Veronica Cybo. Francesco Domenico Guerrazzi
sembra che a mala voglia vi si piegassero, perchè la Duchessa nella loro edizione offre una favella che non è tedesca nè italiana, comecchè partecipi di ambedue, a modo di que’ dannati che si tramutano nello Inferno del Dante:
Nè l’un nè l’altro già parea quel ch’era:
Come procede innanzi dall’ardore
Per lo papiro suso un color bruno,
Che non è nero ancora, e ’l bianco muore.
(XXV, 63-66.)
Adesso poi, dopo non meritato esilio, la Duchessa torna esultando ai luoghi del suo nascimento, e tutta commossa sospira questi versi dolcissimi:
Bella Italia, amate sponde,
Pur vi torno a riveder;
Trema in petto, e si confonde
L’alma oppressa dal piacer.
E come accade a ogni uomo, e più a ogni donna aspettata a qualche convegno, che per le scale si aggiusta i veli, e con le dita dà una giravolta ai bei cincinni di oro, — o vogli di ebano, — così ella ha curato correggere locuzioni e frasi per comparire tutta in punto e bene azzimata alla festa.
La Serpicina ricorda amarezza più acerba: non il bando del libro, ma sì dello scrittore. Certo non fu esilio nel Ponto, nè potevano i luoghi ispirarmi i Tristi; nonostante il cuore dell’uomo non si strappa dal seno della famiglia e da ogni cosa più caramente diletta senza che soffra; egli si abbarbica con fibre tanto sottili e dilicate, che male si può traslocare altrove senza vestigio di lagrime e di sangue! E non conto nulla le guaste fortune, i negozi perduti, e i danni appena riparabili. Pensando poi come mi avvenisse questo per avere pagato un debito di lode che la mia città teneva verso un suo figlio riuscito prestantissimo Capitano,[5] mi prese supremo fastidio della terra ingrata, ed aveva deliberato ripararmi in Inghilterra; ma nel luogo del mio esilio, per ordinario freddo e pieno di neve, in cotesto anno spirarono dolcissimi aliti, onde io sovente ebbi a ringraziare Dio che mitigava il vento allo agnello tosato; anzi giù nella valle, ove possiede una terra la duchessa Di Altemps, sul finire di febbraio nacquero rose, sicchè i cari ospiti, la vigilia della mia partenza dal paese, mi convitarono e nella salvietta mi fecero trovare con somma mia maraviglia una rosa rubiconda e odorifera; e mentre io la guardava fisso, uno degli astanti, consapevole del mio disegno di abbandonare la patria, così mi favellava:
E tu poeta, lascerai la terra
Delle rose nudrice a mezzo il verno?
E veramente non per virtù di fiori, imperciocchè sapessi come anticamente a Sibari soffocassero con le rose per estremo supplizio, ma nel pensiero che male avrei potuto trovare altrove tanto affetto e tanto gentile modo per esprimerlo, deposto giù ogni rancore dall’animo, mutai consiglio, e statuiva vivere e morire nella patria; e tu, o terra che cuopri le ossa di mio padre e di tutti quelli che ho amato, avrai anche le mie; e finchè vivo ogni mia facoltà pel tuo bene, e morente l’ultimo sospiro, perchè molto mi sei cara per le gioie che mi desti, — ma a mille doppi più assai pei dolori che mi costi. —
Da cotesto giorno pensando sopra la sentenza del Tintore, mi è venuto fatto confrontarla con quella che diceva il conte Piero Noferi: — Quando si hanno i colombi in colombaia bisogna sapere schiacciare loro il capo, — e con l’altra di Luca di Maso Albizzi: — Chi spicca lo impiccato, lo spiccato impicca lui,[6] — ambedue dirette a Monsignore Silvio da Cortona per indurlo a incrudelire contro i cittadini di Firenze che nel 1527 si erano resi a patto; e mi parvero scellerate queste due massime, non giusta quella del Tintore, perchè mettere le mani nel sangue dell’uomo non mi capacitava potesse costituire mai diritto legittimo dell’uomo: finalmente dopo molto meditarvi sopra, ho dovuto dare ragione al Tintore: — Dei serpenti, quando capitano sotto il calcagno, è carità schiacciare la testa.
