Oltre Il Limite Della Legalità. Alessandro Ziliotto
che una persona riesca a dimenticare, a sopravvivere e ad andare avanti. E così lo è stato anche per me. Tradito dallo Stato che avevo sempre servito, e del quale avevo condiviso misteri e ingiustizie, ora non provavo che odio e repulsione, per le sue leggi e per suoi rappresentanti.
Ci sono tre tipi di sbirri.
Il primo.
Il classico rompicoglioni, super preciso, al quale non gli si può dire nulla per fargli cambiare idea, dedito al lavoro e che al di là di quello non ha una vita privata, e qualora riuscisse a farsela, a causa degli orari indecenti che farebbe, la sfascerebbe con l’andare degli anni, per non dire settimane.
Il secondo.
La classica sanguisuga, che aspetta il 21 del mese per recepire lo stipendio. Conosce tutte le agevolazioni che la sua categoria può avere, dalle più semplici alle più ingarbugliate e nascoste. Percepisce lo stesso stipendio di chi è in strada a rischiare per qualsiasi tipo di stupidaggine, perché diciamocelo, oramai è più salvaguardato il criminale che lo sbirro; se è fortunato fa il sindacalista, fregandosene altamente di quello che quel ruolo comporta, assecondando così i problemi reali dei colleghi, che spaziano dal campo lavorativo a quello personale, riuscendo a salvaguardare e preservare la sua piccola sfera, insediandosi sempre più, e se fortunato, con gli anni diventare più potente e in vista.
Il terzo.
Colui che credeva nella polizia di stato e nelle istituzioni, ma che poi lavorandoci all’interno e con il passare degli anni, e l’aumentare dell’esperienza, capisce che non val la pena rischiare soldi e vita per qualcuno che non ti stima e che ti disprezza ad ogni occasione utile. Capisce che il primo sbirro è uno sfigato, praticamente era lui stesso prima dell’evoluzione, ma sa anche che non riuscirebbe mai a diventare il secondo sbirro. Non riuscirebbe a stare dietro a una scrivania, dentro quattro mura aspettando non si sa cosa, assecondando i veri problemi dei colleghi, le ingiustizie che ci sono all’interno dell’amministrazione in cui lavora, così si limita a fare il suo, senza andare contro nessuno, svolgendo la propria mansione, rispettando se possibile l’orario di servizio senza fare straordinari. Non crede più nelle istituzioni perché loro stesse non tutelano e non garantiscono il tranquillo e sereno lavoro di una forza pubblica di sicurezza, anzi, se possibile, mettono a quelli che veramente lavorano, i bastoni tra le ruote non appena ne hanno la possibilità, non ammettendo replica. E poi si sa che l’arresto di uno sbirro in prima pagina fa sempre più notizia di uno spacciatore o di rapinatore, non importa quale sia l’accusa, l’importante è scrivere: ARRESTATO UN POLIZIOTTO.
Che sbirro ero stato io? Lo scoprirete leggendo la mia storia.
CAPITOLO UNO – Il baratro –
A svegliarmi non era stata la fine del sonno, ma i raggi solari che entravano da qualche dannato spiraglio, e avevano cominciato a bruciarmi le palpebre. Se c’era una cosa che non sopportavo, era essere svegliato in quel modo, d’altronde cosa potevo aspettarmi visto che non avevo più un tetto dove rincasare e un letto dove sprofondare. Gli occhi si aprirono formando due piccoli spicchi di luna. Non riuscivo a vedere quasi nulla, avevo il sole in faccia che mi bruciava e l’ambiente intorno a me, era offuscato da una strana nebbiolina. Posai la mano a terra cercando di rialzarmi, ma appena provai a usarla come perno mi ritrovai con la faccia spiaccicata al suolo. Cominciai a ridere come un deficiente. Ero al tappeto e non riuscivo a rialzarmi, mi girai leggermente e rimasi steso ancora un po’ sperando di riprendermi con il passare dei minuti. Dentro la testa sembrava avessi la cavalleria del Re dei Re lanciata alla carica, che con il suo ardore e orgoglio era intenta a contrastare il più possente degli eserciti.
Che caldo faceva. Sudavo e non ne capivo il motivo, e dire che la temperatura non era così alta. Non riuscivo a vedere granché, ma controllai ciò che indossavo. Una camicia a quadrettoni rossi neri e bianchi completamente aperta, con una t-shirt, un tempo bianca, leggermente alzata da far si che la pancetta prendesse un po’ d’aria, mentre dall’ombelico in giù avevo calzati un paio di jeans Diesel e un paio di Nike dei tempi migliori, oramai arrivati anche loro alla frutta.
Dopo non pochi sforzi mi ritrovai gattoni, a guardare senza motivo il pavimento. Ma che diavolo stavo facendo? Ricominciai a ridere. La risata venne subito interrotta da dei colpi di tosse, e la tosse venne interrotta da degli sforzi provenienti dal basso addome, e come se fosse cosa di tutti i giorni, mi ritrovai a vomitare come un cretino. Per quel poco che potevo vedere era solamente acqua, ricca di succhi gastrici, e a quanto sembrava, l’ultimo pasto non era stato così abbondante, visto che in mezzo a quella gelatina non c’era nulla di solido e che apparentemente assomigliasse a qualcosa di commestibile. Finita quella patetica commedia, mi spinsi leggermente verso destra, con le poche energie che ero riuscito a racimolare, finendo nuovamente sul materasso poggiato a terra. Cercavo di pensare, ma tutto ciò che mi veniva in mente era quell’assodante frastuono che mi rimbombava nella capoccia.
Da sdraiato aprii gli occhi fissando il soffitto, e il primo pensiero che mi si era materializzato nella testa fu: ma come cazzo ho fatto a ridurmi in questo stato? Porca miseria sono Enrico Del Nero, devo reagire, non posso ridurmi in queste condizioni tutti i santi giorni, devo trovare una soluzione per uscire da questo baratro in cui sto sprofondando giorno dopo giorno. Forte di queste convinzioni, e senza non pochi sforzi, riuscii a sedermi e successivamente ad alzarmi in piedi. Cominciai a guardarmi un po’ intorno per capire dove mi trovavo, ma oltre a barcollare un po’ a destra e a sinistra, non riuscivo a dare una collocazione al posto nel quale avevo passato la notte. Decine di colonne bianche si alzavano andando a sostenere quell’ampio spazio che si manifestava di fronte ai miei occhi. Cercando di mantenere l’equilibrio, girandomi lentamente su me stesso, mi accorsi che proprio nel punto ove erano rivolte le mie spalle sino a qualche