Raji: Libro Tre. Charley Brindley

Raji: Libro Tre - Charley Brindley


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rise e si strofinò il lato della testa, e io la fronte. "Forse sarà meglio che la prossima volta, manteniamo le distanze l'uno dall'altro per non fare altri danni" disse.

      La sua risata era bellissima, ed esattamente la risposta che avevo previsto.

      "Sai per caso, dov'è il tempio buddista più vicino?” Chiesi.

      I suoi occhi si spalancarono. "Sei buddista?"

      "No." Le presi il gomito per aiutarla ad alzarsi. Non potevo mentirle. L'avevo già ingannata con la testata, ma quello era giustificato. "No, non sono buddista, ma mi piacerebbe vedere l'interno di un tempio". Ero certo che fosse buddista, come la maggior parte dei birmani.

      "Ho solo un'ora per il pranzo, e devo fare una commissione in banca per quel signor Haverstock, il nostro direttore, e poi anche all'ufficio dell'American Express".

      "Oh." Ero sconcertato. Questo era senza pretese. Ero davvero deluso dal fatto che lei fosse occupata. "Capisco." Ebbi un'ispirazione improvvisa. "Posso fare la strada con te fino alla banca? Poi potrai indicarmi la direzione di un tempio".

      Se si era inventata la storia delle commissioni per il direttore dell'hotel e stava andando a incontrare il suo ragazzo, o marito, allora mi avrebbe detto di farmi gli affari miei e di trovare un tempio da solo. Una donna bella come lei doveva sicuramente avere un fidanzato, se non un marito.

      "Certo", rispose subito. "Sarei felice della tua compagnia durante la passeggiata fino alla banca. La strada è piuttosto lunga".

      Lungo la strada, chiacchierammo tranquillamente della Birmania, Mandalay, l'hotel, il suo lavoro, il suo capo, e proprio quando stavamo arrivando alle informazioni personali che tanto volevo sapere, mi fermò.

      "Bene", disse lei, "eccola qui, la banca dove devo lasciare i soldi dell'albergo".

      Guardai l'imponente edificio romanico che si ergeva per quattro piani. Su una lastra di marmo sopra la porta c'era scritto "Reserve Bank of India". A quel tempo, la Birmania faceva ancora parte dell'India e gli inglesi usavano la stessa moneta in tutta la zona.

      "Già!" Ero sinceramente sorpreso che fossimo già lì. "Ma avevi detto che la strada era lunga".

      "Abbiamo fatto più o meno dodici isolati". Era accanto alla porta della banca, con un dolce sorriso.

      "Oh", dissi dopo un istante. "Dov'è il tempio?".

      "Basta andare da questa parte per due o più isolati, poi giri a sinistra, cammini un po’ fino a quando vedi una casa colore giallo brillante. Fermati e cerca un piccolo ponte davanti a te, gira a sinistra, un altro paio di minuti e ti troverai di fronte al tempio Shwe Nadaw".

      Non potevo esserne sicuro, ma ebbi la netta sensazione che cercasse di disorientarmi con le sue rapide indicazioni.

      "Hai detto che sulla mia sinistra c'è il negozio giallo o a destra?" Cercai di rendere la cosa ancora più confusa.

      "Aspettami qui tre minuti, poi ci passeremo davanti insieme".

      Con un sorriso luminoso, entrò in banca. La guardai dalla finestra mentre consegnava i soldi dell'albergo ad un cassiere, poi si avvicinò ad una giovane donna seduta ad una scrivania e si chinò per dirle qualcosa. La signora diede un'occhiata nella mia direzione, e io distolsi lo sguardo su un poliziotto che passava in bicicletta.

      Dopo aver lasciato la banca, camminammo lungo Yadanar Street fino alle rive del canale di Nadi, dove acquistaidell’ohno khauk swe da un venditore ambulante per il nostro pranzo. Il cibo consisteva in spaghetti di riso e pollo cotto nel latte di cocco. Era molto piccante, come la maggior parte del cibo birmano, e delizioso.

      Tornammo in ritardo all'hotel, ma Kayin mi assicurò che era tutto a posto. Le dissi che se avesse avuto qualche problema con il direttore, mi sarei fatto perdonare con una bella cena in un ristorante vicino.

      “Beh,” disse, “forse potrei trovarmi un po’ nei guai.”

