Vecchie storie d'amore. Albertazzi Adolfo

Vecchie storie d'amore - Albertazzi Adolfo


Скачать книгу
delle streghe, che l'accompagnavano con mala intenzione, male augurando, sommessamente, al suo povero amore; sommessamente.

      Egli rideva forte, e gli avessero pure additato, le streghe, la chiocciola d'oro dai pulcini tutti d'oro, la quale, al dire della gente, si trovava dentro il bosco, ch'egli avrebbe ben saputo rapirgliela, al demonio!

      Poi con desiderio intenso e disperato di Giovanna affrettava il leardo per un sentiero che era segnato dalle sole orme del leardo e che lo guidava al suo amore piú presto e di nascosto.

      II

      Giovanna del Farneto tanto desiderava per marito Raimondo di Santelmo quanto questi desiderava lei per moglie; e se Raimondo si doleva della sua sorte e minacciava di penetrare nel castello, essa, per gran paura che le fosse ucciso (giorno e notte vigilavano le guardie a custodia del ponte: fonda e larga era la fossa, alta la cinta e ferrate le finestre) gli si prometteva ancora e gli si raccomandava di fidare in lei. Poi una notte lo consigliò cosí:

      – Mio padre non vuol maritarmi a voi perché non siete ricco; vorrebbe se quel vostro zio di Monveglio vi donasse delle sue terre: andate dunque dallo zio a pregarlo che finga donarvi delle sue terre, e noi, sposati che saremo, gliele renderemo secondo patto giurato e stipulato. – Piacque il consiglio al cavaliere, il quale, il dí appresso, cavalcò alla volta di Monveglio.

      Vi giunse che era tardi, e trovò lo zio molto lieto, come uno che ha cenato bene e cenando ha bevuto vino buono, di quello che rischiara la mente, ravviva lo spirito e intenerisce il core.

      – Che volete, mio bel nipote? – domandò. E intesa la richiesta, rispose súbito: – Sí sí, faremo questo patto; e parlerò io a ser Lapo del Farneto, che m'è vecchio amico. – Poi strizzando gli occhi: – Ma di' – chiese – , è molto bella la figliola di ser Lapo?

      Raimondo rispose: – Innamorai di lei per udita, e quando la vidi non me ne pentii. Voi la vedrete.

      III

      Mentre ser Lapo del Farneto numerava delle monete lucenti, che sembravano esser state battute allora allora, e accarezzandole cogli occhi le ammucchiava su la tavola, uno scudiero avvertí la scolta che il signore di Monveglio veniva a trovare il castellano. All'annuncio messer Lapo si alzò puntando le mani sui bracciali del seggiolone, e con quanta fretta gli era consentita dalle deboli forze e dai malanni che gli intorpidivano le membra ripose il tesoro nella cassapanca e diede l'ordine: – Ben venga il vecchio amico!

      I due, in rivedersi dopo tanti anni, dissimularono entrambi la sorpresa di un sentimento maligno: d'invidia il signore di Farneto perché egli, scarno, smorto e male in gambe, scorse rubesto, rubizzo e grasso quello di Monveglio; di gioia questi per confronto del suo stato con quello dell'amico. Ma Lapo chiamò la figliola, bramoso che l'altro gli invidiasse almeno un bene ch'egli non aveva; e il signore di Monveglio, vedendo la bella giovane, con gli occhi gaudenti ne scoprí le carni gigliate e fresche; sentí di essa una súbita concupiscenza; dimenticò il nipote e quindi lo ricordò, ma per tradirlo.

      – Voi avete una fortuna, che non ho io – disse a ser Lapo quando Giovanna fu uscita. – Che mi valgono i quattrini a me? – Indi chiese: – La maritate?

      Arcigno in viso, con tonò aspro, ser Lapo rispose: – Essa è bella, savia e d'alto lignaggio: a chi volete che la dia? – E si dolse del tempo presente, quando non era piú cavaliere degno di sua figlia. – Ma io – aggiunse l'avaro – , non voglio dotarla prima di morire.

      Allora parlò il signore di Monveglio, e parlò in guisa che l'altro lo comprese disposto a prendere una moglie senza dote. – Ma non sono piú giovane – lamentava il signore di Monveglio.

      – Mia figlia è savia – ribatté ser Lapo. E fu conchiuso il parentado.

      Durante la cena i vecchi amici discorsero della loro giovinezza, ilare e rubicondo l'uno, l'altro sempre scuro e sempre astioso. Neppure a ripensare la letizia della sua giovinezza ser Lapo poteva ridere, quasi una colpa o sciagura della virilità amareggiandogli la vecchiaia piena d'acciacchi lo rimordesse fino d'essere stato giovane. Pure dimandava anch'egli – Vi ricordate? – , e narrava bei fatti anch'egli: i due vecchi narravano fatti di liberalità e di cortesia e biasimavano il tempo presente. Ma di quei due uno era traditore e l'avaro, l'altro, era di tale coscienza che non rideva mai.

