Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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anche lui e fissò Giacomo negli occhi.

      «Che cosa non è possibile?»

      Ma trattenne l’altro, con un gesto.

      «No! Non rispondete! Non mi interessa quel che a voi sembra possibile o impossibile. Ditemi i fatti. Quel signore chi era?»

      Il cameriere aveva ritrovato un poco della sua freddezza.

      «Il padre della signorina. Il conte Marchionni. Io mi dissi subito, vedendolo, che era necessario avvertire il padrone. Egli non avrebbe forse desiderato che il padre incontrasse qui la propria figlia, pensai. E cercai di fargli segno che non entrasse qui dentro, ma lui non mi capì…»

      «E sono entrati… E hanno trovata la signorina?»

      «No, no… La signorina dovette sentire le voci… Non so… Il fatto è che si era nascosta di là, nella camera da pranzo…»

      De Vincenzi sussultò. Gli sembrava di cominciare a capire.

      «Ah! E poi?»

      «Il padrone col conte rimasero in questa camera molto tempo. Qualche ora. Discutevano…»

      De Vincenzi lo interruppe con un gesto. Fissava l’uscio del salottino. Vi si diresse e guardò dentro, ma non vide né Marchionni, né Harrington.

      Dovevano trovarsi nella camera da letto o nel bagno. Ebbe un movimento di soddisfazione e chiuse accuratamente l’uscio del salottino. Poi tornò verso il cameriere e gli disse, sommessamente:

      «Discutevano, dunque. A voce alta?»

      «Sì… Così… Ogni tanto si sentiva qualche scoppio di voce e poi le voci tacevano, per riprendere a parlare pacatamente.»

      «E la signorina?»

      «Rimase di là una mezz’ora. Poi improvvisamente la vidi uscire dalla porta, che dà in cucina. Era bianca come un panno lavato. Mi disse: “Giacomo, direte al vostro padrone che sono venuta e che non ho potuto attendere. Lo vedrò stasera a teatro.» L’accompagnai all’uscio delle scale, facendo attenzione a che questa porta fosse chiusa e che coloro che stavano in sala da pranzo non potessero vederla. Così la signorina andò via. Questo è tutto.»

      «E il padre non la vide?»

      «No, non credo.»

      «E quando il vostro padrone e il conte parlavano, voi naturalmente…»

      Dal salottino vennero le voci del conte e di Harrington.

      De Vincenzi si avvicinò rapido al cameriere e lo spinse verso l’ingresso.

      «Basta! Continueremo dopo!»

      La porta del salottino si apriva e il conte vi apparve con Harrington. Marchionni si diresse immediatamente verso De Vincenzi. Aveva l’aria ancor più ironica e gli chiese con voce sibilante:

      «È stato fatto ogni rilievo in quelle camere, non è vero, dottore?»

      Si accorse allora di Giacomo e, indicandolo, disse:

      «Questi è il cameriere di… Del…»

      «Sì, signor conte,» interruppe De Vincenzi. «Questi è il cameriere di Aurigi, che lei deve conoscere, naturalmente, perché anche nel pomeriggio di ieri ebbe occasione di vederlo.»

      Il conte aveva trasalito, ma vinse rapidamente il leggero turbamento, che lo aveva invaso.

      «Può darsi… Non credo sia cosa importante, questa! Mi sembra molto più importante, invece, quel che ha da dirle Harrington.»

      «Ah! Harrington ha potuto perfezionare la sua teoria?»

      Sempre più fatuo e trionfante, il detective rispose:

      «Appena alcuni punti, cavaliere. E per raggiungere tale risultato non mi è stato necessario che di osservare. Loro avevano toccato tutto, ma si sa!… qualcosa può sfuggire. Per esempio, in terra, lì in quel salottino, sotto una poltrona, ho trovato questo…»

      De Vincenzi prese il talloncino e l’osservò. Poi sollevato il capo, mandò un piccolo sibilo e guardò Harrington. Poveretto, pensava tra sé, almeno questa soddisfazione diamogliela!

      E a voce alta disse:

      «La metà di un biglietto di poltrona alla “Scala”.»

      «Numero 34 H. A destra. La data di ieri,» commentò trionfalmente il detective.

      Una vivissima gioia gli si era dipinta sul volto, piccino e grinzoso, che risplendeva in modo tale da offuscare per un momento persino i raggi del grosso brillante della cravatta.

      Il conte intervenne, con voce gelida:

      «La poltrona di Aurigi.»

      «So benissimo che lei non sbaglia,» disse De Vincenzi, voltandosi verso Marchionni, con un sorriso, «affermando che era la poltrona di Aurigi.»

      «Non sbaglio, infatti! Durante il primo atto, prima di venire nel nostro palco, Aurigi era in poltrona e ricordo benissimo la fila.»

      «Certo, certo!» fece De Vincenzi. «Allora, diremo che questa è una prova… la prova che Aurigi è venuto qui dentro, dopo essere stato a teatro…»

      «Qui, in casa sua… e in quel salottino…» sottolineò Harrington.

      «Già!» mormorò De Vincenzi, pensieroso.

      Dopo un silenzio, si volse verso il detective:

      «E allora, Harrington, esponetemi la vostra teoria.»

      «Oh! non credo di rivelarle una grande novità, dicendole che…»

      Si era messo in posa di oratore. Stava per prendersi la rivincita. Ma il telefono squillò nell’anticamera.

      «Permettete…» disse De Vincenzi e si diresse rapidamente verso il fondo.

      Staccò il ricevitore e poco dopo lo si sentiva parlare.

      «Pronto!… Sì… Sono io, commendatore… Oh! per ora nulla… Sarò da lei a mezzogiorno e le riferirò… No, non così semplicemente… certo!… Non farò dichiarazioni di nessuna sorta alla stampa. Ah!… le hanno già portati i risultati della perizia… Sì, grazie… Come dice?… Sul libro mastro? Sotto la data di ieri… Curioso!… Dico che è curioso e terribile. Le spiegherò poi, commendatore. Arrivederla…»

      Riappese il ricevitore e rimase qualche istante a contemplare il vuoto. Dunque? Certo quanto gli aveva detto il Questore lo aveva profondamente turbato e dovette fermarsi qualche minuto nell’anticamera, perché non voleva mostrare il proprio turbamento a quegli altri due.

      Finalmente, tornò nella sala da pranzo.

      «Già!… Dicevamo…» parlava in fretta. «Eravate voi, anzi, Harrington, che stavate per espormi la vostra teoria. Dunque?»

      Harrington si rimise in posa.

      «Dicevo che gli indizi e le prove… la deduzione e il buon senso… tutto il quadro del delitto… il calcolo delle ore… le causali… la psicologia delle persone coinvolte… tutto sta a dimostrare che l’assassino è uno solo e non può essere che Aurigi…»

      De Vincenzi si era messo a sedere e guardava Harrington, ascoltandolo con ostentato interesse.

      «Già!» disse, interrompendolo. «Dunque, Aurigi avrebbe dato appuntamento in casa sua a Garlini… Sarebbe venuto qui dal teatro… vi avrebbe incontrato il banchiere… e lo avrebbe ucciso… È così?»

      Harrington non si accorse dell’ironia, che era nelle parole del commissario, ed esclamò con forza:

      «Perbacco!»

      «E la causale del delitto quale sarebbe, secondo voi?» chiese il commissario con voce pacata.

      L’altro alzò le spalle con commiserazione.

      «Il


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