Storia degli Esseni. Benamozegh Elia

Storia degli Esseni - Benamozegh Elia


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Quindi due origini quando degli Esseni si parla: origine degli elementi delle parti loro costitutive, e questa è l’origine prima: – Origine poi della personificazione della incarnazione di questi elementi in un ente sociale, e questa è l’origine seconda. Io chiamerò la prima origine dell’Essenismo o Essenato in quanto accenna ai caratteri ed alla genealogia storica dei principj; io chiamerò la seconda origine degli Esseni in quanto meglio allude agli uomini in cui l’Essenato divenne persona, e alla genealogia storica dei suoi professori. Facciamoci dalla prima di queste origini, dall’origine dell’Essenato ossia dei caratteri, delle idee, del genio delle istituzioni degli Esseni. Io credo che voi non disconoscerete la importanza di questa ricerca. Quando pure avverso fato ci contendesse il rintracciare la seconda di queste origini, cioè l’incominciamento storico, individuo, complessivo della setta, ei sarebbe acquisizione preziosissima la storia, la origine degli elementi di cui si compose. Ma il fato ci arriderà benigno meglio che non estimate; e lo studio che siamo per fare al presente, verrà compito, integrato da quello che faremo di poi; e l’origine delle idee vedrà immediatamente seguirsi l’origine della loro personificazione in un sodalizio. Io chiedo adunque all’Ebraica antichità gli elementi dell’Essenato, e che cosa mi risponde l’Ebraica antichità? Ella mi risponde, offrendomi una istituzione in cui, siaci lecito il dirlo, gran parte si dipinge dei caratteri e dell’Essenato, ed ove tranne l’associazione, l’organizzazione sociale, e tranne il celibato, la fisonomia splendidamente rifulge di precursori, di preparatori del grande Istituto. Qual’è questa istituzione? Ella è l’istituzione del Nazirato. Non so se voi quanto sia mestieri conosciate che cosa è Nazirato: fatto è che nè conosciuto nè apprezzato egli è a parer mio quanto pure si dovrebbe. Nazirato era quello stato di religiosa separazione in cui volontariamente si poneva ognuno che più particolarmente si volesse a Dio dedicato. Si dedicava, o miei giovani, al Signore con tre specie di voti che i precipui obblighi costituivano dei Nazirei. S’interdiceva in primo luogo non solo il vino ma l’aceto, ma l’uva istessa, e stando alla parola Scehar ogni bevanda eziandio inebriante. S’interdiceva in secondo di rader un sol capello della chioma, la quale doveva al termine del suo voto recidersi tutta ed al fuoco bruciarla del sacrifizio che il Nazireo offeriva; s’interdiceva per ultimo di venir menomamente a contatto con un cadavere, nè qualunque altro genere contrarre di impurità che da quel derivasse. Di questi tre voti, di questi tre obblighi, due vediamo comuni agli Esseni; comune cioè la interdizione del vino, siccome a suo luogo vedremo, comecchè da talun contestata; comune l’orrore da ogni corporea impurità, come più estesamente sarà da noi dimostrato; e se comune non vediamo egualmente la intangibilità della chioma, egli è perchè la perpetua consacrazione, il vincolo non temporaneo degli Esseni la rendeva impossibile, e soprattutto perchè la legge dei Nazirei formalmente ne assolveva coloro che la intera vita sacravano, siccome meglio dalle cose sarà chiarito, che in appresso diremo. Voi comprendete già come questi strettissimi obblighi, uno stato costituissero pegli Esseni di particolare santità; ma quanto più questi voti non acquisteranno valore se li vedrete dovunque applicati ove una maggiore si esiga o più esquisita perfezione religiosa! Se li vedeste per esempio iterati e tra i doveri annoverati dei sacerdoti; se esplicita invocassi l’inibizione che ai sacerdoti interdice l’uso degli inebrianti ogni qual volta l’alterno servigio li chiamava attorno il santuario: se vi mostrassi Nadab e Abiù, i due infelici figliuoli di Aaron, divorati da un fuoco miracoloso solo per aver, secondo la tradizione, libato del vino al loro ingresso nel tempio; se vi citassi infine la legge che vuole i giudici pro tribunali, sedenti sobri per tutto quel giorno di liquore ebriante; se vi dicessi con Ezechiele che i sacerdoti non debbano radersi assolutamente la testa, ma sì tanto della chioma rispettare che bella mostra faccian di sè nel pubblico servigio; se tale vi citassi una frase in Geremia ove la capigliatura, la lunga chioma è detta serto, è detta corona; se passando poi al tema delle impurità, vi mostrassi i Nazirei equiparati nelle rigide osservanze non solo al volgo dei sacerdoti, ma al grande, al sommo pontefice egli stesso il quale solo esso in questo ai Nazirei somigliante, doveva non solo da ogni impurità tenersi lontano, ma nemmeno gli estremi offici rendere ai prossimi parenti, al padre, alla madre, al fratello, alla sorella, pei quali invece al sacerdote volgare era conceduto immondarsi.26 Che più? Se vi mostrassi a certi effetti, in certi casi e secondo certe opinioni, il Nazireo allo stesso pontefice sommo in santità sovrastare, quando cioè pontefice e Nazireo imbattutisi per caso in cadavere derelitto era imposto al sommo pontefice rispettare la santità del Nazareo e la propria dignità obliare per rendere gli ultimi doveri a quel corpo infelice. Certo, che dopo avere tutte le anzidette cose udito a ricordare, certo esclamerete che ben grande doveva essere nella mente del divino leggidatore, del Nazireo il concetto. Che sarà poi se i termini intenderete con cui sul conto suo si esprime? E quai termini! La corona di Dio è sul capo suo, vi dice aperto il sacro testo.27 Non basta: Per quanto dura il suo Nazirato sacro è desso al Signore. Termini che nè diversi, nè più pomposi suonano pel sacerdozio, termini chè chiaramente la parentela, l’affinità ti rivelano, che volle Iddio stabilita tra il Nazirato e il sacerdozio, tra il Nazirato sacerdozio incoato, virtuale, temporario, e il sacerdozio Nazirato attuale e perpetuo. Voi udiste parlare di corona sacra a proposito del Nazareo, e di sacra corona intenderete parlare a proposito del sommo pontefice. Voi udiste il Nazareno qualificato sacro al signore, e sacro al signore recava in lettere d’oro sul frontale inciso il sommo pontefice. I sacerdoti sono ministri dei sacrifizi, e ministri esclusivi, chi non lo sa? Ma pure se vi fu uomo che tutte le ordinarie regole conculcando dei sacrifizii, si sia eretto a pubblico, a solenne immolatore, e se eretto si sia comecchè nè sacerdote nè in luogo celebrante al culto di Dio dedicato; se uomo cotale vi fu, ei fu un Samuele, ei fu un semplice levita, ei fu un Nazareno; e se in progresso di tempo, e se dei redivivi Nazareni, e se infine degli Esseni fu detto siccome da Giuseppe apparisce, che fuori del tempio sacrificavano, chi sa che lo esempio di Samuele ad accreditare non sia valso una opinione siffatta! Fatto è che il carattere sacro, religioso e quasi ieratico non fu mai ai Nazarei disdetto: non lo fu nemmeno ai tempi malaugurati della invasione siriaca. Quando, secondo un preziosissimo testo dei Maccabei, nel primo di questi libri al capitolo 3º, ritiratisi gli Ebrei fuori di Solima seco recano dalla santa città a Maspa, ove s’adunano e si accampano, tutto chè di più sacro e prezioso avessero nel tempio di Dio; quando siccome si esprime il testo istesso dei Maccabei, bandito un generale digiuno e postisi dei sacchi attorno e della cenere in sul capo, spiegano i libri della legge, arrecano le vesti sacerdotali, le primizie e le decurie e fanno venire innanzi i Nazirei, quando non sapendo in qual luogo più sicuro riparare tanto tesoro, esclamano, dice il testo, con gran voce dicendo: Che faremo a costoro e dove li meneremo? Conciossiachè il tuo santuario sia calpestato e profanato, e i tuoi sacerdoti sieno in cordoglio e in afflizione.

