Anima Nera Anima Bianca. Patrizia Barrera
il battito del cuore, di cui emula il ritmo. In un’ intervista nella quale gli chiedevano di spiegare al pubblico quella strana musica del Mississippi, SON HOUSE rispose: ”Metti la mano sul tuo petto e ascolta il battito del tuo cuore. Beh, QUELLO è il Blues!” Ecco la spiegazione, ecco la semplice chiave d’accesso. Fu quindi facile per Henry Soan, e per tutte le altre figure oscure di cui la tradizione Blues è piena, penetrare con la forza di un uragano nella mente del giovane Charlie Patton e ”dannarlo” per sempre.
Black Indian, il ceppo genetico da cui discendeva anche Charlie Patton. L’ esistenza degli Indiani neri era un problema per il Governo degli Stati Uniti che lo risolse NON OCCUPANDOSENE. Questa minoranza etnica rimase così privata per lungo tempo del riconoscimento dei propri diritti civili e sociali. Attualmente la situazione generale è migliorata solo apparentemente.
La famiglia Patton era comunque un esempio abbastanza diffuso di disagio e difficoltà di integrazione. Lo stesso ceppo etnico di appartenenza la dice lunga sulle traversie quotidiane che i suoi componenti, tra la scuola e il vicinato, avevano dovuto sopportare. Se guardiamo l’unica fotografia conosciuta di Charlie Patton, appartenente al collezionista John Tefteller, ci rendiamo conto che non si tratta di una persona ”tipicamente” Afro-Americana. C’era una chiara mescolanza di sangue bianco, nero e Indiano in lui, e oggi si sa che la nonna materna era una Cherokee, cosa puntualizzata anni dopo dallo stesso Patton che cantava nella sua Dirth Road Blues della permanenza nei territori aviti quali ”IL TERRITO”. Si trattava di un territorio Indiano divenuto in seguito parte dell’ Oklahoma, dove sua nonna si recava spesso prima di morire, per unirsi a quelli della sua tribù nella lotta per la rivendicazione della terra che veniva concessa dal Governo degli Stati Uniti ai pochi Nativi rimasti. Il problema dei Black Indians, cioè quello dei figli nati da unioni di ex schiavi o Black Cowboys con donne Indiane, rimase comunque un problema irrisolto e contribuì alla povertà della famiglia Patton, che subì pesantemente ogni sorta di umiliazione.
Indiano Cherokee Black. Notate l’evidenza somiglianza etnica con Charlie Patton.
Molti rancori si agitavano quindi nell’animo del decenne Charlie, quando conobbe Henry Sloan. Affascinarlo e coinvolgerlo nel pericoloso gioco del Blues fu impresa da poco.
Che Charlie soffrisse per le condizioni di povertà e di emarginazione della sua famiglia è ampiamente dimostrato non solo dal suo stile di vita rivoluzionario, evidente soprattutto quando fu oggetto di interesse da parte delle grandi case discografiche, ma ne troviamo riprova anche in molte delle sue canzoni. Ad esempio in DOWN the DIRT ROAD descrive con crudezza le condizioni di degrado dei mezzadri e dei braccianti agricoli del sud, e di quanto sia impossibile cambiare le cose se non fuggendo, dal Paese, cosa che lui stesso fece a 19 anni.
Vado via per un mondo sconosciuto, ho paura, ma non sarà per sempre.
Ogni giorno sembra un omicidio, qui. Io andrò via domani.
Il viaggio di Patton inizia all’ indomani di questa canzone lungo tutto il Mississippi, fermandosi in ogni città dove sconvolgeva gli abitanti non solo per la sua musica maledetta ma anche per gli atteggiamenti rissosi e attaccabrighe.
Per tutto il territorio del Texas, in Georgia, nell’ Illinois e nel Missouri, il suo arrivo era considerato ”una piaga“ in virtù del seguito di scalmanati che l'artista si portava appresso. A Dockery, Patton era considerato già una star e la sua fama, come artista e come pazzo, lo precedeva. Bevitore incallito, ossessionato dall’ idea della perdizione, profondamente convinto che ”chi nasce nell’ Inferno non può redimersi” portava il vessillo di Satana sempre con sé. Giovanissimo era stato ferito alla gola in una rissa (o forse da un’amante gelosa) ed era scampato alla morte per miracolo; c’è chi sussurrava che il suo alter ego Henry Sloan avesse patteggiato con esseri oscuri per farlo sopravvivere. Dalla profonda ferita che gli danneggiò irreparabilmente le corde vocali venne fuori una voce terrosa, cavernosa e inquietante. Spesso, anche nelle migliori registrazioni di qualche anno dopo, molte delle parole delle sue canzoni risultano incomprensibili al grande pubblico, e ciò contribuì nettamente alla creazione di un’ immagine tenebrosa, oscura ma di grande impatto sui giovani. Non dimentichiamo la grande influenza di Patton sui giovanissimi talenti che incontrava nei suoi pellegrinaggi canori. SON HOUSE ne rimase letteralmente affascinato ma WILLIE BROWN andò anche oltre, se cercò per tutta la vita di imitare il maestro nella sua Crossroads Blues, un brano che sarebbe poi divenuto uno standard e che influenzò tutte le stars venute dopo, come MUDDY WATERS, JOHNNY LEE HOOCKER e, pensate, perfino il Satanico ROBERT JOHNSON!
