Vecchie storie d'amore. Albertazzi Adolfo

Vecchie storie d'amore - Albertazzi Adolfo


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smorta e palpitante risalutò e parve sorridere, e a lui s'allargò il cuore e chiarí la faccia in súbita allegrezza.

      Cosí Bertramo fu pronto a scrivere una lettera a madonna Fiola scongiurandola di commuoversi a misericordia e di procurargli agio a parlarle; e n'ebbe risposta: a lei era grato l'amore di lui, ma per l'onor suo e del marito ella non poteva promettere e concedere cosa che le chiedesse. Riscrisse egli assicurandola che voleva solo parlarle e che in ciò solo poneva la salvezza della sua misera vita; ed ebbe risposta: venisse, ma a parlare soltanto, una prossima sera (e Fiola diceva quale) in cui Corrado, di ritorno da una caccia lontana e faticosa, sarebbe andato a dormire per tempo.

      Ecco finalmente la sera del convegno; limpida sera estiva. Bertramo s'era dilungato assai fuori della città quasi ad affrettare, ad incontrare l'ora invocata e troppo lenta a discendere; e quando le ombre confusero le cose e le stelle si specchiarono nel mare pensò: – Di già Fiola m'aspetta – ; ma non tornò a dietro, ma sentí vivo il piacere d'essere atteso, egli che dell'attesa aveva patita tutta la pena. Pure il maligno compiacimento fu breve e se ne dolse; rivolse il cavallo e gl'infisse gli sproni nei fianchi: via, di aperto galoppo e di piena gioia, come all'assalto!

      Intanto Fiola, visto che ebbe il marito addormentato nel profondo sonno della stanchezza, consegnò due lenzuoli di tela finissima alla piú fida delle sue donne, che andasse a distenderli su 'l molle letticciòlo composto entro una casupola in fondo al giardino per riposarvi nel tempo piú caldo; ed essa corse a socchiudere la porta dalla quale doveva entrare l'amante. Ascoltò: nessuno. Allora dalle aiuole e dalle macchie si die' a raccogliere le piú belle rose e strappandone i gambi riponeva le corolle e i petali freschi in un cestello che recava al braccio: anche vi metteva fragranti vainiglie e gelsomini, e quando il cestello fu colmo lo porse alla fante e le disse: – Spargi questi fiori su le lenzuola e acconcia ogni cosa; e poco dopo che messere sarà venuto, fanne cenno d'entrare. – E stette ad attendere.

      Ma alla mente di lei, che con la fantasia si spingeva da un pezzo a pregustare le voluttà del suo dolce amore, balenò a un tratto il dubbio non stesse per cadere nella vendetta di messer Bertramo, il quale troppo duramente e troppo lungamente aveva fatto soffrire; non dovesse, se messer Bertramo mancasse per inganno al convegno, esser fatta gioco di lui. E se egli non aveva l'animo che suo marito le avea dipinto, non poteva ella, con acerbo dolore e vergogna, divenire la favola non solo di lui, ma de' suoi amici e di tutta la città, ella, la virtuosa donna di messer Corrado? Onde si vedeva accomunata dalla colpa e dallo scherno a quante dianzi spregiava, e si doleva d'esser caduta dalla sua casta fierezza e malediceva al mal concepito affetto.

      Ma ascoltò: – Eccolo! – ; e rapida e lieta fu incontro al cavaliere che entrava e gli aperse le braccia sorridendo e sospirando: – Ben venuta l'anima mia, per cui sono stata tanto in affanno!

      Messer Bertramo la strinse forte: – Mercé dunque del suo grande amore; pietà, o madonna Fiola, dei suoi lunghi travagli! – Le parole di lui erano ardenti non meno che gli sguardi di lei; e a lui pareva che ella avesse una luce intorno il capo biondo, e a lei sembrava ch'egli fosse ebbro d'amore.

      Sedettero sotto un arancio fiorito scambiando piú baci che motti, e come Fiola pensava – Or ora la fante ci dà il segno d'entrare – , messer Bertramo, il quale nelle avide strette la sentiva tutta desiosa e del suo bel corpo indovinava i segreti mal difesi dalla veste sottile, poco piú tempo attendeva a godere del piacere ultimo e sommo. Ma meravigliandolo assai una tale accondiscendenza in Fiola, egli volle conoscere prima da lei perché fosse stata tanto rigida seco e qual cagione l'avesse indotta da poco a dargli un conforto sí grande.

      Ella rispose: – Io non v'amava; ma mio marito, un giorno che eravamo alla caccia insieme con molti cavalieri e gentildonne, osservando un nostro bravo falcone precipitare addosso a una brigata di starne e scompigliarle tutte, si sovvenne di voi e disse che come il falcone alle starne aveva visto far voi ai nemici nella battaglia. E ricordò le prove del vostro valore e di voi asseriva che nessuno poté mai superarvi in cortesia e liberalità. Allora io ammirando l'animo vostro mi pentii subitamente d'avervi fuggito quasi mala cosa, e ora vi dono co 'l mio cuore tutta me stessa.

      Udite le parole della donna, messer Bertramo stette alquanto silenzioso e raccolto in sé medesimo per improvvisa concitazione di pensieri e d'affetti diversi; poi, con uno sforzo che parve e fu supremo, perché egli rifiutava il bene non di quella sera, ma della sua giovinezza, ma della sua vita, si levò in piedi e disse:

      – Non sarà mai ch'io offenda vostro marito se egli mi ama cosí e se ha tanta fede in me! E tolte di seno alcune bellissime gioie, le porse alla donna pregandola di serbarle per sua memoria, e aggiunse: – Per memoria di voi, voi datemi ora un ultimo bacio.

      Madonna Fiola Torrella turbata molto, chi sa se per nuova ammirazione dell'animo nobilissimo del gentiluomo o piú tosto per vivo rammarico del perduto piacere, lo baciò sulla bocca, e messer Bertramo, senza piú toccarla, le disse addio e partí.

      II

      «Sempre alla lussuria séguita dolore e penitenza…»

      LA SALVAZIONE DI FRA' GERUNZIO

      Da una cella nel monastero di Pentula frate Gerunzio guardava in basso, lontano, sotto un chiaro lembo di cielo la massa scura di Gerico, né poteva pregar bene Iddio; e interrompeva piú volte le preci rituali con preci sue, angoscioso e lamentevole.

      – Signore, che restituisti il vedere a Bertimeo, perché lasci cieca l'anima mia? Perché tu, che risuscitasti Lazzaro e il figliolo della vedova, non risusciti a te l'anima mia? Perché dai miei occhi non sgorgano lagrime degne di grazia come le lagrime del ladro e dell'adultera e io perdo, senza che tu m'aiuti, l'anima mia? Non mi abbandonare, Signore! Fa, Signore, ch'io oda la tua voce, la stessa mia voce nelle mie orazioni; fa che io le senta, che io senta nell'anima le mie colpe come tu su la fronte le spine de' Farisei! —

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