Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - Giannone Pietro


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ancora, che il Papa Alessandro a tutto altro era inchinato, che a confermar l'accordo avuto col suo Legato; onde tosto dell'uno e dell'altro ne avvertirono Manfredi.

      Il Principe sorpreso da tal notizia, ricercati altri indizj di tal congiura, s'avvide, che era vero ciò che gli aveano avvisato i suoi Ambasciadori; onde fece tosto imprigionare il Marchese e' suoi fratelli. Ed essendo ritornati dalla Corte del Papa gli Ambasciadori senza conchiuder niente, stante la ripugnanza d'Alessandro ad accettare la preceduta concordia: per riparare a' mali gravissimi, che se gli minacciavano, intimò una general Corte a tutti i Conti e Baroni del Regno da tenersi in Barletta in febbrajo nel dì della Purificazione del seguente anno 1256. Ed intanto perchè dal suo canto niente da far rimanesse, per togliere ogni scusa, tornò a mandare nuovi Ambasciadori al Pontefice a ricercarlo di nuovo, se volesse confermar la concordia, ma Alessandro espressamente negando di fermarla, ne rimandò i Legati.

      Allora fu, che Manfredi nel stabilito tempo convocò in Barletta il general Parlamento, nel quale in presenza di tutti i Conti e Baroni del Regno furono varj, e gravi affari risoluti.

      Fu privato per sentenza de' medesimi Pietro di Calabria, tanto dell'onore del Contado di Catanzaro, quanto dell'Ufficio della Marescialleria regia del Regno di Sicilia, per la sua fellonìa.

      Fu creato Conte del Principato di Salerno Gualvano Lancia zio del Principe, al quale fu anche conceduto l'Ufficio di Gran Maresciallo del Regno di Sicilia, di cui era stato Pietro spogliato.

      Nell'istesso Parlamento, il fratello di Gualvano zio parimente di Manfredi fu fatto Conte di Squillaci; ed ad Errico da Spernaria fu conceduto il Contado di Marsico[59].

      Fu parimente in questa general Corte agitata e discussa la causa del Marchese Bertoldo e de' suoi fratelli, i quali convinti della congiura macchinata contro il Principe, con concorde voto de' Conti e de' Baroni del Regno, furono con lor sentenza condennati a morte. Ma Manfredi volendo usar loro clemenza, commutò la pena in carcere perpetua, ove miseramente finirono la loro vita.

      Disbrigato che fu il Principe Manfredi da questa Corte, ove diede molti provedimenti politici per la quiete del Regno, fu poi tutto rivolto all'impresa di Terra di Lavoro, ed a spegnere affatto dalla Calabria, e più dalla Sicilia la fazione del Papa, il quale in quell'isola ancor vi teneva Frate Rufino dell'Ordine de' Minori per Legato della Sede Appostolica, il quale poneva in isconvolgimenti continui quell'isola avendosi resi molti Siciliani benevoli, i quali scossa la fede regia, ubbidivano a lui, come a Signore dell'isola in nome della Chiesa romana. A riparar questi mali creò Manfredi per suo general Vicario di Calabria e di Sicilia Federico Lanzia suo zio, il quale con mirabile destrezza e gran valore ripose le città di Calabria fluttuanti interamente in pace e quiete, e sotto l'ubbidienza del Re, e dando animo all'esercito regio, ch'era in Palermo, fece sì, che il Legato Rufino, e' suoi seguaci fossero fatti tutti prigioni, e fosse restituita Palermo, e tutti que' luoghi all'ubbidienza del Re; e passato poi in Messina ridusse parimente quella città alla fede regia.

      Intanto il Principe Manfredi avendo intimata la guerra al Papa, che allontanatosi dal Regno, avea prima in Anagni, e poi in Viterbo trasferita la sua Corte, s'accinse all'impresa di Terra di Lavoro, per restituirla sotto il suo dominio. Spiegò li suoi stendardi, e con potente esercito entrò ne' confini di Terra di Lavoro, e verso Napoli incamminossi. Fu veramente cosa maravigliosa, come notò il Costanzo[60], che la città di Napoli, la quale pochi anni prima avea tanto ostinatamente chiuse le porte e negata l'ubbidienza a Corrado, ora, mandasse fuori messi a Manfredi, mentre era ancor lontano, a spontaneamente offerirsegli[61]. Nè si crede che ne fosse stata altra cosa cagione, che le poche forze e vigore del Papa, e la fresca memoria, che sotto la speranza di Papa Innocenzio IV erano stati saccheggiati, e miseramente disfatti. Nè vi è dubbio, che vi cooperarono molto le promesse di Manfredi, il quale mandò a dire a molti gentiluomini suoi conoscenti, quanto gli uomini valorosi poteano sperare maggior esaltazione da lui, che dal governo de' Preti; il che si potea vedere per esempio di molti di Puglia e di Calabria e d'altre province, ch'egli con somma liberalità e munificenza avea esaltati con ordine di cavalleria, e con altre dignità e preminenze. In fatti i Napoletani riceverono con gran festa e giubilo Manfredi nella lor città; il quale, perchè l'effetto fosse conforme alle promesse, entrato che vi fu, fece tutto il contrario di quel, che avea fatto Corrado, rinovando a sue spese gli edificj pubblici, assecurando tutti coloro, che a tempo di Corrado ed a tempo suo s'erano mostrati inimici della Casa di Svevia, ed onorando molti Nobili, con pigliargli, secondo l'età e la virtù, o per Consiglieri, o per Cortegiani appresso la sua persona[62].

