La Vita Italiana nel Settecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1895. Autori vari

La Vita Italiana nel Settecento: Conferenze tenute a Firenze nel 1895 - Autori vari


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spagnuoli; i capelli della duchessa sono biondicci e attorti da una cordicella d'oro, come nel ritratto fattole dal Bronzino. Francesco e Giovanna d'Austria sono tuttavia in assai buon arnese di corpo e d'abiti; ricchissimi quelli della povera Austriaca, dalle cui orecchie brillano sinistramente fra quel putridume due bottoncini d'oro. Presso ai genitori l'unico figlio Filippo, che fu creduto vittima di veleno della druda Cappello; e poi il supposto rampollo maschile di questa, don Antonio: ma il corpo della sciagurata figlia di San Marco, gettato, com'è noto, nel carnaio o sepoltura popolare, è meritamente disperso. Ferdinando I giace ravvolto nella sua cappa magna di gran maestro dell'Ordine di Santo Stefano: e il simbolico re delle api, col motto “pur con la maestà„, lo ha dalla base della statua equestre seguitato fin colaggiù, sopr'una delle medaglie che gli posano sul petto. La moglie Cristina di Lorena ha essa pure sul petto una medaglia col ritratto di lui: e coi genitori sono adagiate Eleonora, morta a ventisei anni in accorata aspettativa di regie desiderate nozze con Filippo III di Spagna; e Maria Maddalena, essa pure mancata giovane, a trentatrè anni, monaca fra le domenicane della Crocetta. D'un altro loro figliuolo, il principe Lorenzo, la memoria latina, scolpitagli in una lamina di piombo, piamente epigrammeggia: “O tu che di qui a molti anni leggerai, difficile che tu sia quel che costui già fu; quel che è ora, facilissimo.„ Ma più austero ammonimento dà quest'altro piombo, sepolto con un di quei molti figliuoli naturali di principi della casa, Pietro del tristo Don Pietro di Cosimo: “Chiunque apra questa tomba, legga: ci guadagnerà. Nato in Spagna, accolto amorevolmente in Firenze da Ferdinando I, da Cosimo II, da Ferdinando II, cavaliere di Malta, soldato in Germania, governatore di Livorno: da vecchio, cieco e sfinito. Tutto tempo perduto. Ecco, a te che leggi, il guadagno che ti ho promesso„. E un altro morto, della medesima categoria di figliuoli, figliuolo di Don Antonio e dell'Artemisia Tozzi, ossia un nipote della Cappello: “Senti, o leggitore di qui a molti secoli, ciò che le ossa mie dicono.„ (E qui egli racconta la vita sua militare). “T'ho detto chi fui: chi sii tu, non lo so; che cosa sarai, l'ho per esperienza, polvere e ombra. Ti pagherò l'indugio. Sprezza l'oro e gli onori, fuggi i piaceri, sementa di travagli, d'affanni e di pentimento. Paolo de' Medici.„ E un altro bastardo fratello di lui (singolari, sia permesso il notarlo, queste allocuzioni morali di sotto terra, per l'appunto dai generati in quella maniera), Antonfrancesco Maria, vestitosi in morte da cappuccino: “Udite la voce che grida nel deserto di questo feretro: meglio un sol giorno con questo cilizio fra i poverelli di Dio, che lungamente nella reggia fra l'oro e le gemme.„ Cosimo II, morto appena a trent'anni, ha presso di sè, trasferita da Padova, dove mancò in viaggio, la sua vedova Maria Maddalena: le rispettive medaglie dicono, quella di lui: “Premio di virtù„; di lei, “Al cielo„. Ferdinando II, nella solita cappa stefaniana e con le sue medaglie, è iperboleggiato così: “Tu che fra questi avanzi mortali vedi il principe che fu, ripensa l'eroe: piangi? stupisci?„ Di che cosa? — verrebbe voglia di domandare — e dove l'eroe? Ma la sua Vittoria della Rovere mostra ancora le trine bianche e nere dell'abito; e nel rovescio della sua medaglia, Galatea solleva dalle acque la perla simboleggiante il candore della virtù. Seguono il principe soldato Mattias, e cardinali della casa, Carlo, Giancarlo (poco o male memorabili), e ben diverso il buon Leopoldo in vesti pontificali, sul petto degnamente la croce, intatti i lunghi capelli: la iscrizione plumbea ricorda il suo amore per le scienze; ma dovrebbe, espressamente, il Cimento. Ultimi Cosimo III e Giangastone, sicuri qui finalmente dalle rispettive consorti; e la Elettrice Palatina; in lenzuoli di seta nera, con grandi medaglie, e lunghe diciture epigrafiche.

