La Marfisa bizzarra. Gozzi Carlo

La Marfisa bizzarra - Gozzi Carlo


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se qualche scusa il misero allegava, con la granata via lo discacciava.

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      Bestemmiando com'una luterana: —Non vo' nessuno mi perda il rispetto,— grida per casa, e sfoga la mattana dando alle serve uno schiaffo, un puzzetto. Mai non si vide una dama sí strana. Se avea la febbre, non istava a letto; se stava ben, diceva esser inferma e volea star sotto le coltre ferma.

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      Ai medici, che andavano a trovarla e le dicevan:—Non avete nulla,— gridava:—Andate via, dottor da ciarla; voi capireste al polso una maciulla, e forse anche sapreste medicarla.— Infin dall'aspra bizzarra fanciulla, se il mal che non avea non confessavano, un orinal nel ceffo guadagnavano.

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      Ma sopra tutto ell'era stravagante giuocando alla bassetta al tavoliere, dove, per vie di dir, metteva su un fante quanti danar si ritrovava avere; poscia mandava il parolo e piú inante; perduti quelli, si facea tenere in sulla fede, e perdea quanto mai; s'io tel dico, lettor, nol crederai.

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      Poi disperatamente andava a casa, e non avendo danar nello scrigno, va rovistando masserizie e vasa, argenti e gioie, con il viso arcigno. Di cuffie e merli fa la cassa rasa per far dei pegni, ovver con qualche ordigno va guastando le toppe del fratello, e soldi invola e gemme e drappi a quello.

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      Infine non istá mai cheta un'ora, fuor che quando i romanzi suoi novelli legge con attenzione ed assapora, ch'era associata alla stampa di quelli; tal che sempre il cervello piú svapora. Que' fatti che leggea le parean belli, ed era partigiana imbestialita della nuova dottrina fuor uscita.

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      Or vorrebb'esser stata ballerina, or cantatrice divenir vorria, or commediante ed ora contadina, or zingara e pel mondo fuggir via, per donar argomento alla dottrina che fiorire in quel tempo si vedia, e lasciar la memoria assai famosa di sé per qualche libro alla franciosa.

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      E con gli amanti, che n'aveva cento, sopra a' romanzi va sottilizzando e discorrendo e lodando il talento di Marco e di Matteo di quando in quando. Gli amanti d'essa avevano spavento e cercan contentarla ragionando, e sol fra loro facevan schermaglia, perch'eran molti bracchi ad una quaglia.

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      E il numer sempre si facea maggiore, perché Marfisa tra gli altri pensieri a tutte l'altre dame volentieri; e quanto all'arte di far all'amore, non sia chi meglio saper farlo speri, perocché, quanto a questo, ella è decisa: non verrá al mondo una pari a Marfisa.

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      E benché dal Boiardo fu descritta moretta alquanto e bella oltremisura, io l'ho veduta su un quadro pitta e la trovai differente in figura. Occhio avea grande, d'imbusto diritta era, e non alta molto di statura, e pochissima carne avea sull'ossa, la chioma bionda, anzi potrei dir rossa.

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      Molte altre cose ancor le ho ricavate in certi versi del poeta Marco, il qual facea composizion sfoggiate per que' che Amore avea presi con l'arco, e guadagnava almen per le insalate da qualche amante nello spender parco. Basta, tra il quadro e quella descrizione, posso dar di Marfisa opinione.

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      Niente è vero ch'ella fosse bruna, anzi era bianca e un po' lentiginosa; nel seno non avea molta fortuna, ma fu in accomodarlo artifiziosa; la bocca a fare un ghignetto opportuna, la guardatura or dolce or dispettosa; le braccia, indi le mani alquanto asciutte, ma co' brillanti non parevan brutte.

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      Infin, per quanto potei rilevare, non si può dir Marfisa fosse bella. Giudico ben ch'ella sapesse fare, o fosse nata sotto alcuna stella da far i maschi tutti sospirare. Forse la bizzarria della donzella, le stravaganze e fierezze eran strali, ch'io n'ho veduti mille esempi tali.

