Venere ed Imene al tribunale della penitenza: manuale dei confessori. J. B. Bouvier
In questa proposizione si suppone il proponimento implicito di non peccare: ma ciò è falso, imperocchè il pericolo esiste sempre.
Dissi ordinariamente, per la ragione che vi hanno dei casi nei quali si deve impartire la assoluzione sulla sola promessa di separazione ed anche sul solo proponimento di non peccare in seguito; cioè:
1. Se, da speciali indizii, il penitente lo si ritiene contrito, e se egli prometta alla prima o alla seconda ammonizione, di cessare d'aver commercio colla concubina.
2. Se dal rifiuto della assoluzione ne dovesse seguire grave scandalo o grave infamia, come avverrebbe ad una giovane, sospettata disonesta, se non la si vedesse più ad accostarsi alla santa Comunione o come avverrebbe ad un prete se il non vederlo più a celebrare la messa parrocchiale producesse scandalo fra il popolo.—In questi casi, la vera contrizione si presume.
3. Non si deve esigere la separazione se è impossibile come quando per esempio, una figlia od un figlio di famiglia pecca con un domestico od una domestica della casa paterna. Quelli che si trovano in tale condizione devono dapprima essere esperimentati colla sospensione dell'assoluzione; e quand'essi rimovessero da sè l'occasione di colpe prossime, o mostrassero di ritrarsi sinceramente dal peccato, si dovrà loro accordare l'assoluzione.
4. Quando due concubinarii vivono segretamente, ovvero sono solamente sospetti di relazione impudica, non si può pronunciare la loro separazione senza provocate nel tempo stesso uno scandalo e infamarli bisogna allora tentare il ravvedimento, sospendendo loro l'assoluzione, ma concedendola poscia, se perseverano in ogni modo nei loro propositi.
Dice Billuart t. 13. p. 352, che in questo caso, egli non condannerebbe nè il penitente nè il confessore.
Nè io sarei certamente più rigoroso di lui.
§. III. Della prostituzione.
La prostituzione può essere considerata come uno stato o come un atto. Come stato è la condizione della donna pronta per tutti, e generalmente veniale; come atto, è l'unione carnale di un uomo con una tal donna, o di una tal donna coll'uomo che capita.
E' certo che la prostituta pecca più gravemente che la semplice fornicatrice od anche la concubina, tanto riguardo alla disposizione dell'animo, quanto allo scandalo e al nocumento che si reca alla generazione. Perciò le meretrici furono sempre considerate come la feccia e l'obbrobrio della specie umana. Non basta dunque che una meretrice dica al confessionale quante volte abbia fornicato, ma deve dichiarare il suo stato di prostituta.
Silvius, Billuart e Dens ed altri teologi insegnano, come probabile, che l'uomo, il quale usi con una meretrice, non è obbligato a dichiarare questa circostanza, perchè, tutto considerato, tale fornicazione non ha ai loro occhi una gravità più saliente.
Non è inutile che qui riferiamo quanto il Codice penale (Francese) statuisce contro i corruttori:
«Chiunque avrà attentato ai costumi, eccitando, favorendo o facilitando abitualmente la dissolutezza o la corruzione di giovani dell'uno o dell'altro sesso al di sotto dell'età di 21 anni sarà punito colla prigione da 6 mesi a 2 anni e con un'ammenda da 50 lire a 500.
«Se la prostituzione o corruzione è stata eccitata, favorita o facilitata dai loro padri, madri, tutori o alrre persone incaricate della loro sorveglianza, la pena sarà da 2 anni a 5 anni di prigione, e da 300 lire a 1000 d'ammenda. (art. 334).
Inoltre, a termini del'art. 335 dello stesso Codice, se è reo il tutore, a questi sarà tolta giudicialmente, per un tempo determinato, la tutela ed ogni partecipazione ai Consigli di famiglia; se è reo il padre o la madre, questi saranno privati dei diritti enumerati nel Cod. Civ. l., tit. IX.
Si domanda se è lecito tollerare le meretrici.
R. Due sono i pareri in proposito dei teologi.
Molti dicono che la cosa è permessa affine di evitare peccati maggiori, come sarebbero, la sodomia, la bestialità la incontinenza segreta e le seduzioni a danno di donne oneste. «Togliete dalla società umana le meretrici, e la libidine vi conturberà tutte le cose» dice S. Agostino Dell'Ord. l. 2, cap. 4, n. 12 (t. I, p. 335) Egualmente opina S. Tomaso, Opusc. 20, l. 4, c. 24, ed altri autori non pochi.
