Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2. Ali Bey

Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 2 - Ali Bey


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della moschea che s'innalza fuori delle case come un obelisco. La rupe è scoscesa in alcuni lati, ed in altri coperta di piante fruttifere. I giardini ne circondano la base. Da un altro lato aggiungono varietà alla veduta un ruscello ed altri minori rigagnoli che si precipitano dall'alto, ed un ponte mezzo rovinato. Una sorprendente quantità d'ussignuoli, di tortorelle, e d'altri uccelli di varie specie, rendono questo luogo assai delizioso.

      La valle coperta d'abbondante messe, mi convinse che questi abitanti sono più laboriosi che quelli delle coste del mare.

      Il tempo fu sereno, e caldo assai fino all'istante di far alto, in cui il cielo coprissi di dense nubi; ed appena alzate le tende si udirono terribili colpi di tuono, e cadde una dirotta pioggia.

      Malgrado questo contrattempo, ebbi il vantaggio di poter approfittare d'un istante in cui il sole apparve tra le nuvole, e trovai la mia longitudine cronometrica – 6° 0′ 15″ Ouest dell'osservatorio di Parigi.

      Incontrai sulla strada molte carovane di Arabi che venivano da Levante, cacciati dalla carestia che regnava ne' loro paesi: erano composte d'intere tribù, che conducevano con loro gli avanzi de' loro bestiami, e tutto quanto possedevano. L'aspetto di tali carovane può dare un'adeguata idea delle antiche emigrazioni della Palestina e dell'Egitto, prodotte dalla stessa cagione.

      Un colpo di sole sul rovescio delle mani mi cagionò una resipola. Si gonfiarono assai, e l'infiammazione diventò forte in modo di farmi soffrire acuti dolori.

Lunedì 3

      Non diminuendo le mie doglie non feci levare il campo: altronde tutta la notte e la mattina il tempo imperversò.

      Osservai il passaggio del sole di mezzo a grosse nubi, che mi diede la latitudine al N. di – 34° 30′ 7″; ma quest'osservazione non è attendibile. La pioggia continuava ancora verso sera con un gagliardo vento d'O., e la mia mano sinistra proseguiva a tormentarmi.

Martedì 4

      La dirotta pioggia non ci permise di riprendere il cammino.

Mercoledì 5

      Alle otto del mattino si partì dirigendoci all'E., attraversando vallate, salendo e scendendo colline rinfrescate da molli ruscelli. Ad un'ora ed un quarto essendosi passato un fiume, feci alzare le tende entro il circondario d'un antico Alcassaba (castello) detto Temessovín.

      Il terreno di questa contrada è tutto composto di argilla glutinosa che forma le colline e le valli fino ad una grande profondità, poichè io vidi degli strati verticali di oltre quaranta piedi. Io suppongo essere il medesimo strato generale, che da una parte va fino alla strada che conduce da Tanger a Mequinez, e dall'altra va a formare le montagne del Tetovan.

      In questo giorno incontrai una càffila (carovana) proveniente dal Levante, che conduceva una greggia di più di mille cinquecento capre. Avevano collocate sopra alcuni camelli una specie di baldacchini o piccole tende entro le quali stavano le donne ed i fanciulli delle famiglie più ricche della tribù; le altre camminavano scoperte. Molti buoi e vacche erano cariche, e portavano, come i muli loro carico sul dorso.

      Questo era l'ordine della marcia. Il bestiame collocato avanti era diviso in corpi di circa cento capi cadauno, e diretti da quattro o cinque garzoni, che cercavano di conservare un intervallo di circa venti passi tra un corpo e l'altro; le tende, gli equipaggi e la maggior parte delle donne e dei fanciulli collocati sui camelli stavano nel centro; gli uomini a cavallo e a piedi portando il fucile appeso, formavano la retroguardia, ed andavano pure dispersi sui due lati.

      L'Alcassaba ove noi eravamo accampati è formato d'un quadrato di muri di 425 piedi di fronte con una torre quadrata ad ogni angolo, ed un'altra nel centro di ogni faccia. Il muro aveva tre piedi di spessezza, ed era alto diciotto. Da quest'altezza sorge un sottile parapetto sull'estremità esteriore tutto sparso di feritoj; e la residua grossezza del muro è il solo spazio su cui devono stare i difensori, che non possono fare alcun movimento senza pericolo di cadere. Vedesi nel centro dell'Alcassaba una moschea ruinata, presso alle rovine d'altri edificj. Varj gruppi, ciascuno di tre o quattro baracche, sono il miserabile asilo degli abitanti di questa solitudine. Il kaïd dell'Alcassaba che abita in un dovar distante una lega, venne a complimentarmi, e ad offrirmi un montone, orzo, latte, ed altre derrate.

