Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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da poterlo menare com'e' voleano, gli contaron fole: ed e fe' le viste di beversele; promettendo che non moverebbe un passo da Mazara s'e' non andassero a Palermo e tornassero con la risposta: chè probabilmente avean pretestato doverne deliberare la gema'. Ma come prima seppeli partiti, cavalcò per altra via con picciolo stuolo per andare a guadagnar loro le mosse in Palermo; dove era manifesto che avrebbero adunato tutti i fautori e sollevato la città contro di lui. La parte dunque consultava comodamente e rideasi forse di Hasan, quando si sparge che il novello emiro è a Baida, alle porte della città. L'Hâkim,460 gli oficiali pubblici, tutti coloro che bramavano il buono stato, scrive Ibn-el-Athîr, e par non significhi questa volta i vigliacchi e i pecoroni, tutti gli vanno all'incontro; ed Hasan ad onorarli, a informarsi delle condizioni e bisogni della città, senza quel cipiglio sbirresco che da tanti anni si solea vedere in volto ai governanti. Ismaele-ibn-Tabari, capo della fazione aristocratica, sapendo che tutta la città usciva ad accoglier l'emiro, non potè far che non andasse con gli altri; e al par che gli altri, o forse più, fu ricambiato di cortesie. Tornato alle sue case che si sentiva scappar di mano le fila della trama, peggio indispettì sapendo che Hasan se n'era ito bel bello in palagio, e che gli s'accostavano non solamente gli avversarii ma i partigiani stessi dei Beni-Tabari. Pensando ai modi di frastornare la opinione pubblica, il migliore gli parve una calunnia.

      Un cittadino, cagnotto suo, gitta gli occhi addosso ad un negro della guardia d'Hasan ch'avea nome d'uomo valorosissimo e amato indi dall'emiro; gli si avvicina con bei modi; lo invita ad entrare nelle sue stanze; quando ve l'ebbe attirato, salta fuori gridando: “Accorrete, accorrete, questo masnadiere mi s'è ficcato in casa e vuole sforzarmi la moglie in faccia mia.” Il popolo trasse al romore. Ismaele non mancò di cacciarsi in mezzo borbottando: “Bel preludio! Non son padroni per anco del paese, e ci trattan così! Che dobbiamo aspettarci quando metteranno radice?” E suggeriva d'andare a chieder vendetta all'emiro; supponendo ch'ei non la farebbe, e che il popolo infiammato di sdegno romperebbesi al tumulto e ne sarebbe cacciato Hasan. La plebe, seguendo lo zimbello che non cessava dalli schiamazzi, trasse dinanzi all'emiro. Il quale ascolta pacatamente la querela; risponde a quell'uomo: “Se dici il vero, giuralo dinanzi a Dio;” e poichè lo sciagurato giurava, comandò incontanente di mozzar la testa allo schiavo. Al quale supplizio inaspettato, rallegrossi tutta la città: “Ecco la prima volta, sclamavano, che veggiam far la giustizia; or si può viver sicuri in Palermo.” Ismaele si rannicchiò.461