      Io credo che non pochi insegnamenti abbiamo fin qui acquistato; abbiamo veduto tra gli antichi Nazirei e gli Esseni parecchi correre luminosissime attinenze, e tra ambedue altresì, e il sacerdozio costituito in Israele; abbiamo in tanta antichità rinvenuti parecchi degli elementi onde si formò di poi il nostro Essenato. Ma qui non finisce la vena feconda del Nazirato vetusto, qui non hanno fine i mirabili riscontri tra esso e’ moderni Nazirei che si chiamano Esseni. Solo che meglio vi piaccia la natura indagarne, solo che le frasi dei nostri Profeti, laddove dei Nazirei tolgono a ragionare, non vadano, come avviene, perdute nel torrente di una irreflessa e precipitosa lettura. Un passo principalmente vi ha di cui non si potrebbe ragionevolmente inforsare la importanza. Egli è il Profeta Amos quando rinfaccia ai coetanei suoi la ingratitudine onde ripagavano le insigni beneficenze di Dio, quando ricorda loro il portentoso riscatto, le spirituali divise con cui rivestilli, quando in ispecie ricorda i doni profetici, le fatidiche ispirazioni; quando esclama in nome d’Iddio, E pure io fui quello che i figli vostri costituiva profeti e i giovani vostri costitutiva Nazareni. Non è forse così, o Popolo d’Israel, dice il Signore? Ma voi che faceste? Voi propinaste ai Nazareni il vino conteso, ed ai profeti intimaste dicendo: Non profetate. O io m’inganno, o nuova sembianza è cotesta che assumono i Nazareni. Non solo gente sacra e quasi sacerdotale, siccome vedemmo, ma gente, si può dire arditamente altresì, gente profetica. Chi conosce il genio della lingua Ebraica, la replicazione del concetto, nelle due metà del versetto, le predilette sinonimie, il parallelismo frequentissimo, non porrà menomamente in dubbio che nella mente di Amos, Profeti e Nazireni, il vino dai Nazareni


