Gli Ossidiani . Морган Райс

Gli Ossidiani  - Морган Райс


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loro nomi e il fatto che hanno studiato ad Harvard. Oh, e il quaderno di mio padre.”

      Le sopracciglia della preside si inarcarono. “Un quaderno?” chiese. “Posso vederlo?”

      “Certamente.” Oliver prese il quaderno da Hazel, che lo teneva per lui nella sua borsa, e lo porse velocemente alla preside. Qualsiasi cosa quella donna conoscesse riguardo ai suoi genitori, lui voleva saperlo.

      La preside Moretti sfogliò il quaderno. “Oliver, sai che cos’è?”

      Lui scosse la testa.

      “È una formula,” disse lei. “La formula dell’Elisir.”

      Oliver sussultò. “Cosa?! Intende dire che la cura è rimasta sempre con me?”

      “Aspetta. Rilassati,” disse lei. “Non andare troppo avanti. Quello che intendo dire è che si tratta di un tentativo di creare una formula dell’Elisir. I tuoi genitori erano umani, Oliver. Sei cosciente di questo, vero? Non avevano poteri da indovino. Quindi i viaggi nel tempo erano del tutto fuori portata per loro. Però frequentavano i circoli degli indovini. Volevano vedere di cosa gli indovini fossero capaci. Qui c’è la prova che tuo padre stava tentando di creare un suo Elisir. Con esso sarebbe stato capace di viaggiare nel tempo, attraverso le linee temporali e i mondi paralleli alternativi. Ma non è completa. Non ci è riuscito.”

      Un vero e proprio esercito di emozioni si sprigionò dentro a Oliver. Non poteva assorbire tutte le informazioni che aveva appena ricevuto. Pensare che i suoi genitori mortali avessero tentato di svelare i segreti del viaggio nel tempo era molto strano per lui. Per quale motivo avrebbero dovuto voler viaggiare nel tempo? Gli indovini viaggiavano nel tempo per compiere il destino dell’universo, per proteggere le linee temporali che l’universo comandava, per sventare le malefatte degli indovini malvagi che tentavano di creare scompiglio. Ma gli umani non avevano bisogno di viaggiare nel tempo. Era già piuttosto pericoloso per un indovino, figurarsi per un umano. Era a dir poco un’impresa suicida.

      Oliver non sapeva se sentirsi sollevato che la formula di suo padre fosse incompleta o no. Se Teddy Blue fosse riuscito a creare l’Elisir, allora sarebbe stato capace di salvare la vita di Esther. Ma dato che non ci era riuscito, forse questo di per sé aveva salvato la vita a lui stesso.

      La preside Moretti chiuse il quaderno di colpo. “Oliver, sai che nulla accade per coincidenza. Il portale ti ha portato qui per un motivo, perché in qualche modo questo è il luogo dove l’Elisir verrà scoperto. Credo che questo quaderno sia il primo passo. Il secondo passo viene da me.”

      Oliver aggrottò la fronte, curioso. “Cosa intendete dire?”

      “Sono una matematica, Oliver,” disse la donna. “La migliore mente che l’universo abbia mai conosciuto. Ho una mente che ha trovato un degno rivale solo in Einstein.” Tamburellò le dita sulla scrivania e i suoi occhi brillarono per l’eccitazione. “Ti servono le mie istruzioni. Ti serve la mia conoscenza. Se ti fornisco l’adeguata formazione, insieme saremo capaci di completare la formula.”

      “Ma non ho tempo,” disse Oliver. “Non sto cercando l’Elisir per svelare i viaggi nel tempo, ma perché il professor Ametisto mi ha detto che è l’unica cosa in grado di salvare la mia amica che soffre della malattia dei viaggi nel tempo! La mia amica sta morendo.” La sua voce si spezzò vedendo apparire nella propria mente l’immagine di Esther. D’istinto strinse la mano sull’amuleto. “Non ho tempo di mettermi a studiare qui.”

      La preside esitò. Piegò la testa di lato e guardò Oliver per un momento. “Capisco.”

      Sembrava delusa che Oliver avesse rifiutato la sua offerta di dargli degli insegnamenti. Non aveva avuto intenzione di insultarla. In qualsiasi altro momento e luogo, sarebbe scattato di corsa all’occasione di poter studiare alla Scuola degli Indovini di Roma, apprendendo tutto il genio matematico che la preside Moretti possedeva. Ma non aveva proprio tempo.