      Questi, dopo la cena, chiamò la figliola e – Sei sposa – le disse; e accennando all'amico: – Messere è il tuo sposo – ; e quegli stringendo la mano della giovane timida e confusa non sentí quant'era fredda.

      IV

      Corse la fama che la bella Giovanna del Farneto andava in moglie al vecchio sire di Monveglio; e la gente compiangendo la donzella ne ignorava tutta la sventura, ignorava che il suo dolore era quale il segreto dolore di Raimondo di Santelmo.

      Le nozze s'annunciavano magnifiche. A un'abbazia a mezza strada tra Monveglio ed il Farneto, alla quale d'ogni parte dovevano convenire i parentadi degli sposi, si sarebbe celebrato il matrimonio una mattina presto; e messer Lapo, che non poteva girare e cavalcare, avrebbe attesi gli sposi nel castello al convito delle nozze.

      Magnifiche le nozze; ma neppure la solenne circostanza fece liberale messer Lapo, e per non spendere nei cavalli che recassero le parenti e i servi di scorta alla figliuola, egli mandò attorno qua e là a domandarne in prestito. Di che avuta notizia Raimondo di Santelmo desiderò che il suo buon leardo, già ignaro testimone del suo amore lungo e sfortunato, fosse testimone a Giovanna anche del dolore e della fede sua richiamandole il ricordo di lui per ogni passo del cammino doloroso; e inviò un valletto a chiedere di grazia a messer Lapo che disponesse a palafreno della sposa il suo cavallo. – È quieto – disse il valletto – e la porterà soavemente.

      Messer Lapo acconsentí. E la mattina delle nozze, quando avanti giorno le fantesche vestivano la povera Giovanna e gli scudieri allestivano gli altri cavalli per la compagnia, e in tutto il castello era un affaccendarsi rumoroso e gaio, il leardo fu condotto da Santelmo. Al lume dei torchi, per la finestra della sua stanza, messer Lapo vide partire la compagnia, e guardò a lungo la figliola, la quale gli parve bella e bene adorna; ma non porse attenzione a come fosse bello e bene adorno anche il leardo che la portava ambiante, dolcemente.

      La cavalcata procedeva triste. I primi raggi del sole si spegnevano in una nuvolaglia biancastra e nell'aria plumbea non si moveva una foglia di tutto quel bosco entro cui la strada penetrava perdendosi nel fondo fitto; non un uccello cantava allegro; e la sposa sentiva cosí enorme il peso della sua sventura che non aveva forza di piangere e le mancava il respiro. La cavalcata procedeva triste. Nel cielo, sopra, la nuvolaglia si addensava a poco a poco e dinanzi l'aria si rabbuiava sempre piú, quasi annottasse: però alcuno della scorta, interrogato il tempo, proponeva di tornare indietro.

      – Siamo a mezzo viaggio: avanti! – dissero gli altri. E la sposa, smarrita nel suo dolore enorme la considerazione delle cose, non vedeva e non udiva; non udiva che ripercuotersi nel cuore il passo uguale del leardo: Raimondo! Raimondo! Raimondo!

      Già un rombo sordo passava per le nuvole imminenti: cavalieri e dame incitarono destrieri e palafreni e con paura tentavano di ridere. – Povera sposa! L'acquazzone la coglieva per la strada! – Infatti l'intemperie cominciò a risolversi in gocce grosse e rade e poi in un'acqua dirotta, crosciante, fragorosa. Nel fondo livido i lampi guizzavano e s'inseguivano tra gli alberi che al bagliore parevano mostri sbigottiti, e il tuono, dentro quel cielo e dentro quel bosco era il rotolare d'un traino infernale.

      Finalmente con strepito di schianto repentino un fulmine stridette e scoppiò da presso ed il leardo spaventato prese la corsa d'una furia: corse cosí, non piú veduto, un lungo tratto della strada; poi, non piú veduto, balzò dalla strada oltre un rio e dietro un sentieruolo obbliquo; e la sposa, avvinghiata alla criniera, cieca di terrore sembrava tendesse lo sguardo ad un abisso nel quale s'aspettasse di precipitare.

      Quanto camminò il leardo traverso la boscaglia? D'improvviso Giovanna riacquistando la vista delle cose si scorse fuori del bosco, sotto il cielo terso e luminoso e davanti a un piccolo castello bianco e solatio. Il leardo nitrí. Dal castello uno scudiero guardò e riconobbe il leardo; guardò il sire del luogo, Raimondo di Santelmo, e riconobbe Giovanna; e poiché


Скачать книгу