La favorita del Mahdi. Emilio Salgari

La favorita del Mahdi - Emilio Salgari


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       Emilio Salgari

      La favorita del Mahdi

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066072643

       PARTE PRIMA

       PARTE PRIMA.

       PARTE SECONDA

       PARTE TERZA

       CONCLUSIONE.

      LA

      FAVORITA DEL MAHDI

      PARTE PRIMA

       Indice

      Greci e Arabi

      PARTE SECONDA

      L'insurrezione del Sudan

      PARTE TERZA

      Il Mahdi

      MILANO

      CASA EDITRICE BIETTI

      1911

       Tipografia Casa Editrice Bietti—Milano

      LA FAVORITA DEL MAHDI

       Indice

       Indice

      Greci e Arabi

      CAPITOLO I.—Il Fidanzato di Elenka.

      Era la sera del 4 Settembre 1883. Il sole equatoriale, rosso rosso, scendeva rapidamente verso le aride e dirupate montagne di Mantara, illuminando vagamente le grandi foreste di palme e di tamarindi e le coniche capanne di Machmudiech, povero villaggio sudanese, situato sulla riva destra del maestoso Bahr-el-Abiad o Nilo Bianco, a meno di quaranta miglia a sud di Chartum.

      Da ogni parte dell'orizzonte accorrevano bande di superbe antilopi e di sciacalli che venivano a dissetarsi sulle poetiche sponde del fiume, e nell'aria svolazzavano arditamente schiere di fenicotteri dalle penne rosee e le estremità delle ali fiammeggianti, schiere di ibis sacre che calavan sulle foglie arrotondate e galleggianti del loto, e file di grossi pellicani che s'appiattavano fra i canneti, cacciando i pesci.

      Sul molo e per le viuzze del villaggio, Negri, Arabi e Turchi, andavano e venivano rumorosamente, gli uni affacendati a scaricare cammelli e asini, altri a condurre mandrie di buoi tigrati e di cammelle ai pozzi, e altri ancora a tirar a secco le barche o a disarmarle. Per ogni dove si udivano monotone canzoni accompagnate dal suono del tamburello, che gli echi delle foreste ripercotevano: un salmodiare di versetti dell'Alcorano, un muggito di animali, uno sbattere di remi, un chiamarsi, un salutarsi e al disopra di tutti quei rumori la voce nasale del muezzin che dall'alto dell'esile minareto, colla faccia rivolta verso la Mecca, gridava:

      —La Allàh ila Allàh (Non è Dio fuor di Dio) Mahàmmed rosul Allàh (Maometto è l'apostolo di Dio).

      La preghiera del muezzin era appena terminata, quando una barca partita dalla riva opposta, venne ad arenarsi dinanzi al Machmudiech. Un ufficiale egiziano che era a prua, scambiate alcune parole coi battellieri e gettati loro alcuni parà (centesimi) saltò lestamente a terra salendo la erta sponda.

      Era questi un bel giovinotto sui venticinque o ventisei anni, alto di statura, di forme snelle, eleganti ed insieme vigorose. Il colorito della sua pelle era d'un bronzo alquanto carico con riflessi rossigni, la faccia piacevolissima, maschia, ardita, con due occhi che brillavano d'un fuoco selvaggio e d'indomita fierezza e lunghi baffi neri. Appena ch'ebbe posto piede sul molo, guardò a dritta e a manca come cercasse qualcuno, poi si avvicinò ad un soldato egiziano, che deposto il fucile contro un muricciuolo diroccato, filava del canape nè più nè meno di una donna:

      —Hai veduto il luogotenente Notis Cayma? gli chiese con voce brusca.

      —Mi sembra d'averlo scorto, rispose il soldato, pigliando rapidamente il fucile e salutando.

      —Dov'è andato?

      —L'ignoro.

      L'ufficiale stette alcuni istanti silenzioso guardando la corrente del fiume e le barche che la solcavano, poi tornò a chiedere:

      —Dove trovasi il tenente Oòseir?

      —È seduto laggiù sotto quella rekuba (tettoia) che beve il narghiléh[1].

      [1] Bere il narghiléh significa fumare col narghiléh, ossia colla pipa.

      L'ufficiale girò sui talloni e si allontanò, camminando colla libera eleganza degli animali selvaggi e colla nobiltà che è tutta propria delle nazioni arabe. Attraversò con fatica le linee dei cammelli inginocchiati sulla via carichi di gomma, d'avorio e di maiz, e si arrestò dinanzi ad una rekuba sotto la quale fumava beatamente un basci-bozuk.

      —Es-selàm âlekom, Oòseir (la salute sia con te) disse l'ufficiale.

      Il basci-bozuk, che volgevagli le spalle, si alzò prontamente, fissando su lui due occhi verdi come quelli d'una iena.

      —Ah! sei tu Abd-el-Kerim! esclamò. Come mai ti trovi qui? Hai da raccontarmi qualche battaglia avvenuta con quei cani del Mahdi?

      —Niente affatto, Oòseir, rispose Abd-el-Kerim. Cerco il greco Notis.

      —Tuo cognato?

      —Non corriamo tanto, amico mio, disse Abd-el-Kerim, sorridendo. Non lo è ancora.

      —Ma lo diverrà.

      —Se Allàh (Dio) e il Profeta lo vorranno… L'hai veduto tu, Notis?

      —È arrivato dieci minuti or sono, e sorseggia il caffè laggiù in quel tugul.

      —Andiamo da lui.

      L'arabo e il basci-bozuk, l'uno a fianco dell'altro presero la via che conduceva al caffè del villaggio.

      —Come sei con Elenka? chiese Oòseir.

      —Sempre in buona relazione, rispose Abd-el Kerim, con tono alquanto freddo.

      —Sei un uomo assai fortunato.

      —Può essere.

      —La sorella di Notis è una ragazza seducente, la più bella che si possa trovare in tutta la Nubia e in tutto il Sudan, tanto ammirabile che tenterebbe anche il Profeta se fosse ancora vivo.

      —Sì, bella, superba, forse troppo superba e troppo terribile.

      —E l'ami molto, tu?

      —Come può amare un arabo.

      —È troppo poco Abd-el-Kerim.

      —A me sembra sufficiente, Oòseir.

      —Mi sembri un po' freddo, oggi. Una volta parlavi con più fuoco. C'è pericolo che la lontananza e la vita del campo abbiano a spezzare il nodo?

      —Non


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