Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota. Otello Cavara
Io non mi abituerei. Si figuri che m'infastidisce guardare giù dal terzo piano. A che altezza vanno loro?
— Anche a 5000 metri.
— La saluto. Mi vien male a sentirlo dire soltanto.
Il contatto continuo con il fascino e l'incognita del volo abitua il pilota a famigliarizzarsi con superiori concetti di vita. Il sistematico esercizio di difendersi ogni minuto, ogni secondo da mortali insidie, lo arma di una filosofia serena, robusta, da cui il trepidante, pavido, assoluto attaccamento alla vita rimane estraneo. Non che l'aviatore sia indifferente alla vita. Anzi ciò che fa di lui un vittorioso è il senso acuto dell'esistenza che lo porta a superare i limiti mediocri, a dominare una più ampia vastità di sensazioni e di spazi, a riconquistare ogni giorno, affrontando necessari perigli, il diritto, la gioia di vivere. Ma l'aviatore nel segreto del suo fervore sente che le sensazioni da cui è pervaso sono così fulgide da ripagarlo d'ogni più grave eventualità. Sente cioè che è importante più che vivere molto, vivere intensamente e utilmente anche se in breve spazio di tempo. Il coraggio è la sua aspirazione, il suo ansioso desiderio. Giunge un momento in cui il mistero della sua psicologia si svela: il momento in cui una cupa minaccia lo affronta in volo. O lo coglie un'invincibile tendenza a precipitosamente scendere, oppure si afferma in lui un'opposizione sdegnosa alla catastrofe e quindi un ponderato, sagace impiego delle sue energie istintive e di esperienza.
In queste battaglie si allena il combattente del cielo: superate le prime avversità naturali si prepara a vincere quelle dell'aviazione nemica.
È il milite nuovo che fa suo e più ampio il motto del mare: «Vivere non è necessario, ma navigare e volare sì».
La conquista del brevetto.
Se Diogene capitasse col suo lanternino in una scuola d'aviazione troverebbe finalmente i soggetti da lui ricercati: i candidati al brevetto, i quali sono dei saggi o almeno dovrebbero essere tali.
Quando s'avvicinano alla gran prova essi s'impongono rigorosamente — c'è pure chi non fa nulla di tutto ciò — il regime dell'equilibrio: nessuna esuberanza, nervi a posto, sobri alla mensa, presto a letto, coronando così un periodo di assestamento indispensabile per comportarsi con calcolata energia in cospetto dì qualsiasi sorpresa aviatoria. Il ritmo della scuola, la successione dei voli avevano già iniziato il consolidamento, l'educazione del loro organismo. L'equilibrio fisico del volo è in diretto rapporto con l'equilibrio morale del pilota.
Il candidato all'aquila o alla corona — per il primo brevetto si fregia dell'aquila e pel secondo sovrappone all'aquila la corona — si crea un programma attentamente meditato in cui rendimento d'apparecchio, quota da raggiungere, durata del volo e caratteristiche dell'atmosfera e del paesaggio costituiscono un tutto da attuare. L'io del partente è da giorni mobilitato e isolato: prova l'illusione che la vita aviatoria sia l'unica sua vita, immemore d'ogni altra vicenda estranea.
La partenza è imminente. I colleghi coadiuvano il brevettando nella accurata toilette del volo, destinata a fronteggiare la temperatura delle alte quote, e lo accompagnano allo scalo come fanno le comari intorno alla novella sposa che va all'altare; altri colleghi con i meccanici passano definitivamente in rassegna l'apparecchio; il capo pilota interviene a sua volta con raccomandazioni, avvertimenti.... Nessun augurio, nessun accenno di commiato, quasi questo volo costituisse un episodio usuale: poichè nella vita di un aviatore novizio, un brevetto è un avvenimento eccezionale, irto di incognite, è consuetudine che le apparenze di contorno attenuino il senso di questa eccezionalità.
Il partente si lancia saturo di energie, da giorni accumulate, e perciò sovraeccitato; ma non appena si è librato, subentra in lui una placidità nuova; le sue energie cominciano a scorrere nell'esecuzione dell'agognato brevetto. Mette in funzione il barografo, regola il motore, controlla gl'istrumenti di bordo, aggiusta la manovra secondo il vento, stabilisce l'ora in cui dovrà scendere — tre ore dopo, se trattasi di secondo brevetto su idrovolanti —, si prefigge un itinerario che eviti possibilmente i punti dai quali traggono origini permanenti inquietudini atmosferiche: centri abitati, corsi d'acqua, sbocchi di valli, vette nevose....
