Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 5 - Giannone Pietro


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mandati altri Ambasciadori al nuovo Pontefice, se non per trattar la pace con tali condizioni: Ut Regnum in dominio, et possessione Regis Conradi II nepotis sui, sub baliatu Principis remaneret. Compositio autem super eo tantum esset, ut census pro ipso Regno Romanae Ecclesiae augeretur.

      (Questo trattato fu conchiuso da Alessandro, il quale nell'anno 1255, dimorando ancora in Napoli, quivi spedì la Bolla dell'investitura ad Edmondo, che vien rapportata da Lunig[46]).

      Quando il Pontefice intese nel ritorno del Conte e di Riccardo, che Manfredi non era niente disposto a mandargli i Legati, nè a lasciare il Regno nelle mani della Chiesa, cominciò, seguitando le pedate del suo predecessore, a mostrarsegli più inimico degli altri. Fece in prima ripigliar il trattato da Maestro Alberto da Parma con Carlo Conte di Provenza, dal quale avuti riscontri, che Carlo non si trovava disposto per l'impresa del Regno, si voltò ad Errico Re d'Inghilterra, rinovando il trattato, che il suo predecessore Innocenzio avea cominciato col medesimo, offerendogli di nuovo l'investitura del Regno per Edmondo suo figliuolo, purchè venisse tosto a discacciarne Manfredi; e notasi negli Atti di quel Regno, che Papa Alessandro si riscaldò tanto per quest'impresa, che commutò il voto, che avean fatto il Re d'Inghilterra, i Re di Norvegia, ed altri, d'andare in Terra Santa, nell'andare a conquistar la Sicilia, e il Regno di Puglia in favor della Chiesa.

      Mandò ancora un Vescovo in Puglia a citar Manfredi da sua parte: Ut in festo Purificationis Beatae Mariae proxime futuro ad Curiam Romanam accederet, responsurus de interfectione Burrelli de Anglono, et de injuria, quam Apostolicae Sedi intulerat, expellendo Legatum, et exercitum Ecclesiae de Apulia[47]. A questa citazione rispose Manfredi per sua lettera diretta al Pontefice, purgandosi di ciò, che se gl'imputava della morte di Borrello, e che per quello, che toccava d'aver discacciato il Legato, e l'esercito della Chiesa da Puglia, non avea fatta niuna ingiuria alla Chiesa romana, defendendo con ciò la giustizia del suo nipote, e sua.

      Durando Manfredi in tal proponimento di non mandar suoi Ambasciadori al Papa, venne da lui Maestro Giordano da Terracina Notajo della Sede Appostolica già benevolo di Manfredi, il quale mostrando dispiacere di queste contese, consigliò il Principe, che in tutte le maniere mandasse al Papa i suoi Legati, perchè da questa missione non altro, che sommo onore e comodo n'avrebbe ritratto: finalmente Manfredi mosso dal consiglio di costui, destinò due Legati al Pontefice, dandogli potere per trattar la pace, i quali furono Gervasio di Martina, e Goffredo di Cosenza suoi Secretarj[48].

      Giunti costoro in Napoli, ove risedeva allora la Corte del Papa, cominciarono a trattar con alcuni Cardinali deputati per questo effetto la pace; ed incontrandosi delle difficoltà e de' dubbj, i quali non potevano superarsi, se non si trattasse a dirittura col Principe, i Legati persuadevano il Papa, che mandasse un Cardinale in Puglia a trattar con Manfredi, perchè in cotal maniera era molto facile, che la concordia seguisse. Ma i Cardinali gonfi per la loro dignità, e grandezza, la quale di fresco era stata da Innocenzio cotanto innalzata, dicevano id non convenire Sedis honori, ut Cardinales hoc modo mittantur[49]. Per la qual cosa lungamente essendosi contrastato su questo punto, non poterono gli Ambasciadori del Principe in conto veruno indurre quelli della Corte a mandar un Cardinale a Manfredi.

      Il Principe intanto, vedendo che si portava in lungo il trattato, non volle perder tempo di reintegrare al suo Contado d'Andria, ciò che con ragione speziale se gli apparteneva; e perciò restituì a quello la Guardia Lombarda, ch'era delle pertinenze di quel Contado, e che ancora era rimasa in potere delle genti Papali. Si mostrarono i Cardinali, avuta tal notizia, offesi per tal novità, e ch'era volergli deludere e rompere con ciò ogni trattato. I Legati del Principe rispondevano, che ciò non era violar i trattati, perchè Manfredi, ciò che avea fatto, avealo fatto come Conte di Andria, non già come Balio; non avendo fatto altro, che reintegrare al suo Stato quella Terra, la quale, come narra l'Anonimo, erat de speciali jure ipsius Principis, e che ciò non dovea dispiacere al Pontefice.

      Ma ancorchè i Cardinali sotto questo pretesto mostrassero le loro doglianze, non era però per altro la loro dispiacenza, se non perchè vedendo approssimarsi tanto Manfredi col suo esercito, temevano che finalmente non s'incamminasse verso Napoli: ed in fatti erano entrati perciò in tanta costernazione, che il Pontefice con tutta la sua Corte pensavano imbarcarsi, ed uscire da quella città; per la qual cosa avvertirono gli Ambasciadori del Principe, a dovergli fare intendere, che se veramente egli voleva la pace colla Chiesa, partisse col suo esercito dalla Guardia Lombarda, e ritornasse in Puglia.