      Ed Hasan, come se nulla fosse stato, lo vezzeggiava al par che gli altri capi della parte; la qual commedia durò sino allo scorcio del novecenquarantotto. Dello scioglimento abbiamo due tradizioni: la prima, riferita da Ibn-el-Athîr e scritta evidentemente nelle croniche musulmane d'Affrica; la seconda, è immediata testimonianza d'un Siciliano, di professione o almen d'origine cristiano: e l'una rappresenta la sostanza del fatto; l'altra l'apparenza che gli diè il governo. Al dir della prima, il califo, che avea senza dubbio tenuto a bada gli ambasciatori della fazione, sapendo ben avviate le cose di Palermo, li fe' d'un subito catturare in Affrica: che furono Ali-ibn-Tabari, Mohammed-ibn-'Abdûn, Mohammed-ibn-Genâ e altri di minor nome; e scrisse ad Hasan che prendesse lor compagni; il quale, giudicando ardua cotesta impresa, la compiè a tradimento. La cronica del paese, narra in vece che quei di Palermo congiuravano contro Hasan; e ch'egli addandosene “li colse alla rete:” questa è proprio la parola, la quale si direbbe rubata ai liberti che scrivean le croniche degli Omeiadi di Spagna e ne palliavano i delitti.462 Ma ognun vede che le due tradizioni s'addentellano come pezzi d'antica iscrizione che il caso abbia fatto trovare in tempi diversi. Il venticinque dicembre del quarantotto463 Hasan mandava a dire da buon compagnone ad Ismaele: “M'hai promesso di condurmi a diporto nel tuo giardino; vien dunque al castello e andremo insieme.” Somigliante messaggio inviò, a nome d'Ismaele, agli altri notabili della fazione. Entrati tutti senza sospetto, lasciando gli stuoli di lor séguito alle porte del palagio, l'emiro li intrattenne con bei ragionamenti e cortesie fino ad ora tarda; non traspirando fuor le mura altro che allegrezza: poi richiese la brigata di spender quella notte in festa secolui e che la dimane si cavalcherebbe alla villa dei Beni-Tabari e fe' dire ai seguaci di fuori, si ritirassero a casa e tornassero la dimane, poichè lor signorie rimanean ospiti dell'emiro. Al sacro nome d'ospitalità niuno pensò a male. E la dimane si videro appiccati ai pali tanti cadaveri mutili delle mani e dei piè. Erano Ismaele-ibn-Tabari, Regiâ-ibn-Genâ un Mohammed e parecchi altri di cui non si ricordano i nomi.464 Tenne dietro al supplizio la confiscazion dei beni. Fatto il colpo, crebbero i partigiani di Hasan; il reggimento piacque all'universale dei cittadini; la colonia posò dai tumulti; ripigliò animo e forze: così litteralmente le croniche.465 Ed e' si comprende come l'utile colpa sia stata approvata non solo da chi scrisse, ma anco da chi vide e forse dalla più parte del popolo che ne fruì. Oltre i costumi dei tempi, oltre l'ammirazione volgare della vittoria, oltre l'invidia soddisfatta di questo e di quello, ei non si può negare che il misfatto di Hasan tornò utile al pubblico; poichè i Tabari, i Genâ, i nobili di Palermo e lor clientele non erano al certo tribuni zelanti del ben pubblico, ma tirannelli che disputavan tra loro e ad un tiranno più grande il dritto di sopraffare la gente minuta. Donde possiam dire anche noi: bene stia ai vinti. Nè però assolviamo il vincitore, il quale esordì a Mazara con la menzogna: rincalzò all'entrare in Palermo col supplizio del soldato innocente; compì l'opera con far trappola delle proprie case e arme della giustizia il tradimento. Come dovea navigare Hasan tra cotesti due scogli, lo lasciamo a risolvere ai casisti. L'insegnamento che vogliamo cavarne è che gli Stati non ordinati secondo uguaglianza e libertà, non hanno rimedio ai mali loro che sia scevro di colpa.

      CAPITOLO XI

      Terminando in questo tempo la lotta della independenza e principiando un periodo più culto, è bene rassegnare gli elementi civili che rimaneano.

      Le vicende dei Cristiani nella prima metà del decimo secolo mostrano ch'e' tenessero tuttavia il lato orientale dell'isola. Ibrahim-ibn-Ahmed avea distrutto sì loro fortezze; ma le guerre civili impedirono ai Musulmani di porre colonie in quelle parti. Però non avvi ricordo d'alcuna terra di Valdemone o Val di Noto nella sanguinosa storia di Khalîl, nè in altra rivoluzione della colonia fino al novecensessantanove; però nella guerra di Manuele Foca (964) i Bizantini sbarcarono come in luoghi amici per tutta la costiera da Messina a Lentini. E cotesta guerra si accese appunto, perchè i Musulmani voleano porre stanza e possedere terreni nella Sicilia orientale.466

      Regione fatta squallida e desolata, a dispetto della natura, in quel dubbio confine di due epoche; quando la dominazione bizantina, nell'andarsene, le avea lasciato il tristo retaggio di suoi vizii sociali; e i Musulmani, anzichè veri padroni, eran tuttavia nemici, liberi sì di correre la provincia. Di certo mancar dovea l'agricoltura con la popolazione, diradata dalle stragi d'Ibrahim e dalle emigrazioni in Calabria e altri paesi cristiani; e n'è prova la lunga carestia, nella quale una metà dell'isola non bastava a sfamar l'altra metà afflitta dalla guerra civile.467 Con la ricchezza e con la popolazione si dileguavan anco gli ultimi avanzi di coltura intellettuale; talchè sparisce in questo tempo ogni vestigio di scrittori cristiani di Sicilia.468

