Arrigo il savio. Anton Giulio Barrili
di mezzo; o il nuovo mondo, o l'antico; o l'America, o l'Asia. E là il lavoro, il febbrile lavoro, gli stenti, le privazioni, e qualche volta la fortuna, che un altro c'inghiottirà, come noi abbiamo inghiottita quella dei padri! Ecco la mia vita. Ed ecco, meno l'Asia e l'America, la vita del mio signor nipote; già l'ho indovinato dal gran desiderio ch'egli ha di vedermi. Avevo giurato di non rimetter piede in Roma, ed eccomi qua. Bei giuramenti! Ma come fare, con questo ragazzo che prega, invocando la memoria di sua madre, della mia povera sorella, che non dovevo più rivedere? Di certo le somiglia, perchè i maschi tengono sempre della madre. Poveraccio! Purchè non le abbia fatte troppo grosse! Qui, per altro, c'è lusso; ci si sente agiatezza. Chi sa? Forse è un quartiere d'affitto. E ci hanno messa anche la cassa forte. —
Il savio lettore avrà capito che Cesare Gonzaga si era già allontanato dal vano della finestra, per dare una scorsa in giro e una guardata allo studio del suo caro e sconosciuto nipote.
— Arnese di parata, la cassa forte! — borbottò egli, proseguendo. — Gli strozzini le conoscevano, ai tempi miei, queste alzate d'ingegno degli studenti di legge. Ma il mio signor nipote non è più studente; ha la sua laurea da due anni, da tre... che so io? Gran legista! Grande giureconsulto, ha da essere! Ci fosse almeno la libreria, per dar negli occhi ai clienti! Ah, ecco un volume sulla scrivania. È il codice di commercio; meno male! Ma se valesse dugento lire, come certi libri rari, sarebbe ancor qui? —
Come vedete, il signor Cesare Gonzaga non si lasciava confondere da tutta quella apparenza di lusso severo, e ci odorava il quartiere ammobiliato, e il conto da pagare ad un troppo credulo fornitore; fors'anco a più d'uno.
Le sue malinconiche osservazioni furono interrotte dal ritorno del servitore.
— Or bene? — gli chiese.
— Mi duole, illustrissimo....
— Dorme, ho capito; — ripigliò il signor Cesare. — Infatti, sono appena le nove del mattino. Che ora è questa mai, da venire in cerca di un nipote?
— O che, le pare? S'è alzato anzi per tempo e, se non fosse stato un certo negozio, sarebbe anche già andato a fare la sua solita trottata mattutina fuori di porta Pia.
— Anche il cavallo pagheremo; — pensò lo zio, sospirando. — Purchè non sia bolso, come certi cavalli che appoggiavano a noi! Ma allora, — soggiunse ad alta voce, — che cos'è che lo trattiene? —
Il servitore nicchiava un pochettino, ma sorrideva anche, mostrando negli occhi maliziosi il desiderio di farsi cavare i segreti di bocca.
— Veda, non so se debbo dire.... Infine, non ho neanche potuto giungere fino a lui, perchè l'uscio di comunicazione è chiuso.
— Comunicazione! con che!
— Ecco, — ripigliò il servitore con aria di mistero, — con lei, che è suo zio, si può dire. Dev'essere... in conferenza.
— Già, capisco, con qualche pezzo grosso, un avvocato, un collega....
— Non so, perchè, da un pezzo che viene, io non l'ho mai veduto.
— Non gli apri tu?
— No, mai; l'uscio che mette dall'altra parte, in via Sallustiana, lo apre il signor cavaliere. —
Il vecchio stette alquanto sovra pensiero; quindi osservò con molto giudizio:
— La scienza è arcana, ed ama nascondersi. Aggiungi che alle persone di riguardo certe attenzioni bisogna usarle. Come ti chiami?
— Happy, secondo l'uso di casa; Felice, secondo il registro battesimale della Mirandola.
— Concittadino del tuo padrone, dunque!
— Sì, illustrissimo, e ci siamo conosciuti, dirò così, da bambini.