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Questo studio rigorosissimo di purità sino al punto di preterire doveri sì sacrosanti ci può far comprendere il valore di certe parole del Fondatore del Cristianesimo. Lasciate i morti seppellire i loro morti. Chi non odierà il Padre, la Madre, il fratello per amor mio non sarà degno di seguirmi. Donna, questi sono mia Madre e questi i miei fratelli. Non è nostro officio sindacare di queste sentenze il valore morale; sibbene il critico. Ora noi fondatamente asseveriamo non d’altronde derivare se non da quel concetto che di se medesimo mirava a far prevalere e che altrove abbiam già veduto informare le sue parole; quello cioè di Tempio vivo e vero ed erede delle prerogative tutte del Tempio reale allora esistente. Quindi per naturale illazione tutti i doveri che cessavano alle soglie del Tempio non potevano più avere niun diritto alla sua osservanza nè a quello dei seguaci. Vediamo infatti non per altro motivo giustificarsi da Gesù le infrazioni del sabato e delle leggi dietetiche se non dicendo esservi allora presente. Qualcheduno maggiore del Tempio. Notabilissimo poi è che il Zoar dà la qualità di Tempio al Dottore Cabbalista (Vol 3º Sez. Zau); nuovo indizio delle origini essenico-cabbalistiche del Cristianesimo.

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Risulta dal Testo sacro per duplice motivo e in duplice senso, chiamarsi il Nazireo con questo nome, nel senso di separazione e nel senso di corona. Ciò prova come la nomenclatura biblica sia polisensa, e come bene si appongano i dottori, cercando, oltre la indicazione biblica, altro senso nel nome di quei personaggi. Non meno questo fatto resulta evidente nei nomi apposti ai figli di Giacobbe; per esempio, Giuseppe, ove anche il senso di ritrarre, cessare l’onta dell’orbamento, è accennato dal Testo stesso, allato dell’altro più appariscente di aggiungere, aumentare; e di altri non meno, come avvertimmo nelle nostre note al Pentateuco in lingua ebraica (Em lammicrà, Genesi, cap. I). Questa multiformità di sensi può darci la chiave di alcune anomalie, non ancora perfettamente risolute; qual è, a mo’ d’esempio, la poca convenienza che si nota tra certi nomi biblici nella loro attual giacitura, e la etimologia che ne assegna la stessa Scrittura; così Cain mal consuona col Canisti, da cui si vuole derivato; Noè con Jenahamenu, Samuel con Seiltiv, ed altri, che nel nostro sistema avrebbero avuta altra significazione, eziandio taciuta dal Testo. Si spiegherebbe ancora come siano rimaste in credito certe derivazioni pugnanti colla esplicita dichiarazione del Testo, qual è, ad esempio, la origine del nome Mosè, secondo la Scrittura, dal verbo ebraico Masa e secondo Filone (Vita di Mosè) dal nome egiziano d’acqua, mos. Non è improbabile l’ipotesi che i primi cristiani siansi detti Nazareni, nel senso di Nazirei, piuttosto che in quello di originarj della città di Nazaret, etimologia poco ammissibile, e per avventura immaginata quando l’antica origine dell’Essenato, cominciò a venir meno nella memoria degli uomini.