      Gli Ambasciadori, accortisi del lor timore, gli promisero di voler scrivere a Manfredi, che ritornasse in Puglia, come fecero; ma nell'istesso tempo in secreto gli significarono, che se egli s'incamminava verso Napoli, per la paura entrata nelle genti del Papa, con facilità l'avrebbe disfatte, e si sarebbe impadronito di Terra di Lavoro. Manfredi avuta tal notizia, era disposto, ancorchè impedito dalle tante nevi cadute di passare in Terra di Lavoro: ma lo ritenne l'avviso importuno in quell'istante sopraggiuntogli d'una sollevazione scoverta in Terra d'Otranto di coloro di Brindisi, i quali essendosi sollevati, aveano sorpresa Nardò, e fatta molta strage di que' Cittadini e di soldati, ch'erano comandati da Manfredi Lancia, che il Principe suo consanguineo avea creato Capitano in Terra d'Otranto; laonde convenne a Manfredi rivocar il suo proponimento, e volle incamminarsi verso Brindisi, come fece, lasciando la Guardia, e venne con ciò a soddisfare alla volontà del Pontefice.

      I Cardinali, veduto lui allontanato, ed implicato a questa nuova impresa in Terra d'Otranto, si raffreddarono per la pace, nè per ciò i Legati di Manfredi poterono conchiuder niente; anzi il Papa creò allora un'altro Legato della Sede Appostolica per lo Regno, che fu Ottaviano di Santa Maria in Via Lata, Diacono Cardinale, il quale appena fu fatto, che subito cominciò ad unire gente, per formar un competente esercito da opporsi a Manfredi: di che avvedutisi i suoi Legati, tosto partirono da Napoli, e andarono a ritrovar il Principe, il quale già era per incamminarsi verso Brindisi, e gli esposero ciò che il Papa per mezzo del nuovo Legato intendeva di fare, e di essersi rotto ogni trattato.

      Manfredi, perciò non intimorito, volle proseguire l'impresa; e cinse d'assedio Brindisi capo della ribellione, alla qual città eransi unite molte altre di Terra d'Otranto come Oria, Otranto, Lecce e Mesagna, e devastando il terreno d'intorno, abbattè e demolì Mesagna, fece ritornar Lecce sotto la sua ubbidienza, ed all'assedio d'Oria tutto si rivolse.

      Or mentre questo Principe era tutto inteso a sedare queste rivolte, altre nuove revoluzioni lo chiamarono in altre più rimote parti, in Sicilia ed in Calabria.

      Era a questi tempi il governo di queste Regioni commesso ad un solo Moderatore, il qual era, come si disse, Pietro Ruffo di Calabria Conte di Catanzaro. Questi essendo di fortuna assai povera, fu a' tempi dell'Imperador Federico ammesso nella sua Corte[50]; indi tratto tratto crescendo nella grazia di Federico, fu fatto suo intimo Consigliero, e finalmente Maresciallo del Regno di Sicilia. Morto Federico, fu da Manfredi dato per Balio ad Errico, perchè governasse la Calabria e la Sicilia in suo nome. Fu da poi da Corrado fatto Conte di Catanzaro, e confermato nel governo di quelle province; ma morto Corrado, mal sofferendo il Baliato di Manfredi, diede di se gravi sospetti d'essersi confederato col Pontefice Innocenzio IV a' danni del Re Corradino; e mostrò sempre avversione con Manfredi, ed ora più che mai, che lo vedeva potente in Puglia, gli avea sconvolta la Sicilia non meno che la Calabria per mezzo di Giordano Ruffo suo nipote. Questi essendosi con molta gente afforzato in Cosenza, teneva sotto la sua divozione tutta la provincia di Val di Crati, e Terra Jordana, in guisa che il nome del Principe Manfredi, non solo non era temuto, ma avuto in niun conto; anzi erasi scoverto un trattato, che passava con molta secretezza tra lui ed il Pontefice Alessandro, di darsi la Calabria in mano della Chiesa, e già andavano, e ritornavano messi per compire il trattato[51].

      Manfredi avvisato di queste insidie da alcuni Cosentini, e da Gervasio di Martina, tosto mandò sue truppe in Calabria, e ne fece Capitano Corrado Truich, al quale insieme col suddetto Gervasio impose, che guardasse quella provincia. Furono da questi valorosi guerrieri dopo varj successi, descritti diffusamente dall'Anonimo, finalmente poste quelle province sotto l'ubbidienza del Re Corrado; ed avendo l'esercito di Manfredi


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<p>46</p>

Lunig Cod. Ital. Dipl. Tom. 2 pag. 918.

<p>47</p>

Anonym.

<p>48</p>

Anonym.

<p>49</p>

Anonym.

<p>50</p>

Anonym. Curiam ipsius Imperatoris Federici pauper ingressus.

<p>51</p>

Anonym. Quia tractari dicebatur, quod Calabria in manibus Ecclesiae daretur.