— Ah, meglio così! Tu devi amarlo molto, e conoscerlo... egualmente. Senti, Happy Felice, tu mi sembri un giovanotto d'ingegno svegliato.
— Se ella lo dice....
— I fatti lo dimostrano; la patria lo vuole; dovresti chiamarti Pico, senz'altro. Ho già avuto un saggio delle tue cognizioni in araldica. Il metallo che non si può mettere sopra un altro metallo.... A proposito, scommetto che ti piacciono i marenghi. —
E il vecchio Gonzaga avvicinava, così dicendo, il pollice e l'indice della mano destra al taschino della sottoveste, secondo la buona usanza degli antichi.
— Scommetta pure, illustrissimo; — rispose Pico della Mirandola. — Guadagna di certo; specialmente adesso.
— Perchè adesso?
— Eh, si figuri! C'è l'aggio sull'oro. Stamane il listino porta novantaquattro centesimi, con tendenza spiccata a salire, essendoci molta domanda per i pagamenti all'estero.
— Tu sai di cambio come d'araldica; — gridò il vecchio, ammirato. — Bravo! Vedi questo, se gli è di peso.
— E di pregio, caspita! — rispose Happy, dopo avere osservato il marengo che gli aveva offerto così liberalmente il Gonzaga. — Conio del 1849, con l'Italia libera sull'esergo; questi si vendono cari per le raccolte.
— E di numismatica come di cambio! — esclamò il Gonzaga, ridendo. — Ma già, che cos'è il cambio? Numismatica applicata al contante. Suvvia, arca di scienza, io ti ho aperto; — proseguì, mettendosi a sedere; — parla dunque, ti ascolto.
— Di che cosa debbo parlare, illustrissimo?
— Di tutto quello che sai. Sono lo zio, una specie di zio d'America, quantunque venuto dall'Asia, e posso, e devo, e voglio sapere ogni cosa. Il tuo padrone è in conferenza; ne avrà ancora per un pezzo; occupiamo dunque il tempo a parlare di lui. Come vive mio nipote?
— Bene. — rispose il servitore.
— Ma, dico a te che lo conosci da bambino, ha debiti? —
Happy fece un gesto di meraviglia, e, se volete, anche di orrore.
— Debiti, il mio padrone? Ohibò! Queste cose si lasciano ai figli di famiglia.
— Ah! tu dici?... Ma sai che mi levi un gran peso dallo stomaco? Sul serio, non ha debiti?
— Neanche per sogno. E chi ha potuto darle ad intendere una simile sciocch... Oh, scusi, illustrissimo!
— Dilla, dilla intiera; — replicò il vecchio giubilante. — E prendi quest'altro, in ricompensa della tua buona notizia. È un Luigi XVIII; servirà per la raccolta. Non ha debiti, dunque? Ma sai che è una maraviglia?... —
Il servitore si strinse nelle spalle, dopo avere intascato religiosamente la seconda moneta.
— Ma che debiti! — esclamò. — Roba d'un secolo fa. Chi è che fa debiti, ora? Il mio padrone ha crediti, e molti; oserei dire fin troppi. —
Il Gonzaga fu per mettere la terza volta le mani al taschino, ma si trattenne, per non dare nella caricatura,
— Con le tue buone notizie tu saresti capace di rovinarmi, — rispose. — Dunque gli è un Creso?
— Eh, — disse il servitore, — se lo intende per ricco sfondato, metta pure.
— E che fortuna gli fai? sentiamo.
— Così su due piedi, non saprei.
— Prendi una sedia; non far complimenti.
— Oh illustrissimo, le pare? Dicevo così per dire. Ma infine, calcolando alla grossa, se sa liquidare a tempo, ha già un milione e mezzo, come è certo che io ho, per grazia di Vossignoria, quarantuna lira e ottantotto centesimi. —
Il signor Gonzaga non istette a fare i conti sull'aggio dell'oro. All'annunzio del milione e mezzo aveva già dato un balzo sulla poltrona.
— Hai detto? — gridò, ficcando gli occhi addosso al servitore. — E se non sa liquidare?
— Oh, non c'è questo pericolo, perchè il cavaliere conosce molto bene i suoi interessi. Ma posto il