Giovedì 6

      Alle sette ore e mezzo del mattino la mia carovana si avanzava all'Est, e continuò a tenere la stessa direzione fino alle tre e mezzo della sera, quando a canto di un povero dovar, ed a poca distanza da alcune rovine, o informi abituri, feci collocare il mio campo.

      Il terreno formato d'argilla pura presentava una vasta pianura, ed un vero deserto senz'abitanti, e senz'altra verdura che quella d'alcuni cespugli abbruciati. Alle dieci si passò presso ad una grande cisterna piena d'eccellente acqua, e verso il mezzogiorno si attraversò un piccolo fiume.

      Il tempo benchè sereno era rinfrescato da un vento d'E.

Venerdì 7

      Partj alcuni minuti prima delle sette del mattino, e dopo di avere passato il fiume Moulovìa, vidi le ruine d'un Alcassaba. Per lo spazio di due ore seguitai a tenere la strada al N. E. in poca distanza dal fiume, indi piegando all'E. continuai fino alle due dopo mezzogiorno. Passai in seguito presso ad un grande Alcassaba minato, intorno al quale vedevansi molti dovar: indi dopo aver attraversato il fiume Enzà si fermò il campo sulla sua sponda.

      Profondo è il fiume Moulovìa, ma nel luogo in cui noi lo varcammo, avendo molta estensione, presenta un buon guado. Egli scorre al N. E., le sue acque cariche di melma erano rosse, e dense come quelle del Nilo, ma lasciate alquanto in riposo sono assai buone. Le rive sono basse e coperte di alberi nel luogo in cui eravamo jeri.

      Il fiume Enzà, oltre d'avere naturalmente poche acque, viene impoverito di più dai canali che servono all'irrigazione. Era per me un vero piacere il contemplare in mezzo ad un deserto queste tracce dell'umana industria. Le sue acque scendono all'O.

      A principio il suolo pare una continuazione della stessa pianura argillosa, deserta, osservata nel precedente giorno. Ma alle dieci del mattino si discese in un altro paese alternativamente composto di strati argillosi e calcarei che formano delle colline. A mezzogiorno passai innanzi ad una montagna che mi sembrò formata di basalto, e che lasciai sulla diritta. Ad un'ora e mezzo entrai in un bel paese, ben coltivato, coperto di belle messi nel di cui centro vedesi l'Alcassaba, ed al N. l'Enzà, sulla di cui riva diritta feci far alto.

      Il cielo era mezzo coperto, ed un forte vento di N. E. rinfrescava l'aria. Questo deserto è noto sotto il nome di Angad. Sembra che si dilati nella direzione di N. O. dall'Alcassaba di Temessouinn fino al Sud d'Algeri.

Sabbato 8

      La mia gente levò il campo alle sette ore ed un quarto, e prendemmo la direzione di N. O. seguendo lo stesso deserto. Alle otto trovammo un ruscello di acqua assai buona. Alle nove e mezzo il paese si andava restringendo tra piccole montagne calcaree ed argillose. Ad un'ora e tre quarti dopo mezzogiorno si passò un piccolo fiume, e volgendomi all'E. camminai alcun tempo lungo la riva destra; alcun tempo dopo si cominciò a vedere qualche terreno coltivato, ed in seguito un dovar. Alle tre e mezzo si alzarono le tende vicino ad un Alcassaba, e ad un dovar chiamato l'Aaïaun Maylouk.

      Il suolo attraversato questo giorno è a vicenda argilloso e calcareo. Due linee di montagne che fanno parte del Piccolo-Atlante chiudono l'orizzonte al N. ed al S.

      In tutto questo deserto non si videro altri animali che alcuni piccoli ramarri, alcuni ragni morti o addormentati sui rami spinosi di una piccola pianta abbrucciata.

      Sopraggiunsi colà nell'atto che gli abitanti facevano la ceremonia d'un convoglio funebre. Il cadavere posto in parata sopra un luogo eminente era circondato da una quarantena di donne, che divise in due cori gridavano in misura avvicendando: Ah-ah-ah ah. Tutte le donne del coro pronunciando il loro ah rispettivo, graffiavansi, e guastavano la cute del volto in modo che grondavano sangue. Stavano al loro fianco sei uomini in linea cogli occhi rivolti al paese d'una tribù nemica, che aveva ucciso l'uomo cui facevansi i funerali: gli altri Arabi a piedi, che formavano il corteggio, le circondavano interamente.

      Rimasero mezz'ora in tale attitudine; e le donne dopo avere continuate per tutto questo tempo le loro grida e le loro graffiature, separaronsi dal morto piangendo in battuta. Gli uomini sepellirono il morto nello stesso luogo, e tutti ritiraronsi senz'altra ceremonia.

      Il


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