Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
cavaliere».
«Cominciamo male, Harrington!».
«Eppure è la verità. Che crede lei, che io non ci metta il mio punto d’onore a render qualche servigio alla Questura, anche senza guadagno?».
«Uhm! E voi siete convinto che quella specie di rottame umano… quel bigatt, che vive nell’ombra della notte, rubacchiando qualche gallina o quel che gli capita dalle aie e per le cascine… abbia potuto uccidere il senatore Magni e proprio lì dove è stato ucciso… nel retrobottega d’un negozio di libri antichi?».
«Lo avrà ucciso fuori e poi trasportato là dentro! Lei conosce il casamento di via Corridoni?».
«Lo conosco. Ma il senatore è stato ucciso dentro il negozio e non fuori».
«Come fa a saperlo?».
«Lo so. E poi… dov’è la rivoltella? Voi avete trovato l’assassino…».
«Non l’ho trovato io, cavaliere!» protestò con foga improvvisa il detective. «Mettiamo bene in chiaro questo punto. Da me è venuto il Panzeri a dirmi: “So chi ha fatto il colpo di via Corridoni e della Darsena”. E mi sono affrettato ad avvertire il commissario Roberti…».
«Perché proprio lui?».
«Perché il bigatt se la fa pel Carrobbio e per Porta Ticinese… e io volevo che lo arrestasse quel Commissariato prima ancora d’avvertire la Centrale…».
«Ah! Volevate prepararmi tutto il servizio pronto, eh?».
«Che c’è di male? Questo le dimostra i miei scrupoli…».
«Già… Ma fatemi riprendere il filo… Come spiegate che non s’è trovato né il cappello, né il soprabito… né la rivoltella?».
Harrington agitò la mano in aria e il brillante s’accese di tutti i suoi fuochi.
«Distrutti… nascosti. L’uomo sarà stato preso da paura dopo il colloquio col Panzeri».
«Un ladro inveterato come il Ravizzani non distrugge la refurtiva… dovesse valere quattro soldi. E in quanto alla rivoltella…».
«Vedrà che la rivoltella salterà fuori, cavaliere!».
De Vincenzi corrugò la fronte.
«Badate, Harrington!» pronunciò lentamente. «Se mi fate ritrovare anche la rivoltella, vi metto in guardina e vi ci tengo per un pezzo!».
Il detective si fece bianco. Fissò il commissario con occhi atterriti.
«Che vuol dire, cavaliere?».
«Quello che ho detto».
«Ma… ma come fa a supporre che io?… Oh!».
Ebbe un gesto d’indignazione.
De Vincenzi sorrise con cordiale bonomia!
«Su via. Harrington. Ditemi per incarico di chi state arrischiando la galera?».
«La galera? Ma che dice, cavaliere? E un insulto… Vent’anni di mestiere onorato!… Non un solo incidente… Che cosa possono dire a San Fedele di me e della mia Agenzia?… Appena tre giorni fa, ho dato cinquecento lire per le Opere Assistenziali!…».
«Quando?».
«Tre giorni fa… Vuol vedere la ricevuta?».
«Ci credo, Harrington! Siete un nobile filantropo, voi! Ma questo non impedisce che non mi abbiate ancora detto chi sia stato a darvi l’incarico di ritrovare l’assassino, tre giorni fa».
«Ma nessuno, per Dio!…».
«Perché non dite: by Jove, Harrington? Tutti i detectives americani dicono by Jove!…».
L’altro si fece rosso come un gallinaccio. L’indignazione lo soffocava.
«Oh! Come fa a scherzare, in un momento così grave!… Non è serio!».
«Ma chi vi ha detto che io vi prenda sul serio, Harrington? Del resto, voi vi chiamate Caputo e, se avete voluto mettervi il nome di Harrington, perché non dovreste darvi anche una certa vernice… americana? Il mio non era che un suggerimento!».
Il detective si alzò. Era livido; le labbra gli tremavano.
Voleva continuare a mostrarsi indignato, ma gli passavano bagliori di smarrimento negli occhi. «Domattina, andrò dal Questore! Non è bello quel che lei fa a un galantuomo, che s’è dato ogni pena per servirla, al solo fine della giustizia! Non è bello!…».
«Calmatevi, Harrington! Se mi dite per conto di chi lavorate, vi prometto che non avrete noie».
«Ho detto la verità, cavaliere! Perché non vuol credermi?».
De Vincenzi capì che neppure con la tortura quello avrebbe rivelato il nome della persona, che evidentemente lo aveva pagato per non dirlo. Doveva essersi venduto a caro prezzo. E quel segreto, in mano sua, valeva tant’oro di zecca, non v’era dubbio!
«Sta bene. Ma se mi fate mandare in carcere un innocente… se avete accumulato tali prove contro il bigatt, da perderlo… l’avrete a fare con me, Caputo, e vi garantisco che non sono tanto innocuo quanto sembro!».
Harrington si accorse che il commissario non scherzava.
«Mi meraviglio!» mormorò. «I fatti mi daranno ragione… Io non ho mai avuto il più piccolo dubbio sulla correttezza del Panzeri… È un uomo timorato di Dio…».
«Vedremo. Può darsi che io abbia mal giudicato, non è vero, Harrington? Speriamolo. Io lo spero per voi. E, per ora, non ho altro da dirvi. Arrivederci!».
«Buona notte!» ma rimase qualche istante ancora nel cerchio di luce.
Poi si volse e si diresse lentamente verso la porta.
«Harrington…» chiamò con voce pacata il commissario. «Mi dica!».
Si fermò.
«Harrington… ricordatevi del mio consiglio… Non mi fate ritrovare la rivoltella!».
«Oh!…».
Alzò le spalle e uscì.
De Vincenzi sorrise. Si sentiva più leggero, adesso.
Aveva ritrovato quel suo fervore febbrile, il fervore di quando si avvicinava alla verità. Dopo tre giorni di atroce indecisione, ora capiva d’essere sulla buona strada. Sorrise di nuovo. Quale strada? Non sapeva ancora nulla di nulla, lui! Non un nome. Non un indizio buono. Ma appunto quell’assoluta mancanza di indizi gli dava la sicurezza che avrebbe ritrovato il delinquente. Costui si sarebbe perduto per la sua stessa abilità. Il fatto medesimo di avere inscenato tutta quella commedia del bigatt glielo dimostrava.
Si alzò. Girò il commutatore, che accendeva la luce in mezzo al soffitto e spense quella lampada bassa, di cui si serviva come d’un proiettore.
Sani era apparso sulla soglia.
«E così?».
«Cominciamo a camminare».
«Lo so».
«Perché?».
«Perché tu sei tornato a esser tu!».
«Ho passato tre brutti giorni, Sani!».
«Me ne sono accorto!».
«E ne passerò ancora dei bruttissimi, lo sento!».
«Non importa. Vincerai anche questa volta».
«Lo spero!».
«Io ne sono sicuro… Te ne vai?».
«Sì, vado a letto. Domattina il ballo comincerà assai presto».
«Vuoi che mi trovi qui anch’io di buon’ora?».