Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4. Ali Bey

Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4 - Ali Bey


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è la vera orma del piede del più grande dei profeti.

      L'interno della roccia forma una cavità nella quale si scende per una scala dal lato di S. O. Vi si trova una camera d'un quadrato irregolare di diciotto piedi di superficie, alta nel centro otto piedi. Il palco consiste in una volta naturale irregolare. In fondo alla scala vedesi alla diritta un piccolo frontispizio di marmo che porta il nome di el-Makam-Soulimànossia lungo di Salomone; ed un'altra lapide posta a sinistra chiamasi el-Makam-Davoud, luogo di Davide. Chiamasi poi el-Makam-Ibrahim, o luogo d'Abramo, una nicchia cavata nella roccia nel lato di S. O.; come un gradino semicircolare concavo si dice el-Makam Djibrila, luogo di Gabriele: finalmente viene chiamato luogo d'Elia el-Makam el-Hòder, una specie di tavola di pietra all'angolo N. E.

      In mezzo alla camera la spessezza della volta vedesi forata in forma d'abbaìno cilindrico di tre piedi di diametro; e questo è il luogo del Profeta.

      La rupe è circondata da uno steccato di legno ad altezza d'appoggio; ed al di sopra a cinque in sei piedi d'altezza vi è un padiglione di seta a liste alternative rosse e verdi, sospese su tutta la larghezza della rupe con pilastri e colonne.

      Per quanto ho potuto vedere, sopra tutto l'interno della cantinetta, questa rupe parmi di marmo fino, di color bianco rossastro.

      A poca distanza dalla parte settentrionale vedesi nel pavimento un marmo quadrato verde marezzato bellissimo, di circa quindici pollici da ogni parte, assicurato con quattro o cinque chiodi dorati; e si dice essere la porta del paradiso. Varj altri fori indicano ch'era fermato con più chiodi che non lo è al presente, i quali chiodi credono che siano stati rubati dal Diavolo, quando tentò d'introdursi in paradiso, impeditone dal non aver potuto svellere i chiodi che tuttavia rimangono.

      Il Sahhara ha una tribuna di legno pei cantori sostenuta da piccole colonne. Vi ho veduto un Corano i di cui fogli sono quasi alti quattro piedi, e più di due e mezzo larghi. Si pretende che appartenesse al Califfo Omar; ma si dice lo stesso di altri affatto somiglianti che mi furono mostrati al Cairo ed alla Mecca.

      L'esterno del Sahhara è incrostato di varie qualità di marmi, fino a metà della sua altezza; il rimanente è ricoperto di piccoli mattoni di diversi colori elegantemente disposti. Le cinque finestre per ogni lato dell'ottagono sono chiuse con bei vetri dipinti a rabeschi.

      Il tempio ha quattro torri; una sull'angolo S. O. della gran corte, la seconda nel mezzo del lato occidentale, un'altra sull'angolo N. O., e l'ultima sull'angolo N. E. dello stesso cortile.

      CAPITOLO XLV

      Viaggio al sepolcro di Davide, e ad altri sepolcri. – Viaggio al monte Oliveto. – Al sepolcro d'Abramo ad Hébron. – Al presepio di Cristo a Betlemme. – Al sepolcro della Vergine. – Al Calvario ed al sepolcro di Cristo. – Sinagoga de' Giudei. Descrizione di Gerusalemme.

      Dopo aver soddisfatto a tutte le cerimonie, ed a tutte le limosine dovute al tempio lo stesso giorno del mio arrivo a Gerusalemme: nel susseguente giorno fui condotto al sepolcro di Davide.

      Sortendo di città per la porta di Davide trovasi in distanza di 150 tese un edificio che ha l'apparenza d'un'antica chiesa greca. Appena entrati, prendendo la sinistra, si arriva al sepolcro chiuso da molte porte e grate di ferro. È questo una specie di catafalco coperto di bei drappi di seta di varj colori ricamati in oro, che può avere tredici piedi di larghezza.

      Terminate le mie preghiere al sepolcro di Davide fui condotto all'est luogo le mura della città, e scendendo per un pendìo assai ripido giunsi presso all'unica sorgente che trovasi a Gerusalemme, dai cristiani detta fontana di Neemia. Credono i musulmani che l'acqua di questa sorgente derivi per un miracolo dell'onnipotente dal pozzo di Zemzem della Mecca, quantunque l'ultima sia caldissima e salmastra, e quella di Gerusalemme fresca e dolce. Di là passai il torrente Cedron, di dove a traverso a varj poggi andai a visitare i sepolcri di molti santi e profeti del primo e del second'ordine.

