Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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cotesta strana appellazione di vescovo di Sicilia, che comparisce a un tratto alla metà del decimo secolo. Oltre Liutprando, l'adopera la Cronica di Cambridge, parlando d'un Leone che fu mandato in ostaggio a Palermo nel novecenventicinque;470 dond'è evidente aver que' due scrittori ripetuto un modo di dire che correva in Palermo e in Costantinopoli verso il novecensessantotto, quando vissero entrambi. I titoli canonici delle sedi siciliane non erano al certo mutati; ma supposto che ne rimanesse in piedi una sola, il vescovo comunemente si dovea chiamar di Sicilia, non di tale o tal città. E fors'era quello di Taormina.

      Cotesti indizii messi insieme provano il picciol numero a che era ridotta la gente greca e italica della Sicilia orientale e la vita che vivea di stenti, di fatiche, di pericoli. Le città independenti eran fatte tributarie dopo la guerra d'Ibrahim-ibn-Ahmed; spezzato pertanto ogni legame con l'impero bizantino, tanto più dopo la pace che fermò l'impero coi califi fatemiti.471 Costantino Porfirogenito, in fatti, nella descrizione delle province, confessa perduta l'isola di Sicilia, le cui città, dice egli, “parte son abbandonate, parte si tengono dagli atei Saraceni.”472 Che se rimase negli almanacchi di corte il tema di Sicilia, significava soltanto la Calabria che una volta ne avea fatto parte; consolandosi la povertà bizantina con dare all'accessorio il titolo del principale: onde il governatore si chiamò promiscuamente stratego di Sicilia, stratego di Calabria e anche duca di Calabria.473 Le popolazioni tributarie di Sicilia reggeansi necessariamente a municipio;474 soddisfaceano il tributo quando non poteano ricusarlo impunemente; rialzavan le mura per poco che i Musulmani non ci badassero; e di tratto in tratto, or adescate da occasione propizia, ora esasperate da sopruso de' vincitori, ritentavan la prova di resistere. Taormina così; così qualche altra rôcca di Val Demone. Del Val di Noto non si fa motto, dopo la caduta di Siracusa e delle città dell'Etna. Forse la popolazione, menomata delle migliaia che si menavano in schiavitù in altre parti dell'isola475 o fuori, rimase sì poca e sparsa che nulla osò, e niuno parlò di lei.

      Mi conferma in tal supposto la sovrabbondanza di abitatori che si notava a ponente del Salso; a spiegar la quale non basterebbero nè le migrazioni dall'Affrica, nè il naturale accrescimento di popolo che prosperi. Del fatto non si può dubitare. Ibn-Haukal, venuto in Palermo il novecentosettantadue, fornisce dati da ragionare la popolazione della capitale a più di trecentomila anime.476 Khalîl, trent'anni prima fece morire oltre secentomila persone nel Val di Mazara, esclusa Palermo, dove l'efferato animo non trovò pretesto a sfogarsi. A suppor dunque distrutto in quattro anni (938-41) un terzo della popolazione della provincia musulmana, il Val di Mazara, cioè, con Palermo, le si debbon dare innanzi il novecentrentotto due milioni d'abitatori, quanti ne ha adesso tutta l'isola. Men della metà erano Musulmani.477

      Quanto alle schiatte, credo gran parte di tal popolazione antichi abitatori della Sicilia tutta, ridotti in Val di Mazara; tra liberti, vassalli e schiavi, tra cristiani, rinnegati e giudei:478 questi ultimi stanziati nelle città; gli altri, in città e ville. Non occorre di replicare ciò che dicemmo degli antichi coloni musulmani. Ma quei venuti d'Affrica nella prima metà del decimo secolo, furono di tre maniere: industriali, soldatesche, e rifuggiti. Pei primi non sarebbe necessario allegare testimonianze e poche possono rimanerne: pure abbiamo il ricordo d'un Sa'îd-ibn-Heddâd, di famiglia artigiana come lo accenna il nome patronimico, al quale, sotto il regno d'Ibrahim-ibn-Ahmed, morì in Sicilia un fratello che gli lasciò quattrocento dînar, guadagnati com'ei pare, con alcuna industria.479 Dal novecento al novecentrentanove quattro grossi eserciti erano stati mandati a ripigliar lo stato in Sicilia; un altro (902) e parecchi stuoli minori vi erano passati andando in Calabria. Ma di cotesta massa soldatesca di Berberi, Negri, Slavi e milizie arabiche d'Affrica, sbarcati nell'isola in men di mezzo secolo, chi fu spento, chi se ne tornò; picciola parte è da supporre rimasa a soggiorno: e di ciò si ha indizio pei soli Slavi, che diedero nome al più grosso quartier della capitale.480 Sembra di maggiore importanza, per lo numero e per la qualità degli uomini, la migrazione dei partigiani di casa aghlabita e dei fervidi ortodossi che lasciavano l'Affrica, per paura o dispetto, al mutamento della dinastia e alle varie persecuzioni che seguirono. Ai quali la Sicilia era asilo, come paese più lontano dagli occhi sospettosi dei governanti e come quello che odiava i Fatemiti e vivea più o meno apertamente in rivoluzione.