Dei Nuovi Tartufi non dico parola: i tempi hanno reso il racconto più opportuno di quello che non avrei mai sperato, — o piuttosto temuto. Vedo una gente la quale a modo dei sacerdoti di Cibele saltando insanisce, fino a strapparsi le forze della virilità. Origène si castrava propter regna cœlorum; questi si castrano per andare a tenere compagnia a Piero Soderini nel Limbo. L’avventura degli antichi Abderitani i quali, narra Luciano, stettero ebbri tre giorni interi, ha cessato comparire favola, poichè la ubbriachezza di un popolo può durare, e i nuovi esperimenti lo mostrano, ancora degli anni. Intanto tra queste tenebre ove è mestieri procedere a tastoni io vo gridando le parole di Cristo: — Guardatevi dai falsi profeti: — voi li riconoscerete dai frutti loro. — Colgonsi uve dagli spini o fichi dai triboli? — Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, noi abbiamo profetizzato in tuo nome, ed in tuo nome cacciato demoni, e fatto in tuo nome molte potenti operazioni: ma io allora protesterò loro: — io non vi conobbi giammai: dipartitevi da me, voi tutti operatori d’iniquità.
E intendami chi vuol, che m’intendo io, come scrive Messere Francesco Petrarca.
I Discorsi in parte sono estratti dallo Indicatore Livornese, povero foglio morto di male di gocciola, o, come adesso si dice, di apoplessia fulminante. Cotesto povero foglio pareva avesse più debiti della lepre, e gli fu forza soccombere. Se quelli che disfanno sapessero quanto sia agevole rovinare, e quanto arduo costruire, prima di cancellare una cosa ci guarderebbero due volte. Lo Indicatore Livornese avrebbe creato una opinione tra gente che non ne possiede veruna; avrebbe somministrato adito per farsi conoscere ai giovani ingegni che poi andarono dispersi; li avrebbe con la emulazione fecondati; avrebbe messo ognuno al suo posto disfacendo vecchie reputazioni così di capacità come d’integrità salite sopra un trono di mozziconi di lumencristi o di diplomi accademici; avrebbe studiato le ragioni del commercio, sviluppato teorie di pubblica economia, diminuito e forse anche estinto (se pure è possibile mai!) il regno dei pedanti; avrebbe promosso il pubblico insegnamento lasciato per somma sventura in balía di uomini per la più parte ignorantissimi, o tali che balenano su l’orlo estremo della ragione come funambuli sul canapo senza contrappeso... Insomma avrebbe fatto del bene. — Certamente il foglio non procede senza peccati, ed ebbe le sue colpe; ma elle erano cose da perdonarsi, considerando che lo governavano giovani procaci, baldanzosi, e inesperti del mondo; ma non fu bel modo certo quello di correggere figliuoli forse un po’ inquieti col dare loro di una mazza sul capo, e distenderli morti.
Della utilità del povero foglio mi giovi referire questo soltanto, che, dopo lo scritto intorno le Sepolture di Santo Jacopo le disoneste associazioni cessarono; e che dopo lo scritto intorno ai Merini, i Toscani avvertiti si volsero a questo genere d’industria, e con quale e quanta efficacia lo dica l’Opera recentemente pubblicata sopra le nostre Maremme dal Dottore Antonio Salvagnoli.[7]
E se lo Indicatore Livornese viveva, forse non sarebbero state non che consumate, immaginate le tante insidie alle fortune private all’ombra di bugiarde speculazioni, per cui oggi i capitali inorriditi rifuggono dal concorrere a promuovere le utili imprese; no, il credito nostro non sarebbe andato disperso, non perdute le forze per cui le Consorterie operano monumenti colossali, nè si sarebbero svaligiati i capitalisti sopra i progetti di strade a vapore col mezzo delle azioni e promesse di azioni, come altra volta grassavansi i viaggiatori sopra le pubbliche vie con pistole e tromboni; — no, non avrebbero neanche osato far capolino tali che appartengono alla cittadinanza degli onesti come i panarecci alla mano, o le stincature alle gambe, o..............; lutto della città, e vergogna perfino a coloro che non affatto buoni ebbero la incautela di abbassarsi alpunto di accoglierli compagni.
Le Illustrazioni soltanto mi offrono materia di piacevole ricordo. Egregi Artisti, tra i quali a causa di onore devo nominare il Professore Perfetti, Bonaini livornese e Chiossone, dettero opera a incidere i quadri della I. e R. Accademia delle Belle Arti di Firenze: essi a proprie spese condussero la impresa a quel punto in cui oggi con ammirazione universale si vede. — Degna ed egregia gente! Eglino nel concetto di fare cosa che tornasse onorata alla patria si messero in cammino come Abramo, e confidando in Dio e nel proprio coraggio esclamarono col Patriarca: Deus providebit! — Io non ho potuto giovarvi come avrei desiderato, o egregi Artisti; non fu per mancanza di buon volere ma di potere, e prendo qui occasione di ringraziarvi solennemente perchè richiamandomi ai dilettissimi