Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - Giannone Pietro


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ebbe già moglie e figliuoli; e fu uno de' primi Giureconsulti della Francia: fu poi, morta sua moglie, fatto Vescovo di Pois, indi di Narbona, ed appresso Cardinale, ed ora si trovava Legato in Inghilterra. Tosto che seppe l'elezione, partissi di Francia, ed in abito sconosciuto di mendicante, secondo il Platina, o di mercatante, come vuol Collenuccio, venne a Perugia, ove da' Cardinali con somma riverenza ricevuto, fu adorato Pontefice e chiamato Clemente IV; indi con molto onore a Viterbo 'l condussero.

      La prima cosa, che e' trattò nel principio del suo Ponteficato, spinto da natural affezione che la Nazion franzese suol portare a' suoi Principi, fu la conclusione di seguitare quanto per Papa Urbano suo predecessore era stato cominciato a trattare con Carlo d'Angiò, per mezzo dell'Arcivescovo di Cosenza.

      (Clemente IV successore d'Urbano, rivocò prima l'investitura data ad Edmondo; e la Bolla di questa rivocazione è rapportata da Lunig[86]; e da poi nell'istesso anno 1265 investì del Regno Carlo d'Angiò, e la Bolla di questa investitura con tutti i suoi patti e gravami, si legge pure presso Lunig[87], siccome anche il giuramento dato da Carlo nel 1266 a Viterbo, pag. 979).

      E perchè trovò il Collegio tutto nel medesimo proposito, mandò subito con gran celerità l'Arcivescovo a sollecitare la venuta di Carlo. Confermò ancora il Cardinal Simone di S. Cecilia Legato in Francia, dal suo predecessore eletto; e gli scrisse che assolvesse tutti i Crocesignati Franzesi per Terra Santa, commutando loro il voto nella conquista di Sicilia, come si raccoglie da un'epistola di Clemente stesso riferita da Agostino Inveges[88]. Scrisse ancora al S. Re Lodovico, che desse aiuto a Carlo suo fratello; ed essendosi renduto certo, che così il Conte di Provenza, come il Re suo fratello erano disposti per l'impresa, commise al Cardinal di Tours, che accordasse i patti, co' quali egli voleva, che si fosse data l'investitura; ed ancorchè non potesse alterar niente di ciò ch'erasi convenuto con Urbano sopra le modificazioni già fatte, nulladimanco, ora che vide Carlo impegnato, volle di gravi e pesanti condizioni obbligarlo nell'istesso tempo che gli dava l'investitura.

      Aveva Urbano, come si è detto, tentato in questa nuova investitura che s'offeriva al Conte di Provenza, ricavarne per la Sede Appostolica gran profitto, proccurando allora con ogni industria, che la provincia di Terra di Lavoro con Napoli e l'isole adiacenti, non altrimente che Benevento, fosse eccettuata e si aggiudicasse alla Chiesa; ma Carlo non volle sentir parola: poichè finalmente non se gli concedeva un Regno, la cui possessione fosse vacante, ma dovea egli colle sue forze discacciarne il possessore Manfredi, ed il Papa non vi metteva altro che benedizioni ed indulgenze ed un poco di carta per l'investitura; poichè le sue forze erano così deboli, che non poteva nemmeno mantenersi in Roma. Clemente per tanto, non potendo appropriar a se quella provincia, proccurò almeno gravare l'investitura di tanti patti e condizioni, che veramente rese il nuovo Re ligio, spogliandolo di molte prerogative, delle quali prima eran adorni i predecessori Re normanni e svevi.

      I Capitoli stipolati e giurati da Carlo, nel modo che il Papa gli avea cercati, secondo che vengono rapportati dal Summonte, da Rainaldo[89] e da Inveges, sono i seguenti.

      I. Fu da Clemente investito Carlo Conte di Provenza del Regno di Sicilia ultra e citra, cioè di quell'isola e di tutta la terra, ch'è di quà dal Faro insino a' confini dello Stato della romana Chiesa, eccetto la città di Benevento con tutto il suo territorio e pertinenze: e ne fu investito pro se, descendentibus masculis, et foeminis: sed masculis extantibus, foeminae non succedant; et inter masculos, primogenitus regnet. Quibus omnibus deficientibus, vel in aliquo contrafacientibus, Regnum ipsum revertatur ad Ecclesiam Romanam[90].

      II. Che non possa in conto alcuno dividere il Regno.

      III. Che debba prestar il giuramento di fedeltà e di ligio omaggio alla Chiesa romana.

      IV. Atterriti i romani Pontefici di ciò che aveano passato co' Svevi, che furono insieme Imperadori e Re di Sicilia, in più capitoli volle convenir Clemente, che Carlo non aspirasse affatto, o proccurasse farsi eleggere o ungere in Re ed Imperador romano, ovvero Re de' Teutonici, o pure Signore di Lombardia, o di Toscana, o della maggior parte di quelle Province, e se vi fosse eletto, e fra quattro mesi non rinunziasse, s'intenda decaduto dal Regno.

