Orlando Furioso. Lodovico Ariosto

Orlando Furioso - Lodovico Ariosto


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      Alquanto la sua istoria io vo' seguire.

      Dissi che domandava con gran cura,

      come potesse alla marina gire;

      che di Rinaldo avea tanta paura,

      che, non passando il mar, credea morire,

      né in tutta Europa si tenea sicura:

      ma l'eremita a bada la tenea,

      perché di star con lei piacere avea.

      31

      Quella rara bellezza il cor gli accese,

      e gli scaldò le frigide medolle:

      ma poi che vide che poco gli attese,

      e ch'oltra soggiornar seco non volle,

      di cento punte l'asinello offese;

      né di sua tardità però lo tolle:

      e poco va di passo e men di trotto,

      né stender gli si vuol la bestia sotto.

      32

      E perché molto dilungata s'era,

      e poco più, n'avria perduta l'orma,

      ricorse il frate alla spelonca nera,

      e di demoni uscir fece una torma:

      e ne sceglie uno di tutta la schiera,

      e del bisogno suo prima l'informa;

      poi lo fa entrare adosso al corridore,

      che via gli porta con la donna il core.

      33

      E qual sagace can, nel monte usato

      a volpi o lepri dar spesso la caccia,

      che se la fera andar vede da un lato,

      ne va da un altro, e par sprezzi la traccia;

      al varco poi lo sentono arrivato,

      che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:

      tal l'eremita per diversa strada

      aggiugnerà la donna ovunque vada.

      34

      Che sia il disegno suo, ben io comprendo:

      e dirollo anco a voi, ma in altro loco.

      Angelica di ciò nulla temendo,

      cavalcava a giornate, or molto or poco.

      Nel cavallo il demon si gìa coprendo,

      come si cuopre alcuna volta il fuoco,

      che con sì grave incendio poscia avampa,

      che non si estingue, e a pena se ne scampa.

      35

      Poi che la donna preso ebbe il sentiero

      dietro il gran mar che li Guasconi lava,

      tenendo appresso all'onde il suo destriero,

      dove l'umor la via più ferma dava;

      quel le fu tratto dal demonio fiero

      ne l'acqua sì, che dentro vi nuotava.

      Non sa che far la timida donzella,

      se non tenersi ferma in su la sella.

      36

      Per tirar briglia, non gli può dar volta:

      più e più sempre quel si caccia in alto.

      Ella tenea la vesta in su raccolta

      per non bagnarla, e traea i piedi in alto.

      Per le spalle la chioma iva disciolta,

      e l'aura le facea lascivo assalto.

      Stavano cheti tutti i maggior venti,

      forse a tanta beltà, col mare, attenti.

      37

      Ella volgea i begli occhi a terra invano,

      che bagnavan di pianto il viso e 'l seno,

      e vedea il lito andar sempre lontano

      e decrescer più sempre e venir meno.

      Il destrier, che nuotava a destra mano,

      dopo un gran giro la portò al terreno

      tra scuri sassi e spaventose grotte,

      già cominciando ad oscurar la notte.

      38

      Quando si vide sola in quel deserto,

      che a riguardarlo sol, mettea paura,

      ne l'ora che nel mar Febo coperto

      l'aria e la terra avea lasciata oscura,

      fermossi in atto ch'avria fatto incerto

      chiunque avesse vista sua figura,

      s'ella era donna sensitiva e vera,

      o sasso colorito in tal maniera.

      39

      Stupida e fissa ne la incerta sabbia,

      coi capelli disciolti e rabuffati,

      con le man giunte e con l'immote labbia,

      i languidi occhi al ciel tenea levati,

      come accusando il gran Motor che l'abbia

      tutti inclinati nel suo danno i fati.

      Immota e come attonita stè alquanto;

      poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.

      40

      Dicea: — Fortuna, che più a far ti resta

      acciò di me ti sazi e ti disfami?

      che dar ti posso omai più, se non questa

      misera vita? ma tu non la brami;

      ch'ora a trarla del mar sei stata presta,

      quando potea finir suoi giorni grami:

      perché ti parve di voler più ancora

      vedermi tormentar prima ch'io muora.

      41

      Ma che mi possi nuocere non veggio,

      più di quel che sin qui nociuto m'hai.

      Per te cacciata son del real seggio,

      dove più ritornar non spero mai:

      ho perduto l'onor, ch'è stato peggio;

      che, se ben con effetto io non peccai,

      io do però materia ch'ognun dica,

      ch'essendo vagabonda, io sia impudica.

      42

      Ch'aver può donna al mondo più di buono,

      a cui la castità levata sia?

      Mi nuoce, ahimè! ch'io son giovane, e sono

      tenuta bella, o sia vero o bugia.

      Già non ringrazio il ciel di questo dono;

      che di qui nasce ogni ruina mia:

      morto per questo fu Argalia mio frate,

      che poco gli giovar l'arme incantate:

      43

      per questo il re di Tartaria Agricane

      disfece il genitor mio Galafrone,

      ch'in India, del Cataio era gran Cane;

      onde io son giunta a tal condizione,

      che muto albergo da sera a dimane.

      Se


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