certo numero di tegole, spaccando a metà dei bambù di media grossezza.

      Il mozzo intanto non aveva perduto tempo ed aveva fatta un'ampia provvista di crostacei, di ostriche e anche di uova di uccelli marini trovate fra le rupi della costa. Aveva però portato anche varie specie di aranci chiamati dai malesi giàruk ed alcuni di quelli, grossi come la testa di un ragazzino, prodotti dal citrus docunanus e che in quelle regioni sono conosciuti sotto il nome di buâ kadarigsa.

      Il lavoro proseguì con alacrità anche nel pomeriggio. Il veneziano ed il marinaio coprirono il tetto


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