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      Chi dirá di Rugger la penitenza, avendo una sorella come questa, che si potea chiamar la violenza, prodiga in una forma disonesta; ed una moglie, ch'era l'astinenza, che in tutto pel rovescio avea la testa, sendo la casa sua sempre in litigi e il tema delle lingue di Parigi?

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      Non c'era giorno che fra le cognate passasse senza rimproveri e grida: Rugger le ha mille volte separate, perché l'una con l'altra non s'uccida. Talor non mangia a mezzo, e le ha lasciate a mensa in man del ciel che le divida, e poi la notte dalla moglie avea tormenti che portar non gli potea.

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      La suora avea tentato maritarla pria con Leon, figliuol di Costantino imperator, ed egli di sposarla avea promesso, e il nodo era vicino, e come sposo andava a visitarla; ma scoprendo ogni giorno il cervellino e i bizzarri costumi della moda, pensò lasciarla alfin maggese e soda.

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      E perché il patto era ito innanzi molto e discior nol potea senza disnore, risolto avendo di non esser còlto marito d'una ch'avea troppo core, si finse un tratto divenuto stolto e di cader di furore in furore. Cinqu'anni ebbe la flemma a fare il matto, tanto che alfin fu lacero il contratto.

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      Di ciò Marfisa non ne dá un pistacchio; bastale aver di serventi un codazzo, e alla bassetta scaricare il bacchio, e non le manchi di romanzi un mazzo, e il cambiar fogge e il cappello e il pennacchio, e il poter a suo modo far rombazzo. Rugger s'affanna a troncar la sciagura, e trova un altro sposo e fa scrittura.

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      Ed era questa scritta col figliuolo di Desiderio, re de' longobardi. Gan da Pontier manda un suo messo a volo secretamente a dirgli che si guardi, ch'avea Marfisa d'amanti uno stuolo, e che si pentirebbe o tosto o tardi. Quel principe non bada a questa cosa, né vuol rompere il patto della sposa.

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      Gan che veder voleva un'altra scena, perché nimico è di Rugger mortale, fa dire alla fanciulla ad una cena, alla qual era un dí di carnevale, che suo fratello alla mazza la mena per servir Bradamante, e che quel tale non era a sua persona convenevole, sendo in man d'un norcino e cagionevole.

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      Non è da dir se Marfisa s'accese a questa nuova, fosse falsa o vera. Va predicando per tutto il paese due gran tristi, Rugger e la mogliera; e scrive al cavalier com'ella intese alcun'accuse, e faccia una bandiera della scritta nuziale, o ad una rocca un cartoccino, o si netti la bocca.

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      Rugger fu quasi per scoppiar di rabbia. Don Guottibuossi, prete suo di casa, fe' tutto acciò Marfisa si riabbia, ma quella serpe non fu persuasa. Or qui non so come a narrare io v'abbia della scrittura che a pezzi è rimasa. Turpin ha scritto: «Ella fu lacerata dal longobardo e addietro rimandata».

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      Altri han cercato oscurar la faccenda, e forse per onor del buon Ruggero scrivono in altro modo una leggenda, che a lacerarla egli fosse il primiero. Comunque fosse, e' basta che s'intenda ch'ebbe l'intento Ganellone intero, e che per questo caso Rugger ebbe un disonor che dir non si potrebbe.

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      Anche Marfisa non avea vantaggio ed era screditata nella fama. L'opre bizzarre e varie ed il coraggio e il vivere alla moda della dama venía chiamato in francese linguaggio ciò che «pazzia» nell'Italia si chiama, e dell'etá non era tanto fresca da seguir con fortuna la sua tresca.

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      In queste circostanze dolorose è la magion del gran Rugger di Risa. Ma mi convien ordinar l'altre cose e lasciar cheta un pocolin Marfisa. Or udirete le imprese famose di Filinoro, e fatti d'altra guisa, e come venne a Carlo di Guascogna, perocché ordir la tela pur bisogna.

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      Filinor di Guascogna un giovanetto era nobil di stirpe e bello assai. Passava presso a molti uom d'intelletto, nelle conversazion non tacea mai; parea ch'ogni materia avesse letto. Io so, lettor, che te ne stupirai s'era stimato dotto, e non so come, si può dir che scrivea male il suo nome.

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