Gli Ossidiani . Морган Райс

Gli Ossidiani  - Морган Райс


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portarvi ciascuno una persona,” disse. “Vedette che possano sorvegliarvi quando avete bisogno di dormire. Ma dovete decidere rapidamente. Chi volete portare?”

      “Natasha Armstrong,” disse Malcom senza la minima esitazione.

      “Buona scelta,” rispose Madama Ossidiana. Natasha era una delle studentesse che frequentavano le sue talentuose lezioni. Sarebbe stata una buona aggiunta alla missione. “Christopher?”

      Chris esitò. “Non conosco nessuno. Non ho mai avuto l’occasione di farmi degli amici qui.”

      “E allora prendi qualcuno che hai conosciuto nella tua ultima missione,” gli disse Madama Ossidiana con impazienza, cercando di fargli fretta. “Chiunque ti sembri ti abbia aiutato di più.”

      “Madeleine,” disse Christopher scrollando le spalle.

      Madama Ossidiana ridacchiò. “Madeleine? Quella testa di carota a cui ho chiuso il becco l’altro giorno? Molto bene. Sei tu a scegliere.”

      Richiamò i propri poteri da indovina, cercando dentro di sé la fonte di energia di cui aveva bisogno per muovere gli atomi. Conosceva ogni angolo e nicchia della sua preziosa scuola, e fu facile per la sua mente localizzare il punto esatto in cui stavano dormendo Madeleine e Natasha. Sarebbe stato un risveglio piuttosto brusco per loro.

      Usando tutto il suo portentoso talento, Madama Ossidiana afferrò i loro atomi e li spostò, trascinandoli fino al proprio ufficio. Poi li ricompose lì fino a che le due ragazze si materializzarono di fronte a lei.

      Le due sbatterono entrambe le palpebre, le guance che avvampavano quando si resero conto che erano tutte e due nell’ufficio della preside, in camicia da notte.

      “Madeleine. Natasha,” annunciò Madama Ossidiana, “oggi è il vostro giorno fortunato. Oggi andrete in una missione molto importante, una missione che avrà come risultato la distruzione degli Ametisti una volta per tutte. Oggi andrete a Roma. Oggi ucciderete Oliver Blue.”

      CAPITOLO SETTE

      Gianni, l’indovino italiano, condusse i quattro amici attraverso il muro di mattoni incantato. Quando furono passati attraverso il velo emergendo dalla parte opposta, Oliver sussultò nel vedere cosa lo aspettava.

      Non aveva mai visto niente del genere. La versione italiana della Scuola degli Indovini era il posto più stravagante in cui fosse mai stato. Diversamente dalla scuola di sorella Judith in Inghilterra, che aveva l’atmosfera di un monastero, e diversamente dalla sua negli Stati Uniti, che per certi aspetti sembrava una navicella spaziale del futuro, questa aveva lo stile di un palazzo reale. Oliver quasi si aspettava di vedere un re passare leggiadro attraverso le porte, o una fila di suonatori di corno che annunciassero il loro arrivo.

      “Da questa parte,” disse David, riportando ciò che Gianni stava dicendo.

      Entrarono velocemente nella grande scuola. Qui l’opulenza era ancora maggiore. C’erano colonne e statue di marmo dappertutto, senza parlare della cupola che faceva da soffitto, dipinta con intricati motivi. A Oliver vennero in mente tutti gli artisti dell’epoca del Rinascimento, come Da Vinci e soprattutto Michelangelo, che dipingeva affreschi enormi sui soffitti degli edifici religiosi. Si chiese se alcuni di quegli artisti avessero visitato la scuola.

      Mentre attraversavano frettolosamente i corridoi, Oliver si sentì pervaso da una strana sensazione di dejà vu. Non riusciva a capire, ma era come se fosse già stato in quel posto.

      “Tutto bene?” gli chiese Hazel.

      Oliver annuì. “Ho solo una strana sensazione, tutto qui. Come se fossi già stato in questo posto.”

      Hazel aggrottò la fronte. “Magari è proprio così. Un altro te, intendo. In una diversa linea temporale.”

      Oliver meditò sulle sue parole. Ovviamente era possibile che una diversa versione di lui fosse stata in quel posto prima d’ora, ma questo non lo sollevava dalla strana sensazione di familiarità che stava provando. Qualsiasi diverso Oliver, proveniente da una diversa linea temporale, avrebbe avuto ricordi diversi. Non era possibile che lui vi avesse accesso.