      L'esempio di Napoli mosse anche i Capuani di rendergli parimente la loro città, ed il simile fecero tutte l'altre città convicine. Solo Aversa per la fazione, che v'aveano le genti del Papa, fece alquanto resistenza; ma finalmente bisognò, che cedesse alla forza di Manfredi, ed in breve tutta la provincia di Terra di Lavoro si sottopose alla sua ubbidienza. Ridotta questa provincia, passò in Capitanata, ed indi in Brindisi per reprimere la sedizione, che l'Arcivescovo di quella città aveagli fomentata: la ridusse in sua fede, ed imprigionò l'Arcivescovo. Ariano e l'Aquila, che furono l'ultime e le più ostinate a mantenersi in ribellione, furono da lui arse e distrutte.

      Così avendo questo Principe restituito con tanto valore al suo dominio tutto il Regno di Puglia, si dispose di passare in Sicilia per maggiormente stabilirla nella fede regia, e purgare quell'isola d'ogni vestigio, che mai vi rimanesse della fazion contraria. Navigò lo stretto, ed in Messina giunto, fecevi dimora per pochi giorni, ed indi passò a Palermo regia Sede degli antichi Re di Sicilia.

      Intanto il Pontefice Alessandro, non potendo per se solo rintuzzare le forze di Manfredi, rinovò in quest'anno 1257 le pratiche in Inghilterra, per ridurre quel Re ad accettar l'investitura del Regno offertagli per Edmondo suo figliuolo; e narra Matteo Paris, che Errico vi condescese; ma perchè le forze non erano pari all'impresa, il Re desiderava, che gl'Inglesi gli dessero validi ajuti: per la qual cosa fece egli unire un Parlamento, e fecevi in quello comparire Edmondo vestito alla Pugliese, per maggiormente spingergli a soccorrerlo, acciocchè il Regno offertogli, per cagion loro non si perdesse[63]; ma gl'Inglesi niente conchiusero, e come diremo, nell'anno 1259 il trattato rimase affatto estinto; e Manfredi per vano rumore, essere Corradino morto, fattosi incoronare a Palermo, si stabilì nel Trono di Sicilia: ciò che bisogna rapportare nel seguente libro di quest'istoria.

      (Si leggono presso Lunig[64] due Brevi d'Alessandro IV uno scritto ad Errico Re d'Inghilterra padre d'Edmondo, ed un altro al Vescovo di Erford, perchè in vigor dell'investitura si sollecitassero per questa spedizione, e mandassero gente e 'l denaro promesso per discacciar Manfredi del Regno).

FINE DEL LIBRO DECIMOTTAVO

      LIBRO DECIMONONO

      Mentre Manfredi era in Palermo, giunse quivi novella, che il Re Corradino fosse morto in Alemagna; ma in questo passo d'istoria gli Scrittori, secondo le fazioni contrarie, non convengono. I Guelfi, come Giovanni Villani Fiorentino, e gli altri Italiani di quel partito narrano, che Manfredi per eseguire il suo scellerato pensiero, che lungo tempo sotto contrario manto nascondeva d'usurpar il Regno al Re suo nipote, avendo tentato invano di farlo avvelenare, avesse ordinato alcuni falsi messi, che gli portassero nuova di Germania, prima dell'infermità, e poi della morte di Corradino, e che questo rumore sparso in Palermo, ed in tutte le città del Regno, fosse stato tutto per sua astuzia ed inganno; e che perciò, per maggiormente farlo credere, con dissimulazione grandissima di dolore inviò a' Baroni e Sindici delle terre dell'uno e l'altro Regno cotal avviso, pubblicando per vera la morte di Corradino, e che avendo in Palermo fatto celebrare con pompa reale, e con dimostrazione di grandissimo lutto i funerali per la finta morte di quel Principe, avesse egli in presenza di tutti i Conti, Baroni e Prelati ivi concorsi, fatta una gravissima orazione, colla quale connumerando i beneficj de' Principi Normanni, e degli Imperadori Svevi suoi progenitori verso l'uno e l'altro Regno, e l'opere fatte da lui a tempo di Corradino, e nell'infanzia di Corradino suo figliuolo, pregò tutti, che poichè la fortuna in sì poco spazio, mostrandosi nemica al sangue loro, avea mandato sotterra sì grande Imperadore, com'era stato Federico suo padre, con tanta


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<p>59</p>

Anonym.

<p>60</p>

Costanzo l. 1.

<p>61</p>

Anon.

<p>62</p>

Anonym. Et ideo praedictae duae Civitates Neapolis, et Capua sponte sua se ad mandatum Principis converterunt.

<p>63</p>

Inveges Annal. di Paler. tom. 3.

<p>64</p>

Lunig. Cod. Ital. Diplom. p. 927 a 928.