Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
Qualche suo compagno, in collegio, lo chiamava poeta, per riderne, naturalmente. E lui era tanto poeta, che si era messo a fare il commissario di polizia…
Stava per aprire la porta e uscire, quando squillò il telefono. Sussultò. A quell’ora!
Andò all’apparecchio e prese il cornetto.
«Pronto! Squadra Mobile… Pronto!… Pronto!…».
Nessuno rispondeva. Ripeté ancora il pronto e poi depose il cornetto sui ganci della scatola nera. Doveva essere stato uno sbaglio. Fece qualche passo verso la porta, per andarsene finalmente. Ma esitava. Tornò indietro, riprese il telefono, parlò col centralino della Questura.
«Hai chiamato la Squadra Mobile, tu?».
La voce del telefonista rispose subito.
«Sicuro, dottore. Non ha parlato?».
«Ma no! Non c’era nessuno!».
«Strano! Ho sentito una voce di donna. Chiedeva un commissario… Sembrava ansiosa… Io le ho dato la Squadra, perché so che di solito lei alle sette c’è ancora, mentre gli altri dormono o non sono arrivati…», «Una voce di donna? Ne sei sicuro?».
«Sì…».
«E non t’ha detto altro?».
«M’ha detto: Un commissario! Posso parlare con un commissario? Di che si tratta? ho chiesto io… Fatemi parlare con un commissario, ve ne scongiuro!… E io ho subito infilato la spina al suo numero…».
«Bene. Mi trattengo ancora dieci minuti. Se torna a chiamare, fa’ attenzione…».
E sedette, aspettando. S’era messo il cappello in testa. Guardava fuori dell’inferriata nel cortile un albero stento e gramo, che già rinverdiva, quasi fosse entrato in convalescenza da una malattia. Pensava. A un tratto si chiese: perché le piante rinascono a ogni stagione, ritrovano la forza, la bellezza, la giovinezza e gli uomini no?
Rammentò la chiusa del “De Profundis” di Oscar Wilde, che lui aveva letto in collegio e che certo aveva molto influito sul suo pensiero: Al di là del muro della mia prigione vi sono alcuni poveri alberi neri di fuliggine, che stanno per coprirsi di gemme di un verde quasi acuto. So con certezza quel che accade a loro: cercano espressione.
Anche lui aveva cercato espressione e aveva finito col fare il commissario di polizia per trovarla! Ma quella stanza con le inferriate per lui non era forse anch’essa una prigione?
Dopo un quarto d’ora di attesa, fu lui che chiamò il telefonista.
«Nessuno?».
«Nessuno più, cavaliere…».
Ebbe un’esitazione, ma fu breve.
«Me ne vado, allora. Alle 14, sarò di nuovo in ufficio».
«Bene, cavaliere».
De Vincenzi uscì e, poco dopo, traversava lentamente piazza San Fedele e poi piazza della Scala, che i getti d’acqua delle pompe inondavano sotto i primi raggi del sole.
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Capitolo primo
Dopo un’ora di sonno
«È venuto a casa alle otto e si è messo a letto. Sono le nove e voi lo venite a chiamare! Oh! Dov’è stato tutta la notte il commissario?».
Cruni sorrise, guardando la donna, che si teneva sulla soglia della porta, quasi a sbarrargliela.
Una buona vecchietta, la domestica del commissario De Vincenzi, che era stata la sua balia e che non aveva più voluto lasciarlo. Cruni lo sapeva.
«È stato in Questura, signora Antonietta, è stato in Questura!».
«Oh! Allora?» esclamò concitatamente la donna, sempre a voce bassa, facendosi tutta rossa ai pomelli. «Oh! Ma volete la pelle di quel ragazzo? Per lo stipendio che gli date! Col suo ingegno!…».
«Appunto, signora Antonietta, appunto perché ha ingegno, chiamano sempre lui. È il migliore!».
Cruni pensava quel che diceva, perché aveva una grande ammirazione pel suo Capo; ma, anche se non lo avesse pensato, lo avrebbe detto per rabbonire la vecchia. Lei, infatti, s’illuminò tutta a quelle parole e sollevò le spalle ed eresse il corpicino magro, stretto nell’abito nero, che neppure il vasto grembiule bianco riusciva a ingoffire.
«Ma non è carità! Se vi muore, come fate?».
«Non morirà, vedrete! Andrebbe in collera, invece, se non lo chiamaste. È cosa grave, sapete? E lo vuole il Questore, subito!».
La donna si trasse da parte con un gesto di rassegnazione.
«Entrate e chiamatelo voi, allora. Ma adagino, neh! Anzi, aspettate! Vado io».
Bussò pianino alla porta della camera del padrone, poi girò il saliscendi, e avanzò diritta nel buio verso la finestra. Spalancò gli scuri e la stanza si empì di luce.
De Vincenzi aprì gli occhi, mugolò e, di colpo, si levò a sedere sul letto.
«Che è accaduto, Antonietta?».
«Il solito, figliuolo mio! C’è il brigadiere, che la vuole subito!… Non volevo svegliarla; ma lui ha insistito».
«Bene. Fallo entrare e portami il caffè».
Cruni entrò in fretta, dimenandosi sulle gambe corte e muovendo le mani attorno alla tesa del cappello.
«Mi perdoni, dottore! Ma il Questore la prega di andar subito da lui».
«Perché? Lo sai?».
«Lo immagino. Hanno trovato un morto in via Corridoni, nella bottega di un libraio…».
«E non ci sono altri commissari a San Fedele? E non c’è il Commissariato di via della Signora?».
«Che vuole, cavaliere? Pare che sia una cosa grossa. Roba da Squadra Mobile. Il Questore ha parlato col vicecommissario e il dottor Sani m’ha dato l’ordine di venire a chiamar lei».
Antonietta arrivava col caffè.
«Preparami il bagno!».
E De Vincenzi saltò dal letto.
«Aspettami di là, Cruni. Faccio presto».
Dopo una ventina di minuti prendevano un tassì, perché De Vincenzi abitava al Sempione e Cruni diceva che non c’era tempo da perdere.
«Tempo da perdere a vedere un morto!» brontolò De Vincenzi.
Ma intanto si ricordò che quel giorno era il 21 marzo e il Sole entrava nella costellazione dell’Ariete e che proprio quella mattina gli avevano portato quattro ferri chirurgici e un camice… «Prego consegnare alla Questura»,..
«Sai null’altro del delitto, tu? E si tratta di un delitto, poi?».
«Ho sentito parlare di due palle nell’occipite».
«Chi è il morto?».
«Non so… Ma sembra qualcuno d’importanza…».
«In una libreria!».
«Ma già! Deve essere quel negozio di libri proprio al principio di via Corridoni… a destra… dove prima c’era una tipografia…».
«Allora, tu non sai nulla?».
«Nulla, cavaliere. Anch’io ho finito il servizio alle otto e mi trovavo in ufficio per caso. Il dottor Sani ha voluto mandar proprio me a casa sua, dicendo che lei mi preferisce agli altri…».
De Vincenzi sorrise. Era vero, però, che lui lavorava, conducendosi sempre dietro Cruni a preferenza di ogni altro. Gli voleva bene e se ne fidava.
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