      E cresciuta la popolazione, cessate le continue guerre del conquisto, incominciavano a metter fronde, se non per anco fiori e frutti, gli studii; sturbati sì nelle guerre d'independenza dal romor delle armi, ma molto più promossi dal principio civile che accompagna i moti politici e fa lor precedere o seguire da presso lo svegliamento degli ingegni. Favoriva anche gli studii il contatto più familiare coi vinti, la liberale educazione e dottrina dei rifuggiti d'Affrica e l'esempio dei giuristi mandati a tenere i magistrati.

      Per cominciar dagli avanzi dell'antica civiltà del paese, ricorderemo l'opera che prestò un dotto siciliano nella versione della materia medica di Dioscoride. Aveva abbozzato questo gran lavoro a Bagdad verso la metà del nono secolo, Stefano cristiano di Siria; il quale, sapendo la lingua meglio che la scienza, tradusse i nomi dei semplici più ovvii, e di molti altri trascrisse la denominazione greca senza il riscontro in arabico. Si doleano dunque della imperfetta versione i medici che fiorirono sotto gli Omeiadi di Spagna, quando del novecenquarantotto, trattato un accordo tra Romano imperatore di Costantinopoli e l'omeiade Abd-er-Rahman-Naser-lidin-illah, Romano gli inviò, tra gli altri doni, il testo latino delle storie di Paolo Orosio ed un manoscritto greco di Dioscoride, con belle miniature delle piante. Deste a ciò le speranze dei dotti di Cordova, come ci narra Ibn-Giolgiol che fu medico della corte nel regno seguente, il califo Abd-er-Rahman richiedeva a Romano un interprete di greco e di latino; e mandatogli del novecentocinquantuno il monaco greco Niccolò, fu riveduta o piuttosto rifatta la versione con l'aiuto dei disegni. Se ne dèe merito a parecchi medici arabi di Spagna, al dotto medico giudeo Hasdai-ibn-Bescrût, all'interprete Niccolò ed al siciliano Abu-abd-Allah, che parlava l'arabo e il greco e conoscea la materia medica; tantochè la difficile interpretazione tecnica fu compiuta, nè altro rimase ad appurare che una diecina di semplici di poco rilievo. Fin qui Ibn-Giolgiol, il quale in gioventù conobbe e praticò tutti i collaboratori. Del Siciliano altro ei non dice; ma ben si può supporre di schiatta greca e convertito di fresco, non avendo nome patronimico, e prendendosi sovente dagli uomini nuovi il nome proprio di Abd-Allah, che significa servo di Dio.481 Possiamo supporre di gran momento la cooperazione sua, poichè si narra di lui solo che unisse le nozioni tecniche alle filologiche.

      Dalla medicina passiamo di sbalzo alla giurisprudenza; non concedendo quadro più compiuto le memorie che abbiamo. Ma se giurisprudenza vuol dir la base d'ogni civiltà; se l'incivilimento europeo si debbe alla legge romana, più che a niun altro libro o istituzione; lo studio del dritto ebbe nell'islamismo confini assai più larghi e maggiore influenza civile e letteraria che nell'Occidente pagano o cristiano. Accennammo già la importanza politica dei giuristi musulmani dell'ottavo e nono secolo.482 Lo studio loro abbracciava tutte le scienze che noi chiamiamo morali e politiche, trascorrea fino alla teologia, chiamava la filologia a darle aiuto nella interpretazione del Corano, adoperava la biografia come strumento di critica della tradizione, arrivava alle soglie della matematica computando le tasse legali e le frazioni nel partaggio delle eredità. Però non fa torto all'Affrica se non coltivò con onore altra scienza che questa. Ve la illustrarono nel nono secolo Ased-ibn-Forât, conquistatore della Sicilia, e Sehnûn;483 entrambi della scuola di Malek. Nè tardò molto a passare in Sicilia mediante i discepoli di Sehnûn. Fra i quali levò grido un Iehia-ibn-Omar-ibn-Iusûf morto in Susa il novecentotrè in odore di santità484 e maestro del siciliano Abu-Bekr-Ahmed-ibn-Mohammed-ibn-Iehia, coreiscita, devoto famigerato.485 Più


