Lettere di Lodovico Ariosto. Lodovico Ariosto
(Bologna, Zanichelli, 1875, in-8º), che l'autore e l'editore dedicarono all'inclita città di Ferrara festeggiante il IV centenario. Del presente libro ci siamo qui addietro giovato, e il merito del medesimo apparisce per sè chiaro abbastanza, avendo ottenuto una seconda edizione con emendazioni ed aggiunte nel successivo anno 1876, in-16º. — 4º Le fonti dell'Orlando furioso, ricerche e studi di Pio Rajna (Firenze, Sansoni, 1876) per invito del Comitato suddetto; ed è lavoro di gran polso e di rara erudizione che spazia su tutta l'epopea romanzesca e che più nulla lascia a desiderare in proposito, con aver prestato altresì occasione allo stesso autore di addentrarsi maggiormente in siffatti studi e offerirci le Origini dell'epopea francese (Firenze, Sansoni, 1884); opera che presentata in concorso d'altri all'Accademia dei Lincei ottenne il premio.
Il Comitato Ariosteo stampò la Relazione delle feste celebrate in Ferrara nel maggio 1875 coi Discorsi accademici ecc. (Ferrara, Taddei, 1875), e avendo pure commesso a Pietro Cossa di scrivere una commedia in versi che riescì di cinque atti con un prologo, intitolata l'Ariosto e gli Estensi, si recitò la sera del 26 maggio dalla Compagnia drammatica Ciotti-Marini; e quantunque riscuotesse applausi dal numerosissimo uditorio, fu dagli intelligenti giudicata inferiore alla fama dell'autore del Nerone. Venne però anch'essa pubblicata (con appellativo di dramma) in Torino, Casanova, 1878.
Ove a taluno per avventura sembrasse che noi siamo stati troppo proclivi a cercar biasimo alla memoria del duca di Ferrara, ch'ebbe pur esso il suo lato buono, e comecchessia raggiunse sempre il suo intento, lo rimandiamo al documento XIV, in cui la Curia di Roma lo accusa ad esuberanza di aver fatto scrivere un testamento falso dopo la morte repentina del card. Ippolito suo fratello per usurparne l'eredità ch'era di soli beni della Chiesa: lo accusa di altre falsificazioni di processi, e «sannolo li infelici fratelli (don Ferrante e don Giulio) crudelmente incarcerati, sallo il sangue e le viscere di quelli gentiluomini dilacerati»: lo accusa di aver fatto «publice predicare la dottrina dell'eretico Martino Lutero dal suo barbato frate Andrea da Ferrara, che ancor maggiori errori publicò delli luterani, ed esser causa d'eresia»: lo qualifica un crudele tiranno che rubò ad altri quanto questa casa ha mai posseduto, per violentare li poveri sudditi e mungerli sino al sangue: lo dice ingiusto, iniquo ed empio; voragine d'avarizia, insidiatore di tutti i buoni, per esser lui perversissimo; pietra di scandalo d'Italia, atroce inimico della santa Sede ecc. — Ma nella dispiacenza di esserci troppo sovente incontrati nel male, tanto in riguardo alle azioni del duca Alfonso I che a quelle del cardinale Ippolito, ci conforta il sapere, che abbiam desunto ogni fatto da documenti irrefragabili, e che d'altronde «nella verità intieramente conosciuta e riguardata rettamente non può non essere moralità», com'ebbe a scriverci il ch. Niccolò Tommaseo.
Aggiunta alla Prefazione Pag. XLV, linea 14
L'Ariosto essendo in Reggio scrisse pure altre due lettere al cardinale Ippolito (pag. 17 e 18) dalle quali apparisce ch'ebbe commissione di andare a Carpi e parlare con Alberto Pio di una faccenda importantissima, la quale riferivasi senz'altro alla cessione che il duca doveva fare ad Alberto della metà del principato di Carpi che Ercole I duca di Ferrara acquistò sin dal 1494 da Giberto Pio fratello di Alberto, poichè l'imperatore aveva dichiarata di nullità quella vendita avvenuta senza il suo consenso, essendo Carpi feudo imperiale. L'Ariosto non avrà mancato di abboccarsi (come avea fatto anche prima in Roma) coll'amico Alberto cui tanto interessava sciogliersi bonariamente da questo condominio; ma non essendosi allora convenuti sul compenso preteso dal duca, e la cessione rimanendo sospesa, avvennero in seguito tali dissensioni per gelosia di stato, che proruppero nel 1517 in un grave alterco fra Alberto Pio e l'ambasciatore estense Beltrando Costabili nella stessa anticamera del papa in Roma: e vedremo da ultimo che il duca Alfonso colla sua politica temporeggiante riescì a farsi investire dell'intiero dominio di Carpi[142].
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