Anima Nera Anima Bianca. Patrizia Barrera
GUITARS FESTIVAL che accoglie musicisti professionisti e non da ogni parte del mondo per sfidarsi a suon…di sigari! Ma già così il primo Blues è una scala pentatonica, con note appiattite e uso del vibrato, grida parossistiche e ritmi sincopati in grado di ”adattarsi” anche alle fini orecchie dei padroni Inglesi e Scozzesi che, d’altra parte, amavano ascoltare i loro schiavi suonare. Miscelandosi alle suggestioni dei canti Spirituals, al lamento degli Hollers e passando indenni attraverso le Work Songs, il Blues delle origini si eleva poi con ”la Liberazione” della Guerra Civile. Sbandati, costretti a emigrare nelle paludi da bonificare o assorbiti al nord nel duro lavoro delle Ferrovie, gli ex schiavi si trovano a respirare la stessa aria degli emigrati Bianchi, i ”pezzenti tra i pezzenti”, dai quali imparano a suonare la chitarra o l’armonica a bocca. Altri, più fortunati, incontrano il balsamo della religione Cristiana, ne intuiscono il forte potere liberatorio e la integrano con le superstizioni Africane.
Assistiamo quindi, tra il 1860 e il 1890 alla famosa ”spaccatura del Blues” che, sulle medesime sponde del Mississippi, da un lato affonda nelle paludi e dall’ altro sale al Paradiso…
Una nascente Chicago del 1886.
Nel Blues l’utilizzo dell’armonica arrivò intorno agli inizi del ‘900 come appendice” della voce umana, prendendo spunto direttamente dalle tradizioni del Delta e passando poi attraverso gli influssi degli emigrati che venivano dall’ Europa. Gli Spagnoli avevano già introdotto la chitarra che, come abbiamo visto, veniva reinterpretata in chiave artigianale con degli scatoli di sigari. Questo perché l’armonia della vibrazione, che si poteva ottenere facilmente con gli strumenti a corde, è sempre stato elemento basilare della tradizione musicale Afro-Americana. Inizialmente ”musica da strada” o ”da lavoro” in quanto accompagnava le ore di solitudine dei neri che emigravano a nord nel periodo immediatamente precedente al Proibizionismo, divenne poi affare commerciale di altissimo livello per le nascenti etichette discografiche, che vedevano nella nuova musica la possibilità di espandersi oltreoceano con una spesa irrisoria. Tecnicamente parlando, lo Chicago Blues è forse uno dei più plastici e gradevoli, grazie alla vasta gamma di possibilità stilistiche che permette e alla successiva introduzione di numerosi strumenti musicali. C’è chi lo definisce un primo abbozzo del jazz…ma io non concordo pienamente.
E’ vero che, rispetto al primo Blues, qui l’utilizzo della scala maggiore è evidente, ed è anche vero che l’ utilizzo anche di strumenti a fiato gli conferiscono un suono più caldo tipicamente da orchestra, ma l’approccio viscerale viene mantenuto se non addirittura amplificato dalle note stridenti dell’armonica prima e dal famoso ”rotolamento” poi, una tecnica oscillatoria e prevalentemente ritmica che ispirò i musicisti Anglosassoni e il successivo Rock’n Roll.
Stringband Chicago, 1900
Se si fa un discorso puramente cronologico possiamo riconoscere nello Chicago Blues due periodi di fondamentale importanza, a cavallo tra le due guerre mondiali.
Il primo, quello di cui sto parlando e che vide l’esplosione delle etichette discografiche, è forse il più puro e legato alla tradizione Afro. L’utilizzo dell’armonica e degli strumenti di fabbricazione casalinga che lo contraddistinguono rimangono l’espressione più autentica di questo “canto dell’anima“ che solo in seguito, sulla spinta dei mercati economici che lo inghiottirono, si commercializzò assumendo connotati Europei ed Urbani. Intorno al 1950, infine, l'uso della chitarra elettrica e l’amplificazione e la correzione manuale del suono asciutto dell’armonica, lo defraudarono della originaria visceralità, rendendolo fenomeno di costume e quindi più adatto al pubblico.