Anche le nubi sono da evitare. Il pilota se le vede accostare rapidissime. Sembra che vogliano avventarsi su lui per vendicare le solitudini violate. Il movimento che le caratterizza imprime loro aspetti di cose animate, vive, di strani mostri dai pallidi, foschi colori. Se si deve volare tra un blocco e l'altro di vapori, si ha l'impressione di transitare per un'angusta, candida valle. Sotto queste masse randagie il panorama terrestre si chiazza di larghe macchie d'ombra. Percossi dai raggi, i fiumi, i laghi, lanciano bagliori. Ma la foschia, le montagne fatte tozze, basse, sembra si seguano l'una all'altra in una fantastica, lenta cavalcata.... Le valli sono ovattate da evaporazioni candide, oblunghe. Il sole strappa dalla sommità dei cirri iridescenze porporine, violacee, argentee, effetti di luce che susciterebbero esplosioni di ammirazione se non fossero osservati in volo.
Perchè il panorama per colui il quale comincia a volare non è un elemento di ammirazione, ma di orientamento. La bellezza per chi deve allenarsi a mantenersi in equilibrio nell'atmosfera, non è comunicativa, ma fredda e ironica. La terra pare dica, specialmente al novizio: — Sono bella, ma sta in guardia di non cadermi sopra. — Il pilota diviene un ammiratore del panorama quando è ridisceso, quando la certezza della propria incolumità gli consente di sviluppare i ricordi estetici.
Ma durante il brevetto l'allievo deve dominarsi ricorrendo alle risorse della sua personalità migliore. A un certo punto la personalità debole gl'insinua: — Si balla molto. Scendiamo?
E la personalità forte: — Vuoi scendere per il vento? Ma tu non produci un vento più veloce con l'elica? Perchè ti hanno dato gli aleroni sull'apparecchio? Per reagire contro l'aria agitata.
La debole: — Ma debbo andare avanti in queste condizioni per altre due ore?
La forte: — E che pilota sei, allora? Tutti sono capaci di restare in aria quando non si balla. Che diritto hai di mettere la corona se scendi per il vento?
La debole: — Tu hai ragione. Ma hai sentito che colpi proprio ora?
La forte: — Sono niente. Rifletti: fra due o tre giorni sarai in squadriglia: batterie nemiche ti spareranno contro, apparecchi nemici da caccia ti affronteranno.
La debole: — Andiamo avanti....
E intanto è trascorsa la prima ora e mezza. Come è passata la prima metà, così passerà la seconda. Il successo si delinea. L'allenamento è già sensibile. Il volo, sviluppandosi, ha la potenza di astrarre il pilota dal mondo reale, terreno, di assuefarlo al meraviglioso: paesi, città che passano ogni minuto, celebri vette che si umiliano, l'orizzonte che si fa smisurato. L'atmosfera a 4000 metri ha come un suo profumo, una sua purezza. Più che mai il pilota è colmo dell'illusione che quella vita sia la sua unica vita, immemore d'ogni altra vicenda estranea.
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Le tre ore di volo sono compiute: il barografo le registra esattamente. Una trionfale gioia pervade il vittorioso, ma quella gioia è tosto sopraffatta dall'attenzione per la manovra della discesa: che il ritorno non sia soverchiamente rapido, che il motore non s'arresti, che lo sbalzo da una pressione all'altra, da una temperatura all'altra non nuoccia al reduce il quale è intento ad avvicinarsi alla scuola, in spirali tanto larghe che coloro i quali osservano da terra discutono se sono spirali o no. A 2000 metri l'atmosfera si rivela calda, persino troppo calda. Come un pingue inquilino discendendo dal quarto piano si riposa di pianerottolo in pianerottolo, così il pilota di quota in quota riaccende in pieno il motore, pone in linea di volo l'apparecchio per abituarsi alle atmosfere sempre più grevi che incontra abbassandosi. E un altro fenomeno si manifesta: il panorama che alla partenza appariva grandioso, smagliante, ora è uniforme nei colori, piatto nelle forme. La permanenza a 4000 metri aveva aristocratizzata e insieme stancata la sensibilità dell'aviatore.
Il brevettato rientrando alla scuola consegna al capo-pilota il barografo con orgoglio di padre: la cartina è la sua creatura. Sordo, stanco, ma felice, passa