      Ma storia pietosa (la tomba, che tante ne raccoglie e conchiude, ne ha qui svolta una essa stessa) storia pietosa è quella di due fra questi depositi: commovente epilogo d'uno di quei malaccoppiamenti, lungo i quali la razza granducale medicea si logorò e si spense. Ferdinando che avrebbe dovuto essere terzo mediceo, e granduca invece del minor fratello Giangastone, ha, depositatogli a' piedi, in un vasetto di maiolica coperto d'un drappo nero, il cuore della principessa datagli in moglie Violante Beatrice di Baviera, morta, diciassett'anni dopo lui, nel 1731: virtuosa moglie, affettuosa, non bella, di marito libertino che mai non l'amò, mentr'essa (lo dice l'iscrizione, questa volta verace pur troppo) essa “coniuge amantissima, impose per testamento, che il cuor suo, donatogli nelle nozze, gli fosse ricongiunto in morte e collocato nel sepolcro stesso di lui„: con lui il cuore; e il corpo, così pure ella ingiungeva, riposasse nella chiesa delle monache di Santa Teresa in Borgo la Croce. E vi riposò fino al 1810, quando, dissacrata la chiesa, il Governo francese curò il trasporto di quelle ossa travagliate alla basilica Laurenziana. Restituita, in quella recognizione del 1857, al luogo da lei decretatosi, e che era ritornato ad essere sacro, colà rimane tuttora; non senza però aver corso pericolo, dopo la soppressione ultima e l'adattamento dell'antico monastero a penitenziario, di trovarsi novamente in terreno dissacrato, e a dover tornare per la seconda volta ai sepolcri di quella famiglia nella cui reggia non le fu felice l'ingresso. La chiesa di Santa Teresa è divenuta oratorio delle prigioni: e il corpo di “Violante Beatrice Gran Principessa di Toscana„ (come dice il titolo sovrapposto) rimane tuttavia all'ombra del santuario: ma senza le preci, rimane, là in quell'angolo lasciato a Dio nella trista casa del male, senza le preci delle sorelle in Cristo, che la povera bavarese volle e sperò risonassero perpetue sul suo capo infelice; mentre nel sotterraneo mediceo finirà di disfarsi quel ch'ella in vita ebbe dato a un Medici con auspicî sì tristi: il suo cuore buono di donna!

       Indice

      Ed ora torniamo, Signore gentili, fuori del buio dei sepolcri, alla luce e alla vita.

      Dal Comune artigiano alla supremazia medicea, dai Medici cittadini ai Medici granduchi, da questi ai Lorenesi, Firenze nostra, la Firenze del sentimento e del pensiero, della scienza e dell'arte, tenne quasi in grembo una non piccola porzione delle sorti d'Italia; come nel tesoro della lingua ella custodiva il suggello del nostro esser nazione. Que' due principati, fatta pur ragione dei meriti o demeriti rispettivi di quelli undici granduchi, furono nella storia della nostra regione fenomeno passeggero: non era in essi Firenze, non la Toscana. E quando sulla torre di Palazzo Vecchio si spiegò al sole dei nuovi tempi, fra i tre sospirati colori, la Croce della sola monarchia nostra naturale e legittima, non fu soltanto l'unità d'Italia che si affermava su quella bandiera, ma anche il diritto rivendicato della nostra gloriosa Repubblica. E rivendicato il diritto, Firenze ha saputo nobilmente adempire il dovere.

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