      Era un totale mistero. Eppure, a ogni passo che faceva, si sentiva sempre più come se avesse percorso prima lo stesso tragitto.

      Oliver cacciò quei pensieri dalla testa. Era impossibile. Probabilmente stava solo pensando a un libro di storia che aveva letto, o a un documentario che aveva guardato. Forse stava ricordando un sogno. Qualsiasi fosse la risposta, non aveva tempo da sprecare pensandoci adesso. Doveva restare concentrato su Esther, sul trovare l’Elisir per salvarle la vita.

      Gianni li portò fino a una grande porta laccata e vi tamburellò contro le nocche. Girò la testa e disse qualcosa a David. David riportò subito in inglese il messaggio agli altri: “Questo è l’ufficio del preside.”

      Oliver deglutì. Non poteva fare a meno di sentirsi nervoso ogni volta che incontrava un nuovo potente e riverito indovino. Rispettava il professor Ametisto più di chiunque altro nell’universo, e incontrare i suoi corrispettivi nella storia era sempre un’esperienza che lo intimidiva e innervosiva.

      Gianni aprì la porta e fece strada all’interno dell’ufficio. Era una stanza enorme, più simile alla sala da ballo di un palazzo che all’ufficio di un preside. C’erano grandi dipinti con cornici d’oro appesi alle pareti verde scuro, e un enorme caminetto in marmo. Dal soffitto pendevano dei candelabri e l’aria era punteggiata dall’odore di mandorla.

      Quando furono entrati, Oliver vide una grossa scrivania, dietro alla quale sedeva una donna estremamente elegante. Sebbene fosse anziana, era molto appariscente e c’era un’energia giovanile che brillava nei suoi occhi. Aveva la stessa pelle olivastra e gli occhi scuri di Gianni. Folti capelli neri e lucidi le ricadevano ondulati sulle spalle.

      “Oliver Blue?” chiese, la voce morbida e ritmata, con un forte accento italiano.

      “Sì,” balbettò lui, un po’ intimorito dalla forte presenza della donna.

      “Prego. Sedetevi.” Indicò loro una riga di sedie e sorrise, i denti bianchi e l’espressione invitante. “Tutti quanti.”

      Oliver era sopraffatto da tutto, ma fece come la preside aveva detto. I suoi amici si sedettero accanto a lui.

      “Sono la preside della Scuola degli Indovini di Roma,” annunciò la donna. “Lucia Moretti. Lasciate che vi dia prima il benvenuto.”

      “Grazie,” balbettò Oliver. Si sentiva un po’ confuso davanti a una donna così elegantemente potente.

      La preside continuò. “Ho saputo che siete stati in grado di attivare l’antico portale che si dice porti all’Elisir. Devo dire che sono piuttosto sorpresa che vi abbia condotto qui.” C’era una scintilla di eccitazione nei suoi occhi. “Pensate un po’: la chiave per trovare l’Elisir è sempre stata sulla soglia della mia porta.” Sorrise a Oliver. “Non mi sorprende che dopo tutti questi secoli sia stato tu, fra tutti, a riuscire a riattivare il portale, Oliver Blue.”

      Oliver si accigliò, confuso. Cosa intendeva dire?

      “Non capisco,” disse. “Cosa intendete dire con ‘io fra tutti’?”

      “Ma come, perché sei il figlio di Margaret Oliver e Theodore Blue!” esclamò. “No?”

      Sentendo nominare i suoi genitori, Oliver sentì il cuore che iniziava a battere forte. Walter e Hazel sobbalzarono visibilmente sulle loro sedie. Essendo due dei migliori amici di Oliver, sapevano benissimo quanto disperatamente stesse cercando i suoi genitori.

      “Lei conosce i miei genitori?” chiese Oliver, quasi senza fiato per lo shock.

      “Certo che sì,” rispose la preside. Un piccolo cipiglio le fece corrugare le sopracciglia. “Sono piuttosto celebri da queste parti. Ma tutte queste cose tue le sai.”

      “A dire il vero no,” si affrettò a correggerla Oliver. “I miei genitori mi hanno dato in adozione. Non so niente di loro.” La sua voce era ansimante adesso, come se volesse arrivare rapidamente al punto conclusivo di quella conversazione. “Sono qui? A Roma? Lei sa dove posso trovarli?”

      L’espressione


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