      V. Che non aspiri ad occupar l'Imperio romano, il Regno de' Teutonici, ovvero la Toscana e la Lombardia.

      VI. Che se accaderà, stante le contese ch'allora ardevano per l'elezione dell'Imperadore d'Occidente, che fosse eletto Carlo, debba alle mani del romano Pontefice emancipar il suo figliuolo, che dovrebbe succedergli, ed al medesimo rinunciar il Regno, niente presso di se ritenendosene.

      VII. Che il Re maggiore d'anni 18 possa per se amministrare il Regno, ma essendo minore di quest'età, non possa amministrarlo; ma debbasi porre sotto la custodia e Baliato della romana Chiesa, insino che il Re sarà fatto maggiore.

      VIII. Che se accadesse una sua figliuola femmina casarsi coll'Imperadore, vivente il padre, e quegli defunto, rimanesse ella erede, non possa succedere al Regno; e se deferita a lei la successione del Regno, si casasse coll'Imperadore, cada dalle ragioni di succedere.

      IX. Che il Regno di Sicilia non si possa mai unire all'Imperio.

      X. Che sia tenuto pagare per lo censo ottomila once d'oro l'anno nella festa de' SS. Pietro e Paolo in tre termini, e mancando decada dal Regno; e di più un palafreno bianco, bello, e buono; e più, secondo un istromento che si legge nel regale Archivio[91], che fecero li Tesorieri del Re Carlo I nell'anno 1274 con alcuni Mercatanti di pagare alla Sede Appostolica ottomila once d'oro per questo censo, si vede, che seimila si pagavano per lo Regno di Puglia, e duemila per l'isola di Sicilia. Del che furono i Pontefici sì rigidi esattori, che nell'anno 1276 strinsero in maniera il Re Carlo, che trovandosi in Roma e senza danari, fu forzato scrivere in Napoli ai suoi Tesorieri, che impegnassero a' Mercatanti la sua Corona grande d'oro, e tante delle sue gioje ed oro, che abbiano in presto ottomila once d'oro, e che gliele mandino subito in Roma per doverle pagare alla Sede Appostolica per lo censo di quell'anno[92].

      XI. Che debba pagare alla Chiesa romana 5000 marche sterline ogni sei mesi.

      XII. Che in sussidio delle terre della Chiesa, a richiesta del Pontefice, sia tenuto mandare 30 °Cavalieri ben armati; in guisa che ciascuno abbia da mantenere a sue spese almeno tre cavalli per tre mesi in ciaschedun anno; ovvero si possano commutare in soccorso di Navi.

      XIII. Che debba stare a quello diffinirà il Pontefice sopra la determinazione de' confini da farsi di Benevento.

      XIV. Che dia sicurtà a' Beneventani per tutto il Regno; ed osservi i loro privilegi; e che permetta di poter disponere liberamente de' loro proprj beni.

      XV. Che non possa nelle terre della Chiesa romana acquistar cos'alcuna per qualunque titolo, nè ottenere in quelle Rettorìa o altra Podestarìa.

      XVI. Che s'abbiano a restituire alle Chiese del Regno tutti i beni, che alle medesime furono tolti.

      XVII. Che tutte le Chiese e' loro Prelati e Rettori godano della libertà ecclesiastica, e particolarmente nelle elezioni, ristabilendo Clemente ciocchè Alessandro IV avea aggiunto nell'investitura data ad Edmondo figliuolo del Re d'Inghilterra; cioè che il Re e suoi successori non s'intromettano nelle elezioni, postulazioni e provisioni de' Prelati, in guisa che, nec ante electionem, sive in electione, vel post Regius assensus, vel consilium aliquatenus requiratur[93]; soggiungendosi però che ciò non abbia a pregiudicare al Re e suoi eredi, in quanto s'appartiene in jure patronatus, si quod Reges Siciliae, seu ejusdem Regni, et Terrae Domini, hactenus in aliqua, vel aliquibus Ecclesiarum ipsarum consueverunt habere: in tantum tamen, in quantum Ecclesiarum patronis canonica instituta concedunt; siccome perciò non furono esclusi i Re, sempre che la persona eletta fosse loro sospetta d'infedeltà, d'impedire il possesso e concedere il placito Regio alle Bolle di provisione, come altrove diremo.

      XVIII. Che le cause ecclesiastiche saranno trattate innanzi agli Ordinarj; e per appellazione alla Sede Appostolica.

      XIX.


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<p>86</p>

Cod. Ital. Diplom. Tom. 2 pag. 942.

<p>87</p>

Ibid. pag. 964.

<p>88</p>

Inveges Annal. di Palerm. tom. 3.

<p>89</p>

Rainald. ann. 1265.

<p>90</p>

V. Rainaldo ad ann. 1265 il quale adduce convenzioni più diffuse intorno al regolamento della successione del Regno.

<p>91</p>

Reg. 1273. fol. 167. Vien anche rapportato dal Tutini degli Ammirag. del Reg. p. 89.

<p>92</p>

Chioccar. tom. 1. MS. giurisd.

<p>93</p>

Chiocc. MS. Giurisd. in Indice, t. 19.