      La stessa religione par abbia perduto nelle province orientali, se non la speranza ch'è sua radice, certo gli effetti esteriori che mostran viva la pianta. Mancano infatti le memorie ecclesiastiche di quel periodo. Nessuna agiografia ne abbiamo; se non che l'autore anonimo della Vita di San Niceforo vescovo di Mileto vagamente parla della gran copia di “veggenti in Dio” che vissero in Sicilia (964), dei quali nomina il solo Prassinachio; com'e' pare, romito, stanziante in su lo Stretto di Messina; uomo famosissimo per pietà, e per avere presagito la sconfitta di Manuele Foca.469 E quest'abbondanza di profeti è pur segno infallibile di presente miseria, di che la ragione umana vegga chiusa ogni uscita. Torna alla stessa, alla precedente generazione, Ippolito vescovo di Sicilia, non sappiamo di qual città, autore di certi vaticinii molto oscuri su la caduta della potenza musulmana, i quali erano in voga a Costantinopoli nella seconda legazione


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<p>460</p>

Così Ibn-el-Athîr. Palermo avea un cadi; onde il titolo di Hâkim è generico qui in significato di magistrato, ovvero è adoperato perchè vacasse l'oficio in quel tempo, e, invece di cadi eletto dal principe, rendesse ragione un supplente. Hâkim si addimandò, dopo il conquisto normanno, il capo della municipalità di Malta; ma mi sembra fatto eccezionale, nato dalla dominazione cristiana.

<p>461</p>

Ibn-el-Athîr, anno 336; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, p. 166. Quivi si legga sempre “Tabari” invece di “Matîr,” ch'è errore del MS. sul quale fece la versione M. Des Vergers.

<p>462</p>

Questo riscontro mi è suggerito dal bello studio del professore Dozy, su le fonti della storia de' Musulmani Spagnuoli, Histoire de l'Afrique etc., intitulée Al-Bayano-'l-Moghrib, Introduction, p. 16, seg.

<p>463</p>

La Cronica di Cambridge, che sola porta la data e il supplizio, dice: “Venuto il giorno di mila” che fu un lunedì, l'emiro etc.” La voce che ho trascritto dall'arabico e che è chiara nel MS., significa il Natale de' Cristiani, sol che vi si aggiunga un d alla fine ove ho messo le virgolette. I primi editori supplendo invece un'altra lettera scrissero Mi'âd “giorno prefisso” come si potrebbe tradurre. Ma questa voce oltrechè sarebbe insolita, imbroglierebbe il fatto or che Ibn-el-Athîr ci racconta l'ordine del tradimento palatino, e farebbe mancar la data del giorno; la quale non è probabile che il cronista avesse trascurata, mentre designava il giorno della settimana. Il Natale del 948 cadde appunto in lunedì.

<p>464</p>

Debbo avvertire che Ibn-el-Athîr dal quale tenghiamo i nomi, narra il tradimento, la cattura, la confiscazione, non il supplizio: il casato che dovrebbe trovarsi dopo il nome di Mohammed è lasciato in bianco in uno dei MSS., e manca al tutto negli altri due. La Cronica di Cambridge al contrario dice della uccisione dei “côlti alla rete, tra i quali un Marisc (in inglese sarebbe Marîsh) e i suoi compagni.” Questo nome fu scritto dal traduttore inglese, Coreish; ma il codice dà chiarissima la iniziale m. Non l'ho scritto nel testo, parendomi soprannome e che debba indicare il capo della fazione, cioè Ismaele-ibn-Tabari; e ciò sembra confermato dai significati della voce Marîsc dati dal Meminski, cioè “saetta impennata” e una specie di pomo. Marîs sarebbe dei nomi che si danno ai leone.

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Confrontinsi: Cronaca di Cambridge, ibn-el-Athîr, Ibn-Khaldûn, ll. cc.

<p>466</p>

Si vegga il Libro IV, capitolo III.

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Capitolo X del presente Libro, p. 203-204 di questo volume.

<p>468</p>

Non va in questo periodo l'autore anonimo della Vita di San Niceforo vescovo di Mileto di cui or or si dirà. Questo autore, probabilmente siciliano, visse nella seconda metà del decimo secolo. Il testo greco è nella Biblioteca imperiale di Parigi, Nº 1181; e M. Hase ne ha pubblicato uno squarcio in nota a Leone Diacono, edizione di Bonn, p. 442.

<p>469</p>

Leonis Diaconi Caloensis, l. c. L'anonimo dice che i Veggenti per virtù divina abbondavano in Sicilia com'ogni altro prodotto del suolo. Τὸ δὲ καὶ απὸ τινος τῶν ὲν τῇ χώρα δεοπτικῶν (πλεονεκτεῖ γὰρ καὶ τῇ τοῦτων φορᾷ τῆς ἄλλης εὺδηνιας οὺκ ἔλαττον.)