Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - Giannone Pietro


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href="#n110" type="note">[110]; e condotto avanti il Re, lo fece Carlo osservare da Riccardo Conte di Caserta, e dal Conte Giordano Lancia, e da altri Baroni prigionieri de' quali alcuni timidamente rispondendo, quando fu esposto agli occhi di Giordano, questi tosto che lo riconobbe, dandosi colle mani al volto, e gridando altamente, e piangendo se gli gittò addosso baciandolo, e dicendo: Oimè, Signor mio, ch'è quel che io veggio! Signor buono, Signor savio, chi ti ha così crudelmente tolto di vita! Vaso di filosofia, ornamento della milizia, gloria de' Regi, perchè mi è negato un coltello, ch'io mi potessi uccidere per accompagnarti alla morte, come ti sono nelle miserie[111]; e così piangendo non se gli potea distaccare d'addosso, commendando que' Signori franzesi molto cotanta sua fedeltà ed amore verso il morto Principe. E richiesto Carlo da' Franzesi stessi impietositi del caso estremo, che lo facesse onorar almeno degli ultimi ufficj, con fargli dar sepoltura in luogo sacro, si oppose il Legato Appostolico, dicendo che ciò non conveniva, essendo morto in contumacia di Santa Chiesa; onde Carlo loro rispose, ch'egli lo farebbe molto volontieri, se non fosse morto scomunicato. Perlaqualcosa fu il suo cadavero seppellito in una fossa presso il Ponte di Benevento, ove ogni soldato (affinchè almeno in cotal guisa fosse noto a' posteri il luogo del suo sepolcro, e l'ossa non fossero sparse, ma ivi custodite) vi buttò una pietra, ergendovisi perciò in quel luogo un picciol monte di sassi.

      Ma l'Arcivescovo di Cosenza fiero inimico di Manfredi, cui non bastò la morte per estinguere il suo implacabil odio, ad alta voce gridando cominciò a dire, che se bene non fosse stato Manfredi sepolto in luogo sacro, era però stato il suo cadavero posto presso a Benevento, in terreno ch'era della romana Chiesa; che dovea quel cane morto levarsi da quel luogo, e portarsi fuori del Regno, e le ossa buttarsi al vento; del di cui zelo cotanto si compiacque Papa Clemente, che furono l'ossa dissotterrate ed a lume spento furono trasportate in riva del fiume Verde, oggi appellato Marino[112], ed esposte alla pioggia, ed al vento, tanto che gli abitatori di que' luoghi non poteron mai di quelle trovar segno, o memoria alcuna[113]. Dante come Ghibellino, avendo compatimento d'un così miserabil caso, finge Manfredi penitente, e lo ripone perciò non già nell'Inferno, ma nel Purgatorio, e così gli fa dire:[114].

      son Manfredi

      Nipote di Costanza Imperatrice:

      Ond'io ti priego, che quando tu riedi,

      Vadi a mia bella figlia, genitrice

      Dell'onor di Cicilia e d'Aragona,

      E dichi a lei il ver, s'altro si dice.

      Poscia ch'i' ebbi rotta la persona

      Di due punte mortali, i' mi rendei,

      Piangendo, a quei che volentier perdona.

      Orribil furon li peccati miei:

      Ma la bontà infinita ha sì gran braccia

      Che prende ciò, che si rivolve a lei.

      Se 'l Pastor di Cosenza, ch'alla caccia

      Di me fu messo per Clemente allora,

      Avesse in Dio ben letta questa faccia,

      L'ossa del corpo mio sariéno ancora

      In co del Ponte presso a Benevento

      Sotto la guardia de la grave mora:

      Or le bagna la pioggia, e move 'l vento

      Di fuor dal Regno quasi lungo 'l Verde:

      Ove le trasmutò a lume spento.

      Per lor maladizion sì non si perde,

      Che non possa tornar l'eterno amore,

      Mentre che la speranza ha fior del verde.

      CAPITOLO IV

      Re Carlo entrato nel Regno comincia a reggerlo con crudeltà e rigori; onde il suo governo è abborrito, e gli animi si rivoltano, ed invitano alla conquista Corradino

      Sparsasi intanto la fama della rotta dell'esercito di Manfredi, e la sua morte, non fuvvi città così dell'uno, come dell'altro Reame, che non alzasse le bandiere de' Franzesi.

      (Le Lettere del Re Carlo scritte a Clemente, per le quali gli dà avviso di questa vittoria, sono rapportate, oltre il Summonte, da Lunig[115]).

