I Robinson italiani. Emilio Salgari

I Robinson italiani - Emilio Salgari


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come il lampo, alzò la scure e la lasciò cadere con forza disperata sullo squalo che gli passava dinanzi.

      Risuonò un colpo sordo ed uno sprazzo di sangue schizzò in aria.

      Il mostro agitò furiosamente la possente coda spezzando di colpo il pennone di pappafico che sporgeva dall'acqua e sparve, formando dietro di sè un risucchio spumeggiante.

      — Ucciso? — gridarono il marinaio ed il mozzo, che erano tornati prontamente a galla.

      — Non lo credo, ma suppongo che ne avrà abbastanza per ora e che non avrà più voglia di ritornare all'attacco, — rispose Albani.

      — E la scure?... Perduta forse?...

      — No, Enrico; è un'arma troppo preziosa per non conservarla.

      — Ma come quell'arma si trovava infissa nell'albero?

      — Credo che sia quella adoperata dal nostromo. Mi ricordo che quando l'albero cadde, si era allontanato precipitosamente per non farsi schiacciare dal pennone di gabbia.

      — Ma che non sia morto lo squalo!

      — Ti dico che non oserà tornare.

      — Mi premeva che fosse stato ucciso. Almeno avremmo avuto della carne in abbondanza.

      — Più coriacea d'un mulo vecchio.

      — Ma in mancanza di meglio poteva servirci, signor Albani. Oh!...

      — Cos'hai ancora?...

      — S'alza la brezza.

      — E soffia da ponente, — disse il mozzo.

      — Buono! — esclamò Albani. — Ci spingerà più rapidamente verso l'Arcipelago delle Sulu.

      — Un'idea, signore!

      — Parla, Enrico.

      — Ecco qui il pezzo del pennone di pappafico rotto dalla coda dello squalo.

      — Ebbene, cosa vuoi concludere?...

      — Che non ci mancano nè funi, nè vele. Possiamo approfittare di questa brezza.

      — È vero: affrettiamoci, amici. —

      Si misero tutti tre al lavoro senza perdere tempo, sapendo per esperienza che in quei climi caldi le brezze notturne cessano, ordinariamente, col levar del sole.

      Ritirarono il pennone spezzato che era stato trattenuto da una fune e lo rizzarono cacciando una estremità fra le crocette le quali servivano, in certo modo, da morsa.

      Assicuratolo con dei pezzi di paterazzi e di sartie, ritirarono dall'acqua la vela di gabbia e servendosi dell'alberetto come d'antenna, la spiegarono meglio che poterono, cercando di mantenere più larga che era possibile, l'estremità inferiore.

      La brezza che soffiava regolarmente ed abbastanza fresca, non tardò a gonfiarla e l'albero cominciò a filare verso l'est, lasciandosi dietro una leggiera scia gorgogliante.

      Non manteneva una linea dritta, come ben si può immaginare e derivava di frequente per mancanza d'un timone o almeno d'un remo, ma pure guadagnava sempre e aiutava efficacemente l'azione della corrente.

      I tre naufraghi, che tenevano le scotte allargate, già si rallegravano di quella corsa, quando videro riapparire improvvisamente lo squalo.

      — Ancora lui! — esclamò il marinaio, tendendo le pugna. — Ma che non voglia più lasciarci, quel dannato mangiatore d'uomini?... Bisognerà sfondargli il cranio per fargli rinunciare questa caccia accanita?

      — Ha fame, — disse Albani, — e quando questi mostri hanno appetito, seguono le prede con una costanza incredibile.

      — Eppure gli avete accarezzato rudemente il corpo.

      — Bah! Posseggono una vitalità straordinaria e se non si toccano al cuore o al cervello, non muoiono. Aggiungi poi, che noi siamo naufraghi e quando quei mostri feroci scorgono un rottame od una zattera non la lasciano più, certi di avere, presto o tardi, delle prede.

      — Spera adunque che una tempesta scagli le sue onde contro di noi e ci strappi da quest'albero.

      — Senza dubbio, Enrico.

      — Fortunatamente il tempo non accenna a cambiare, almeno per ora.

      — E se cambierà ci troveremo allora tanto vicini alle Sulu, da non temerlo altro.

      — Ah!... Se quel pesce-cane mostrasse ancora la sua testa presso l'albero!...

      — Lascia che nuoti a suo comodo, Enrico. Ti assicuro che non c'inquieterà! Occupiamoci invece della nostra vela e procuriamo di tenerla ben tesa. —

      La brezza notturna si manteneva costante, anzi accennava ad aumentare, quantunque ormai mancassero poche ore allo spuntare dell'alba.

      Il rottame, che manteneva la sua stabilità in causa della botte e del pezzo del castello che servivano come di bilanciere, continuava ad avanzare con una velocità di due o tre nodi, guadagnando via verso levante.

      La corrente da canto suo lo aiutava, facilitando la corsa.

      Già altre due ore erano passate, quando il Piccolo Tonno, che si levava di frequente in piedi per abbracciare maggior orizzonte, sperando sempre di scorgere qualche punto luminoso, che indicasse la presenza di una nave, segnalò alcuni volatili che filavano verso l'est.

      — Che siano uccelli costieri? — chiese Enrico, con una certa emozione.

      — Fa ancora troppo oscuro per poterli distinguere, — rispose Albani, che li osservava con grande attenzione. — Dal loro volo pesante non mi sembrano nè procellarie, nè fregate.

      — Si tengono sempre lontani dalle coste, questi volatili?

      — Ordinariamente sì, perchè s'incontrano perfino a cinque o seicento miglia dalle isole e dai continenti.

      — Allora quelli uccelli che fuggono verso levante saranno dell'Arcipelago.

      — Possono anche essere emigranti, amico mio, e diretti chi sa mai dove.

      — Signore!... — esclamò in quell'istante il mozzo, con voce rotta.

      — Cos'hai? — chiese Albani.

      — Là!... là!... Guardate!...

      — Dove?...

      — Dinanzi a noi!... Alzatevi in piedi!... —

      Albani ed il marinaio s'affrettarono a obbedirlo e scorsero, ad una grande distanza, emergere dall'orizzonte una massa oscura la quale spiccava nettamente sulle acque illuminate dalla luna.

      — Un'isola!... — esclamò il marinaio, con voce soffocata.

      L'ex-uomo di mare non rispose. Colla fronte aggrottata, gli sguardi fissi fissi, guardava con profonda attenzione quella massa nerastra che somigliava vagamente alla cima d'una montagna.

      — Un'isola?... — ripetè il marinaio, con crescente ansietà.

      — Sì, — rispose finalmente il veneziano. — No.... non possiamo ingannarci.... la terra è là! —

      Due grida di gioia irruppero dal petto dei due marinai:

      — Evviva!... Evviva!... Grazie a Dio, noi siamo salvi!...

      — Sì! — ripetè Albani, che continuava a guardare. — Terra!... Terra laggiù!...

      — Lasciate che vi abbracci, signor Albani!... — gridò il marinaio, che pareva impazzisse per la gioia.

      — Fa' pure ma bada di non cadere, — disse il veneziano, ridendo. — Il pesce-cane ci segue sempre.

      — Non lo temo più. —

      Il marinaio gli gettò le braccia al collo, poi volgendosi verso il mozzo:

      — Un abbraccio anche a te, mio Piccolo Tonno! — disse.

      —


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