Emigranti, primi del ‘900
Quando i primi neri arrivarono a Chicago si trovarono in una città in pieno sviluppo. Nata per accogliere i ricchi Europei, Chicago in seguito si spaccò in due, concedendo ai nuovi immigrati ”bevitori e puzzolenti” di installarsi nella parte sud meno servita e in certo senso porto di sbarco degli ex schiavi. D’altra parte Chicago era costretta ad assorbire quanta più manovalanza possibile, dato lo sviluppo crescente delle industrie e la costruzione incessante delle ferrovie. Il lavoratore nero, o anche Irlandese, Spagnolo e Italiano, arrivava nelle fabbriche facendosi a piedi mezza città ma portandosi appresso sempre la sua armonica, che gli faceva compagnia nella breve pausa tra un turno e l’altro. A dispetto di ciò che si crede, tra i lavoratori neri finalmente affrancati dalla schiavitù non esisteva capacità di coesione, e l 'operaio Afro-Americano era solo.
L' isolamento e la separazione tra le razze era in parte favorita dagli stessi datori di lavoro, sulla scia delle nascenti Leggi segregazioniste, e in parte auspicata dallo stesso Bluesman, un individuo ormai disadattato e incline alla solitudine. Durante la pausa pranzo, quindi, si formavano spontaneamente gruppetti isolati di lavoratori: Afro-Americani, Inglesi, Irlandesi, qualche Olandese e gli Italiani. Altri gruppi di Europei costituivano ulteriore minoranza, come Francesi e Spagnoli. Ancora più isolati i Messicani, i Nativi Pellerossa e rarissimi Indiani. Per tirarsi un po' su il morale tutta questa gente faceva musica: cominciavano gli Irlandesi con le loro ballate, seguivano gli Italiani con le canzoni natie ma gli Spagnoli tenevano banco con le loro chitarre. L' Afro-Americano con l’ armonica non era da meno. Tuttavia la musica non fungeva da collante sociale ma anzi stimolava litigi e minacce che si tramutavano non di rado in sfide musicali, le quali assorbivano e mescolavano le suggestioni dei vari gruppi, dando origine a stili e variazioni di grande impatto sonoro, che gli Afro-Americani riuscivano a riproporre in chiave decisamente originale. Queste gare improvvisate attirarono ben presto l' attenzione di commercianti e uomini d'affari che bazzicavano le fabbriche, i quali presero a organizzare le attività musicali degli operai. Molti di loro gestivano o avevano rapporti diretti con le giovani etichette discografiche; l' interesse per la nuova musica Afro, che fondeva voce e armonica con rabbia e dolore, divenne palpabile tra i bianchi. D’altra parte Chicago si stava riempiendo di Blues. Ad ogni angolo di strada gruppetti di musicisti improvvisati cercavano di sbarcare il lunario offrendo ai passanti la propria arte. La maggior parte erano Afro-Americani che dormivano sui marciapiedi e facevano letteralmente la fame. Benché le porte della Grande Città fossero aperte, infatti, non c’era lavoro per tutti. Agli inizi degli anni ’20 il sovraffollamento era ormai evidente.
Chicago cambiava a vista d’occhio. Qui nel 1928
E qui come appare solo due anni dopo, nel 1930!
Per fortuna la nuova musica cominciò a girare: inizialmente ospitata nei numerosissimi Club Afro di cui Chicago era piena e disdegnata dal pubblico bianco, in seguito alla sua commercializzazione da parte delle grandi case discografiche divenne la moda del momento e…grande affare per pochi. Diciamo che lo Chicago Blues più che fenomeno di massa fu soprattutto una miniera d’oro per le etichette, che fiorirono e ingrassarono grazie all’ ispirazione di musicisti poverissimi e sconosciuti, che venivano risarciti con pochi spiccioli per l' acquisto in blocco delle loro incisioni. Queste divenivano proprietà esclusiva e patrimonio multimiliardario dei produttori. Anche se moltissimi furono gli interpreti di colore dello Chicago Blues, tuttavia NESSUNO di loro si arricchì mai e anzi quasi tutti morirono nella più squallida miseria. Un fenomeno generalizzato per tutta la musica Afro-Americana che però a Chicago assunse tinte vergognose, viste le cifre astronomiche che incassarono i primi dischi venduti.
Locandina esplicativa dei "miti" del Blues a Chicago e del BOOM della nuova musica. Locandina dei miti del Blues a Chicago e del BOOM della nuova musica.
Una delle primissime e quotatissime etichette fu la BLUEBIRD RECORD, che godeva di un produttore decisamente dinamico, il quale seppe