Molti altri invece sostengono opinione opposta, asseverando che per esperienza si verifica che la tolleranza delle meretrici è occasione di rovina a molti giovani, eccitando in essi gli ardori della libidine; e così i peccati di lussuria, piuttosto che diradarsi, si moltiplicano. Vedi su ciò Concina. t. 15, p. 238, e S. Liguori, l. 3, n. 434.
Benchè quest'ultima opinione non sembri la più probabile, noi siamo pertanto di parere che devono essere assolti i pubblici amministratori che in buona fede si domandano se è veramente possibile il non tollerare questo male. Nel dubbio, non spetta ai confessori il decidere su ciò che devono fare coloro a cui è commessa la trattazione di pubblici e difficili affari come sarebbero i giudici, i magistrati, i comandanti d'escrcito, re, ministri, ecc.
Nel Trattato dei Contratti, t. 6, p. 316, IV ediz. alla parola Locazione, si discute se sia permesso appigionare locale alle meretrici.
ARTICOLO II.—Dello stupro.—Generalmente si chiama stupro ogni commercio carnale illecito. Perciò nel lib. Levit, 21, 9 e nel n. 5, 13 si qualificano con tal nome tanto l'unione carnale illecita d'una figlia d'un sacerdote[2] quanto l'adulterio. Se poi l'unione avviene per violenza, allora è per noi, un caso riservato, come riferisce Euchir. p. 7, e nel foro civile va soggetto alla pena della reclusione.
[2] Come ognun sa, ai tempi ai quali si riferiscono i Libri citati, i sacerdoti si ammogliavano, e potevano quindi aver leggittimamente dei figli.
Art. 332 Cod. pen. (Francese). «Chiunque avrà commesso il crimine di stupro o sarà colpevole di qualsiasi altro attentato al pudore, consumato o tentato con violenza, contro individui dell'uno o dell'altro sesso sarà punito colla reclusione.
«Se il crimine è stato commesso sulla persona d'un fanciullo al disotto dell'età di 15 anni compiti, il colpevole subirà la pena dei lavori forzati a tempo.»
Art. 353. «La pena sarà quella dei lavori forzati a vita, se i colpevoli appartengono alla categoria di coloro che hanno autorità sulla persona contro la quale hanno commesso l'attentato; se sono i suoi istitutori o i suoi servitori salariati; o se essi sono funzionari pubblici, o ministri d'un culto; o se il colpevole, chiunque sia, è stato aiutato nel suo crimine da una o più persone.»
Lo stupro—considerato come una colpa particolare—è da molti definito come una violenza; e, meglio, da altri come illecita deflorazione d'una vergine.
Per vergine qui non s'intende già una persona che non peccò mai contro la castità, ma bensì una persona che conservò l'interezza della carne, cioè, conservò intatto il segno materiale della verginità. Tutti sanno quanta sia l'importanza che universalmente si dà alla integrità della carne.
Egli è certo che la violenta deflorazione d'una vergine, sia per l'oltraggio che si fa alla castità, sia per la grave malizia e ingiustizia ch'essa implica, deve necessariamente essere precisata nella confessione. Qual è infatti la giovane onesta che non preferirebbe perdere una grossa somma di danaro, piuttosto che essere stuprata?
Se mai accadesse che un uomo fosse a forza sverginato da femmine perdute, ciò pure sarebbe uno stupro o qualche cosa simile, e dovrebbe essere con precisione dichiarato al confessionale. Ma siccome questo caso è appena appena possibile, così parleremo del solo stupro d'una fanciulla.
Col vocabolo violenza non si allude soltanto alla forza fisica, ma benanco alla forza morale, come il timore, la frode, le preghiere importune, le grandi promesse, le blandizie, i contatti voluttuosi, e tutto quanto secondo il giudizio d'un uomo astuto, può far cadere una giovane inesperta in peccato.
I teologi hanno disparate opinioni sul quesito «se lo stupro d'una vergine, liberamente consenziente a lasciarsi deflorare, sia uno speciale peccato di lussuria, distinto dalla semplice fornicazione.» Soto, Sanchez, Lessius,