Parvenze e sembianze. Albertazzi Adolfo
folla di maschere — e poi, di pari, consumandola giorno a giorno la corrosione lenta della tisi, se non del veleno e della vendetta maritale? — “Il 15 ottobre 1629 morí Bianca Bentivoglio Barbazza [pg!48] d'una lunghissima e penosissima infermità, che a poco a poco l'andò struggendo; e non fu chi non dubitasse che non le fosse stato dato il diamante a causa della corrispondenza col marchese Fabio Pepoli„32.
Troppo lasso di tempo sembra che fosse tra l'offesa e il castigo; ma pure un fatto aggraverebbe sopra Andrea Barbazza il sospetto di uxoricidio: egli compose e pubblicò una canzone, una canzone di ventinove stanze, in morte di sua moglie33.
Da sí vasto ocean d'amari affanni
Ov'ondeggio caduto,
Deh! chi recando aiuto
Sia che mi tragga a riva? E chi consola
Naufrago il cor tra le miserie e i danni?
So ben che morte sola
Può dar fine al martir, posa al cordoglio,
Ma sol per piú morir, morir non voglio....
E nel secentesimo di questi e di quest'altri versi sarebbe bastevole e facile prova di ipocrisia e di mal tentato inganno:
Quando l'alma di lei che 'l Ciel mi diede
Dal casto vel si sciolse
[pg!49]
E 'l Ciel se la ritolse,
Privo restai de l'anima e del core,
Orbo di gioie e d'aspre cure erede;
Ond'è solo il dolore
Che mi sostiene e serba il petto vivo,
Benché de l'alma io sia vedovo e privo....
Se non che seguono altri versi per cui converrebbe supporre nel cavaliere Barbazza una perversa sottigliezza a coprire il suo delitto. Egli lamenta in un punto:
Vidi....
.... la beltà che tanto amai
Farsi preda a maligno
Umor, che di sanguigno
Foco sparse il bel volto e del bel petto
Tinse il candore, e chiuse agli occhi i rai
In cui visse il diletto
E col diletto Amor, ch'ha per fortuna
D'aver la tomba ov'ebbe in pria la cuna....;
No! Io sono docile alla commozione della poesia; io odio la malignità nella storia; io credo al diarista Galeati: “Il 29 ottobre 1629 (data certa) morí l'illustrissima signora contessa Bianca del conte Ulisse Bentivogli, di febbre etica„. E con pena sincera do fede a un povero marito che si duole, privo degli occhi languidi consolatori e preganti [pg!50] consolazione della sua moglie soave, cosí:
Quegli occhi, dico, a me sí dolci e cari,
Ch'ancor nel duol sepolti
In me vidi rivolti.
Quasi ad uopo maggior languidi e mesti
Pietà chiedendo in muti accenti amari....
Pietà! — gli aveva chiesto Bianca con i brividi del malore e del rimorso; ed Andrea le aveva perdonato, son certo, con gentile misericordia di poeta; né, lei seppellita, poté forse resistere a non piangere piú volte nella chiesa del Corpus Domini e a pregare spesso Santa Caterina de' Vigri, vicino al cui corpo incorrotto è la tomba dei Bentivoglio, che Iddio lo ricongiungesse alla pallida e tremula fiammella della sua Bianca.
Canzone, imponi al canto, al pianto freno:
Ben so ch'a me non lice
La mia cara Euridice
D'indi ritorre ove beata splende,
Ch'ivi affanno non ha di duol terreno.
Ma lieto amor l'accende
Che 'n Dio la stringe e con devoto zelo
Fa che m'inviti a rimirarla in Cielo.
Affettuoso uomo fu Andrea Barbazza: tanto vero, che per il bene che egli volle [pg!51] alla sua nuora impudica, Settimia Mandoni, le male lingue asserirono ottenesse il senatorato ed altri uffici mercè i favori di lei34 tanto vero, che a sessantasei anni s'accese di Silvia Boccaferri, la quale egli, rimasto vedovo quasi vent'anni di Bianca Bentivogli, sposò in Santo Stefano il 30 maggio del 1648. [pg!53]
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