      Alle sei del pomeriggio, quando avrebbe finito il servizio, sarebbe andata a casa a cambiarsi, disse, poi ci saremmo incontrati davanti al ristorante alle otto.

      Fu una lunga attesa per me, e durante quell'interminabile pomeriggio mi resi conto che non avevo mai avuto un appuntamento con una ragazza. Io e Raji avevamo fatto molte cose insieme, ma niente che si potesse definire un appuntamento. Avevo ventun’anni e non ero iniziato, come direbbe mio padre. Mi chiedevo se Kayin fosse iniziata. Perché non ero mai uscito con una donna? Perché io e Raji non avevamo mai fatto l'amore? Com'era fare l'amore? E perché ci stavo pensando così tanto ora, visto che non l'avevo mai fatto prima? E andò avanti così, per molte ore.

      Finalmente arrivò la sera, e già da quarantacinque minuti stavo camminando davanti al ristorante, chiedendomi se non avessi sbagliato strada. Ma lei era lì, puntuale alle otto, che percorreva il marciapiede verso di me, con il rumore dei tacchi in rapida cadenza.

      Ero molto nervoso e consapevole di me stesso. Sedersi ad un tavolo a lume di candela con una bella donna era una novità per me. Non sapevo se fare domande o parlare di me stesso. Avevo passato molto tempo con un'altra bella donna, Raji, ma avevamo un rapporto facile, quasi familiare. Niente di romantico. Avevo la sensazione che non ci sarebbe stata nessuna storia d'amore nemmeno tra me e Kayin. Ero così imbranato che sicuramente l'avrei annoiata a morte. Se avesse sbadigliato, decisi, ce ne saremmo andati e l'avrei accompagnata a casa.

      Ma Kayin non fu una cafona. Parlòtranquillamentedella Birmania, del suo lavoro all'hotel, e fece domande sull'America e sulle libertà di cui godevamo.

      All'inizio mantenni le mie risposte brevi e mirate, non volendo dominare la conversazione. Lei passava da un argomento all'altro, mantenendo un buon equilibrio tra domande e risposte.

      Il nostro cibo arrivò e passò velocemente un’ora, poi un'altra.

      Dopo la deliziosa cena, passeggiammo per ore attraverso i parchi, passando davanti a molti templi, e fino al Palazzo d'Oro, con il suo ampio fossato e le alte torri ai quattro angoli.

      "Sei mai stata all’interno? Chiesi.

      "Dentro il Palazzo d'Oro?" chiese lei. "È dove vive il re Rama".

      "Ah, il palazzo del re Rama. Ma ci sei stata dentro? Mi chiedo come sia".

      "Oh." Esitò e guardò per un momento una delle torri prima di continuare. "Nelle foto che ho visto, è, come dite voi, ornato?"

      "Ornato", dissi.

      "Sì, ornato. Mi dispiace che il mio inglese non sia così buono".

      "Il tuo inglese è meraviglioso. Mi insegnerai il birmano?"

      Mi guardò a lungo. "Perché sei venuto a Mandalay?"

      Eravamo in piedi sul bordo del fossato, a lanciare sassolini nell'acqua scura.

      "Sto andando a Myitkyina", dissi. "Una persona a me cara mi raggiungerà in albergo tra qualche giorno. Ci ho ingaggiati su un battello fluviale chiamato Gaw-byan. Credo che lavoreremo come marinai, non ne sono sicuro. Ma il lavoro duro non ci dispiace".

      "Perché Myitkyina?"

      "Per vedere cosa c'è".

      "Ma cosa fai?", chiese lei.

      A quel tempo, mi definivo ancora uno studente di medicina. In realtà, non lo ero più e probabilmente non lo sarei stato mi più. Quindi cos'ero? Un barbone, era l'unica cosa che mi veniva in mente, ma non potevo dirglielo.

      "Sono uno studente di medicina".

      "Quando finirai la scuola di medicina?"

      Le sue domande erano molto meglio delle mie. Stava andando al succo delle cose, e io mi sentivo un po' a disagio.

      "A dire la verità, Kayin, potrei non tornare mai più a scuola".

      "Perché?"

      "Sono scoraggiato, disilluso e stufo di come i politici e gli uomini d'affari hanno rovinato il nostro mondo".

      "E sei venuto nella mia Birmania per trovare cosa?".

      Effettivamente.


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