      Hazel era preoccupata e si torturava le mani in grembo. Guardò Oliver con espressione colma d’ansia. “Non è la nostra ultima possibilità, però, vero?” chiese. “L’Elisir non è mai stato creato. Il portale ci ha portati qui perché è qui che possiamo trovare i pezzi del puzzle che ci servono per crearlo. La mente della preside Moretti è di certo uno di quei pezzi.”

      “Capisco quello che intendi dire,” ammise Oliver. “Ma di certo Esther morirà prima che io arrivi a imparare tutto quello che serve.”

      “C’è un rituale,” disse la preside di colpo, interrompendo la loro conversazione.

      “Un rituale?” chiese Oliver. Non gli piaceva il suono di quelle parole. Gli sembravano minacciose. Addirittura pericolose.

      La preside Moretti annuì lentamente. “È… come posso dire… una procedura complicata. Una cosa che non ho mai fatto prima. Ma potrebbe essere la vostra unica speranza.”

      Oliver si fece ancora più nervoso. Le parole della preside non gli davano alcun conforto.

      “Di cosa si tratta?” chiese, sentendo la propria voce che tremava.

      “Trasferirò tutta la mia conoscenza e le mie abilità in te,” spiegò lei. “Così saprai tutto ciò che so io. Avrai accesso ai miei ricordi, anche a quelli inconsci che ho dimenticato da tempo. Poi credo che sarai in grado di usare quella conoscenza per finire la formula per l’Elisir. Cosa dici?”

      Era una cosa terrificante per Oliver. Ma Esther aveva bisogno di lui. E anche la scuola. Inoltre, la preside Moretti aveva detto che sarebbe riuscito a vedere i suoi ricordi. Lei conosceva i suoi genitori. Forse i suoi ricordi lo avrebbero portato un po’ più vicino al trovarli?

      “Farà male?” chiese Oliver.

      Le labbra della preside Moretti si piegarono di lato in un’espressione preoccupata. “Non penso che sarà un’esperienza piacevole,” gli spiegò. “Credo che sarà una specie di shock per il sistema.

      Oliver guardò i suoi amici.

      Walter annuì con fare rassicurante. Lo stesso fece Hazel, anche se l’espressione che aveva nello sguardo tradiva un poco la sua paura. Oliver guardò David. Si fidava di lui, implicitamente.

      “Penso che sia una buona idea,” disse il ragazzo.

      Deglutendo a fatica e mandando giù il nodo che aveva in gola, Oliver si rivolse alla preside Moretti. Annuì. “Ok. Lo farò. Farò il rituale.”

      CAPITOLO OTTO

      Chris non sapeva cosa stesse accadendo. Un secondo prima si era trovato nell’ufficio di Madama Ossidiana, ascoltandola mentre lo avvisava che un fallimento nella sua prossima missione avrebbe avuto come risultato un orribile inferno per lui, e adesso si trovava… ovunque si trovasse.

      Tutto quello che poteva vedere attorno a sé era nero. Si sentiva molto calmo, un po’ come se stesse dormendo.

      Delle immagini iniziarono a scorrere nella sua mente. Vide dell’acqua, torbida e vorticante. Poi sentì l’orribile puzzo di liquami.

      Di colpo la paura lo attanagliò quando si rese conto di dove si trovava. Il fiume Tamigi! No!

      Madama Ossidiana l’aveva rispedito in quel posto orribile? Questa seconda missione era stata una specie di elaborato stratagemma, un modo per sollevare le sue speranze solo per distruggerle di nuovo mandandolo in questa tomba di acqua? Il terrore iniziò a divorarlo.

      Chris poteva sentire l’acqua contro la sua pelle e tutto l’appiccicoso residuo delle tossine nel lurido fiume. L’odore nelle sue narici gli faceva venire le lacrime agli occhi.

      Stava roteando in cerchio, come se si trovasse in un vortice. Poi, all’improvviso, vide con la coda dell’occhio qualcun altro. Non era solo.

      “Oliver?” gridò Chris incredulo.

      Anche il suo insignificante fratello era lì, e pure lui roteava nell’acqua tumultuosa. Cosa stava succedendo?

      Le onde si infrangevano attorno a loro spingendoli a riva. Chris atterrò nel fango, ansimando per recuperare il fiato. Le luci lampeggiavano come fari psichedelici attorno a lui.

      Sollevando


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