      Dalla sommità di questi colli scopersi in distanza di tre o quattro leghe in linea retta una parte del Bàhar Lout, detto da' cristiani Lago Asfaltide, o Mar Morto. Col cannocchiale osservai due piccoli seni, e le montagne che coprono il lago a S. E. Vedeva pure le onde rompersi contro la riva; e l'agitamento dei flutti mi mostrava che questo mare non è affatto morto, come lo indica il suo nome. Tutto il paese che lo circonda è montuoso. Giunto in appresso alla cima del Diebel Tor, detto dai cristiani Monte Oliveto; dove assicurasi essere stati sepolti settantadue mila profeti, trovai la chiesa cristiana, nella quale si venera sopra un marmo l'impronta del piede di Cristo lasciatavi quando salì al cielo dopo la risurrezione.

      Da questa montagna, posta a levante di Gerusalemme, si scopre la città sì bene che se ne possono contare le case.

      Sceso dalla montagna e giunto in fondo al torrente Cedron, passai a lato del sepolcro della madre di Cristo; e dopo salito un colle rientrai in città per la porta detta di Maria.

      All'indomani 25 luglio sortii di Gerusalemme al levare del sole per visitare il sepolcro d'Abramo.

      Alle sette ore ed un quarto del mattino giunto presso a Betlemme, incontrai una truppa di pastori cristiani che venivano a Gerusalemme per accusare i pastori musulmani di Ebron che loro avevano presi molti bestiami, per rappresaglia dei quali i cristiani avevano portati via due cammelli. Il principale pastore raccontò ad uno de' più rispettabili Sceriffi che m'accompagnava tutto l'accaduto, in così energica maniera, che la mia immaginazione mi rappresentò all'istante le contese de' pastori d'Abramo e di Lot, la guerra dei cinque re, ec., tanto essi ne conservano ancora il carattere, le abitudini e perfino le vesti consistenti in una camicia di lana bianca rossastra attaccata con una cintura, e in un drappo nero gettato sulla spalla, con una fascia di tela bianca intorno al capo.

      Appena congedati i pastori, avendo Betlemme a sinistra e Beit-Diele dall'altro lato, mi si presentò lo spettacolo della più singolare meteora che veder si possa. Il sole alto sopra l'orizzonte circa trenta gradi brillava alla sinistra di tutta la sua luce a traverso di una atmosfera purissima; e la luna, vicina al suo ultimo quarto, era sulla mia diritta quasi nella stessa elevazione del sole, così chiara e così bella quanto è possibile di vederla in tale circostanza. Tutt'ad un tratto vidi comparire sotto forma d'una stella due o tre volte più grande, e molto più luminosa di Giove o di Venere nel loro più grande splendore, una meteora che svolse dalla banda di levante una coda, la quale parvemi lunga due gradi. Io non mi potei contenere, e gridai Kif hàda! Kìf hàda! cioè che è questo! che è questo! Le mie genti sbalordite gridarono in pari tempo Minn Allàh! minn Allàh! Dio! Dio! Frattanto la meteora s'avanzava verso occidente facendo ondeggiare dolcemente la sua coda lungo una linea orizzontale, all'altezza di circa 30 gradi, come il sole e la luna. La coda che ben tosto si divise in più raggi, riuniva tutti i colori dell'iride assai vivaci, ed un mezzo minuto dopo, avendo la meteora nel suo pacifico movimento scorsi quasi sei gradi all'O. scomparve senza esplosione, senza tuono, nè alcun'altra spaventosa circostanza. Io mi buttai a terra prostrato avanti al Creatore, e lo stesso fecero tutti quelli che mi seguivano.

      Continuai il cammino al sud, assorto nella meditazione di ciò che aveva veduto: la stella dei pastori, la stella de' magi, tutto ricorreva alla mia memoria; ma io sospetto che i vapori bituminosi salini del Mar Morto rendano in questi paesi simili meteore assai frequenti. Lasciai a destra un eremitaggio dedicato ad Elia, ed alquanto più avanti giunsi ad un bell'Alcassaba mezzo ruinato, accanto al quale trovasi una sorgente di bonissima acqua con un serbatoio lungo cinquanta passi, largo trenta, e più a basso da altri di quasi eguale grandezza: finalmente dopo aver superate diverse montagne giunsi in sul mezzo giorno ad el Hhalil, che i cristiani dicono Ebron, e presi alloggio all'osteria.

      Ebron è una città di circa 400 famiglie Arabe, posta sul pendio di una montagna con un castello. I viveri sono abbondanti, ed ha molti fondachi. È governata da un Arabo del paese col titolo di Hakim, e di Scheih el Bèled.

      I sepolcri d'Abramo e della sua famiglia trovansi in un tempio che fu già una chiesa greca. Si sale per recarvisi una bella e vasta scala che guida ad una lunga loggia, di dove si entra in un piccolo cortile. Dalla banda sinistra vedesi un portico sostenuto da pilastri quadrati, presso al quale


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