      Tutti gridavano il nome di Carlo, e promettendosi nel nuovo dominio franchigia e dovizia grande, credevano dover vivere sotto i Franzesi non solo liberi da straordinarie tasse, ma d'essere ancora liberati dai pagamenti ordinari. Non era città, ove Carlo conducevasi, che non fosse ricevuto con segni d'estrema allegrezza, e giubilo. Tosto da Benevento parte, e viene in Napoli, e non ancor quivi giunto, che i Napoletani mandarono a presentargli le chiavi della loro città. Entrò in quella con la Regina Beatrice sua moglie, con gran pompa e fasto, accompagnato da tutti i Nobili della città, che 'l gridarono loro Re, e dall'Arcivescovo di Cosenza assistito, si portò nel Duomo di S. Restituta a render grazie al Signore di così segnalata vittoria. Creò da poi Principe di Salerno Carlo suo figliuol primogenito il quale uscito da Napoli cavalcò per tutto 'l Reame per affezionarsi i nuovi vassalli: e con non interrotto corso di felicità tutte le cose succedono ai loro desiderii. Le reliquie del rotto esercito erano ritirate in Lucera, dove anche erasi salvata la Reina Elena moglie di Manfredi con Manfredino suo picciolo figliuolo, ed una figliuola[116]. Re Carlo tosto mandò ivi Filippo di Monforte con la maggior parte dell'esercito ad assediarla, ma difendendosi i Saraceni, ch'erano dentro, valorosamente, bisognò abbandonar l'impresa, lasciandola però strettamente assediata, la qual città insieme colla Regina e 'l figliuolo non si rese, se non dopo la rotta data a Corradino, come diremo.

      I Siciliani ancora, intesa la morte di Manfredi, subito alzarono le bandiere Franzesi, ed i primi furono i Messinesi. Mandò perciò Re Carlo Filippo di Monforte in quell'isola, e non passò guari, che tutta la ridusse sotto l'ubbidienza di Carlo[117].

      Ecco come in un tratto si rese Carlo Signore di ambedue questi Reami, con allegria e giubilo de' Popoli, che si credeano liberati dal giogo, come dicevano, del Re Manfredi e de' Saraceni, e di vivere sotto il Regno di Carlo franchi d'ogni pagamento, in una perpetua ricchezza, ed in una tranquilla e quieta pace.

      Ma restarono tosto delusi, poichè i Franzesi scorrendo per tutti i luoghi, portavano co' loro transiti danni e ruine insopportabili agli abitatori[118]. Ed il Re chiamando i Baroni dell'uno e l'altro Regno, che venissero a servirlo, impose ancora un pagamento straordinario alle terre del Regno contro la loro espettazione e lusinga, falsamente stimando, che non solo non s'avessero da veder più soldati, nè pagar pesi estraordinarj, ma d'essere ancora liberati dagli ordinarj. Ma il novello Re all'incontro badando unicamente ad arricchire per questi mezzi il suo Erario, chiamò a questo fine tutti i Tesorieri e Camerari del Regno, e volle da quelli essere minutamente informato de' proventi del Regno, degli Ufficj, delle giurisdizioni, e di tutte altre sue ragioni del Regno; e poichè era stato informato, che un di Barletta nomato Giezolino della Marra era di queste cose instruttissimo, e che per tal cagione da Manfredi era stato adoperato in simili affari, valendosi della di lui opera per le nuove imposizioni d'angarìe, taglie e contribuzioni; fecelo a se venire, il quale per applaudir all'avidità sua ed acquistarsi perciò merito presso il novello Principe, portogli non solo tutti i Registri, ove erano notati i proventi degli Ufficj, delle giurisdizioni, e delle altre ragioni regie; ma anche i registri, ov'erano rubricate tutte le estraordinarie imposizioni d'angarìe, parangarìe, collette, taglie, donativi, e contribuzioni, colle quali sovente erano stati oppressi i miseri Regnicoli[119]. Furon tali le insinuazioni, ed i consigli di Giezolino, che Carlo per porgli più speditamente in opera levò tutti gli Ufficiali, che prima erano nelle province, e creò nuovi Giustizieri, Ammirati[120], Protonotari, Portolani, Doganieri, Fondachieri, Secreti, Mastri Giurati, Mastri Scolari, Baglivi, Giudici e Notari per tutto il Regno, a' quali prepose altri Ufficiali maggiori che sopra di loro invigilassero.


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<p>111</p>

Inveges Annal. di Paler. t. 3.

<p>112</p>

Boccaccio: Viridis fluvius a Picaenatibus dividens Aprutinos, et in Truentum cadens, mirabilis, eo quod ejus in ripam, quae ad Picaenates versa est, jussu Clementis Pontificis Summi, ossa Manfredi Regis Siciliae, quae secus Calorem Baneventi fluvium sepulta erant, absque ullo funebri officio dejecta fuerunt a Consentino Praesule, eo quod Fidelium communione privatus occubuerit.

<p>113</p>

Alessand. Andrea nella Guerra di Paolo IV ragion. 2.

<p>114</p>

Dante Canto 3 del Purgatorio.

<p>115</p>

Cod. Ital. Diplom. tom. 2 pag. 970.

<p>116</p>

Costanzo lib. 1. V. Inveges Annal. di Paler. tom. 3.

<p>117</p>

Anonym. Mittit in Siciliam Dominum Philippum de Monforte.

<p>118</p>

Anonym.

<p>119</p>

Di questi Registri fassi anche memoria in una carta rapportata dal Summonte.

<p>120</p>

Anonym. Legem ponit Regnicolis, novosque Secretarios, Justitiarios, Admiratos, Protonotarios, Portulanos, Dohanerios, et Fundigarios, Magistros Scholariorum, et Magistros Juratos, Bajulos, Judices, et Notarios ubique per regnum, et super hos majores Praepositos statuit.