Arena Due . Морган Райс

Arena Due  - Морган Райс


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coltello. Mentre mi prendo cura di Rose, che urla tra le mie braccia, Logan prende il timone, avvia la barca e dà gas.

      Usciamo dal canale mentre sopraggiunge l’alba. Fa bene a partire così. Quei colpi di pistola potrebbero aver messo qualcuno in allarme; e non possiamo sapere quanto eventuale vantaggio abbiamo.

      Schizziamo dal canale sotto la luce violacea del mattino, lasciandoci alle spalle diversi cadaveri che galleggiano. Il nostro rifugio si è trasformato in un teatro degli orrori, e spero di non rivederlo mai più.

      Torniamo verso il centro dell’Hudson, con Logan che spinge al massimo la barca. Sto all’erta, guardo dappertutto, controllando eventuali segni di mercanti di schiavi. Se si trovano vicini, non abbiamo dove nasconderci: i colpi delle pistole, le urla di Rose e il rumore del motore difficilmente ci fanno passare inosservati.

      Spero soltanto che durante la notte siano tornati indietro per cercarci e si siano allontanati verso sud; se è così, si trovano lontano dietro di noi. Altrimenti, ci imbatteremo in loro.

      Se siamo davvero fortunati, si sono arresi e si sono ritirati a Manhattan. Ma ne dubito. Non abbiamo mai avuto tanta fortuna.

      Come con quei Pazzi. È stato davvero un colpo di sfortuna piazzarci là. Avevo sentito parlare di bande di predoni di Pazzi che erano diventati cannibali, che sopravvivevano mangiandosi a vicenda, ma non ci avevo mai creduto. A stento riesco a crederci adesso.

      Tengo stretta Rose, mentre il sangue gocciola dalla sua ferita sulla mia mano; cerco di consolarla. Il bendaggio improvvisato è già rosso, così strappo un nuovo pezzo della mia camicia, lasciandomi lo stomaco esposto al freddo, e le cambio il bendaggio. Non è proprio igienico, ma è il meglio che posso fare, e devo fermare l’emorragia in qualche modo. Vorrei avere medicine, antibiotici, o almeno degli antidolorifici – qualcosa da poterle dare. Mentre le tolgo il bendaggio fradicio, vedo la parte di carne staccatele dal braccio, e do un’occhiata cercando di non pensare al dolore che deve stare provando. È orribile.

      Penelope le si mette di sopra, geme, la guarda, cerca anche lei di aiutarla. Bree è nuovamente traumatizzata, tiene la mano a Rose cercando di farla smettere di piangere. Ma è inconsolabile.

      Vorrei tantissimo avere un calmante – qualsiasi cosa. E all’improvviso mi viene in mente. La bottiglia di champagne, mezza vuota. Vado davanti, la prendo e torno di corsa da lei

      “Bevi questo” le dico.

      Rose piange e urla disperata, in preda all’angoscia e al dolore, e non mi riconosce neanche.

      Gliela metto tra le labbra e la faccio bere. Quasi si strozza, e ne fa cadere un po’, ma riesce anche a berne.

      “Dai Rose, bevi. Ti aiuterà”.

      Gliela porto nuovamente alla bocca, e fa un’altra sorsata in mezzo ai lamenti. Non mi piace dare dell’alcol a una bambina, ma spero che l’aiuti a soffocare il dolore, e non so cos’altro fare.

      “Ho trovato delle pillole” sento dire.

      Mi volto e vedo Ben, per la prima volta presente. L’aggressione a Rose deve averlo risvegliato, forse a causa del senso di colpa per essersi addormentato durante il suo turno di guardia. Ha in mano un contenitore di pillole.

      Lo prendo e ci do un’occhiata.

      “Le ho trovate in uno scompartimento” dice. “Non so cosa siano”.

      Leggo la targhetta: sedativo. Sonniferi. I mercanti di schiavi dovevano usarle per addormentarsi. Che ironia: costringevano gli altri a stare svegli tutta la notte, mentre loro tenevano scorte di sonniferi per sé stessi. Ma per Rose è perfetto, proprio quello che serviva.

      Non so quante dargliene, ma devo farla calmare. Le do nuovamente lo champagne, assicurandomi che lo mandi giù, poi le do un paio di pillole. Conservo il resto in tasca, in modo da non perderle, poi tengo Rose sott’occhio.

      In pochi minuti, l’alcol e le pillole iniziano a fare effetto. Lentamente, le sue urla diventano lamenti, che poi si vanno attutendo ancora. Nel giro di venti minuti, i suoi occhi iniziano a farsi pesanti, e si addormenta tra le mie braccia.

      Aspetto altri dieci minuti, per essere sicura che sta dormendo, poi guardo Bree.

      “La tieni tu?” domando.

      Bree corre dal mio lato, e mi sollevo lentamente mettendo Rose fra le sua braccia.

      Mi alzo, ho i crampi alle gambe, e vado verso la parte anteriore della barca, accanto a Logan. Continuiamo a risalire il fiume, mentre il cielo inizia ad aprirsi, e come alzo gli occhi verso l’acqua vedo qualcosa che non mi piace.

      Piccoli pezzi di ghiaccio stanno iniziando a formarsi sull’Hudson. Li sento rimbalzare sulla barca. È l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno.

      Ma mi danno un’idea. Mi sporgo dalla barca, con l’acqua che mi schizza in faccia, e metto le mani nell’acqua gelida. Fa male al tatto, ma mi sforzo d’infilare tutta la mano, e cerco di afferrare un piccolo pezzo di ghiaccio. Siamo troppo veloci però, e non è facile prenderne uno. Mi mancano pochi centimetri.

      Alla fine, dopo un minuto di sofferenza, ne prendo uno. Mi asciugo la mano che trema dal freddo, e porgo il ghiaccio a Bree.

      Lo prende con gli occhi spalancati.

      “Tienilo” le dico.

      Prendo l’altro bendaggio, quello insanguinato, e ci avvolgo il ghiaccio. Lo do a Bree.

      “Tieniglielo contro la ferita”.

      Spero che l’aiuterà a placare il dolore, e magari e fermare l’emorragia.

      Rivolgo l’attenzione nuovamente sul fiume e mi guardo attorno, da tutti i lati, mentre il mattino inizia a farsi sempre più chiaro. Stiamo filando verso nord, e sono sollevata nel vedere che non ci sono segni di mercanti di schiavi da nessuna parte. Non sento rumori di motori né scorgo movimenti su nessuna delle due sponde. Il silenzio è inquietante. Ci stanno aspettando?

      Vado sul sedile passeggero, accanto a Logan e guardo l’indicatore di benzina. Meno di un quarto. Non è una buona cosa.

      “Forse se ne sono andati” azzardo. “Forse sono tornati indietro, hanno smesso di cercarci”.

      “Non ci sperare” dice.

      Come da copione, improvvisamente, si sente il rombo di un motore. Mi si gela il sangue. È un suono che riconoscerei ovunque al mondo: il loro motore.

      Mi volto verso il retro della barca e scruto l’orizzonte: è quasi sicuro che a un miglio di distanza, ci sono i mercanti di schiavi. Stanno venendo verso di noi. Li guardo arrivare, mi sento indifesa. Siamo quasi a corto di munizioni, mentre loro sono ben equipaggiati, con tonnellate di armi e munizioni. Non abbiamo alcuna chance se li affrontiamo, né se proviamo a fuggire: si stanno già avvicinando. Non possiamo neanche provare a nasconderci di nuovo.

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