Son House
Molti considerarono Charlie Patton un grande intrattenitore più che un Bluesman. Decisamente l’impatto visivo sul palco era notevole: pensate forse che il primo a coniare esibizioni Shock, con tanto di rogo di chitarra e sfumazzate di spinelli, sia storia recente e che sia patrimonio di Jimmi Hendrix negli anni ’70? Se è così vi sbagliate di brutto. Patton saliva su un palco con l’atteggiamento di un clown triste e aggressivo, che prendeva a calci i tavoli, aggrediva i clienti e suonava la chitarra in tutti i modi possibili: di schiena, bendato, ponendola tra le gambe, con una sola mano e a testa in giù. A volte il respiro affannoso miscelato alla voce gutturale calamitava le donne e atterriva gli uomini, che vedevano in lui un ”posseduto”. Probabilmente era così. Non sappiamo se la figura ammaliatrice di Sloan lo abbia condizionato al punto da ritenersi un ”perduto” o se invece il suo mentore non abbia invece ”liberato” le ossessioni naturali della sua psiche. Non conosciamo molto della primissima giovinezza di Patton, tranne quello che riferirono le sorelle all’ indomani della sua morte. Sappiamo quindi che non amava andare a scuola e che non si recava mai in chiesa. Che era un bambino obbediente sul lavoro quanto scapestrato coi compagni di gioco. E, soprattutto, sappiamo che fino all’ incontro col temuto Sloan NON SAPEVA SUONARE LA CHITARRA. Quando approfondiremo altri personaggi del Blues vedremo che QUESTO è uno dei fulcri su cui si innestano moltissime delle leggende metropolitane che hanno ampliato e corroso la fama degli artisti del periodo. Comunque sia, se l’influenza artistica di Sloan è documentata, è probabile che anche tutto il contorno ne venga di conseguenza. Patton era un donnaiolo incallito, un bevitore eccezionale e un attaccabrighe incorreggibile. In più fumava come un turco, era dedito all’ oppio e maltrattava le donne. Malgrado ciò si sposò 8 volte, ebbe innumerevoli amanti e numerosi figli, dei quali quasi nessuno gli sopravvisse. Qualcosa su di lui la riportò, tanti anni dopo, una vecchissima Rosetta Patton cresciuta anch’ ella nel ricordo del malefico padre: ma il ritratto che ne viene fuori non è affatto confortante.
Rosetta Patton, unica figlia sopravvissuta dell'artista, negli anni '60 con in mano la fotografia del padre.
In tutta la sua follia ( vera o costruita?) Patton scrisse testi che fecero storia.
Accanto alle commercialissime canzoni d’ amore commissionate dalla Paramount al solo scopo di vendere dischi, troviamo brani crudi e suggestivi che ci parlano di emigrazione (Pony Blues), di carcere (High Sheriff Blues), e di vita (Oh,Death! ).
Era un cantore delle piaghe sociali spesso volutamente sottovalutato e ostracizzato, proprio perché poneva l’accento sulle mancanze del Governo.
Ma imbavagliarlo non era facile. Se gli si poneva un veto Patton faceva di tutto per abbatterlo e, quando proprio non gli era possibile, egli partiva lasciando a metà delle sessioni di registrazione, facendo perdere le sue tracce per mesi. Aveva uno stile chitarristico molto particolare, ruvido e duro, e utilizzava spesso lo slide che con lui raggiunse vette liriche ed espressive fino ad allora impensate. Benché non sia stato l’ inventore del Delta Blues, tuttavia ne fu il più grande interprete e l’appellativo ”Padre del Blues” gli rende giustizia. Dopo di lui, a parte l’influenza che BLIND LEMMON JEFFERSON esercitava sui musicisti dello steso periodo, TUTTI GLI ALTRI venuti dopo (e questo mi attirerà