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<p>470</p>

Liutprandi Legatio, presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo II, parte I, p. 485. “Hippolytus quidam Siciliensis episcopus.” La Cronica di Cambridge citata al capitolo VIII di questo Libro, p. 172, ha: “Leone vescovo della Sicilia;” nè la costruzione arabica permette d'interpretare “uno dei vescovi di Sicilia.”

<p>471</p>

Si vegga il cap. VII del presente Libro, p. 173.

<p>472</p>

De Thematibus, p. 58, ediz. di Bonn, tomo III, delle opere di Costantino: καὶ τὰς λοιπὰς πόλεις τὰς μὲν ἠφημωμένας, τὰς δὲ κφατουμένας παφὰ τῶν Σαρακηνῶν.

<p>473</p>

Costantino Porfirogenito, op. cit., p. 60, e De administrando imperio, p. 225.

<p>474</p>

Libro II, cap. XII, p. 470, 471 del primo volume.

<p>475</p>

Libro II, cap. VI e IX, vol. primo, p. 323, 325, 407.

<p>476</p>

Journal Asiatique, série IVe, vol. V, 1845, p. 105, nota 9.

<p>477</p>

Veggasi il Libro IV, cap. III, su la popolazione musulmana al 962.

<p>478</p>

V'era in Palermo un borgo di Giudei. Ibn-Haukal, nel Journal Asiatique, vol. cit., p. 97.

<p>479</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 71 recto. Sa'îd morì il 302. Il biografo aggiugne che costui toccò i danari per favore di Ibrahim-ibn-Ahmed; non sappiamo se per aver tolto qualche difficoltà fiscale, ovvero per avergli fatto pagare i 400 dînar con tratta sul tesoro di Kairewân. Sa'îd, avvezzo a vita peggio che frugale, spese 200 dînar a fabbricarsi una casa; 50 in vestimenta; 50 in tappeti, stoviglie e altre masserizie; e ne serbò 100 per mantenimento del resto della sua vita. Di che riprendendolo gli amici, rispose che avea a ufo dei 100 dînar, poichè il quarto d'un rotolo di carne gli bastava una settimana. Il primo giorno, dicea, mangio il brodo delle ossa; il secondo quel dei tendini; dal terzo al sesto certi piatti di bietole mescolati or a fave, or a ceci, or a pastinache; e il settimo dì la carne!

<p>480</p>

Ibn-Haukal, Journal Asiatique, vol. cit., p. 93.

<p>481</p>

Squarcio della vita di Ibn-Giolgiol (in francese Djoldjol) per Ibn-abi-Oseibia, testo e versione di M. Sacy, in appendice alla Rélation de l'Egypte par Abdallatif, p. 549, seg., e 493, seg.

<p>482</p>

Veggasi il Libro I, cap. VI, e Libro II, cap. II, nel volume primo, p. 149, seg., 253, seg.

<p>483</p>

Questo era soprannome. Il nome intero Abu-Sa'îd-Abd-es-Selâm-ibn-Sa'îd-ibn-Habîb-ibn-Hasân-ibn-Helâl-ibn-Bekkâr-ibn-Rebia', della tribù arabica di Tonûkh. Così il Riâdh-en-Nofûs, fog. 39 verso. Confrontisi Ibn-Khallikân, versione inglese, tomo II, p. 131.

<p>484</p>

Si vegga il cap. IX di questo III Libro nel presente volume, p. 188. La data della morte si argomenta dal posto dato a questa biografia nel Riâdh-en-Nofûs, fog. 57 verso. Iehia-ibn-Omar spese seimila dînar per lo studio della giurisprudenza. Andò in Spagna, donde fu detto Andalosi; e in Oriente, dove fece, come tutti coloro che il poteano, un corso di lingua e poesia, dimorando nelle tende dei Beduini in Arabia. In cotesta peregrinazione scientifica, durata sette anni, consumò quasi il suo avere. Riâdh-en-Nofûs, l. c.

<p>485</p>

Riâdh-en-Nofûs, fog. 79 recto.