Arena Due . Морган Райс

Arena Due  - Морган Райс


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È magrissimo, ha l’aspetto di chi non mangia da giorni. Ha arco e frecce legati al petto. È un essere umano, un sopravvissuto, proprio come noi, questo sembra chiaro.

      Agita freneticamente le braccia, non posso metterlo sotto. Non posso neanche lasciarlo qui.

      Ci fermiamo bruscamente, arrivando a pochi passi dall’uomo. Se ne sta lì con gli occhi spalancati, come se non si aspettav davvero che ci saremmo fermati.

      Logan non perde tempo nel saltare giù, con entrambe le mani sulla pistola puntata alla testa dell’uomo.

      “INDIETRO” urla.

      Scendo anch’io.

      L’uomo alza lentamente le braccia, e fa diversi passi indietro con l’aria piuttosto stordita.

      “Non sparare!” supplica l’uomo. “Vi prego! Sono proprio come voi! Ho bisogno di aiuto. Vi prego. Non potete lasciarmi morire qua. Sto morendo di fame. Non mangio da giorni. Portatemi con voi. Vi prego. Vi prego!”

      Ha la voce quasi rotta, e vedo l’angoscia sul suo volto. So come ci si sente. Non molto tempo fa, ero proprio come lui, mi arrangiavo in tutti i modi per recuperare del cibo qua sui monti. Ora sono messa decisamente meglio.

      “Ecco, prendete questo!” dice l’uomo, togliendosi di dosso l’arco e la faretra delle frecce. “È vostro! Non ho cattive intenzioni!”.

      “Muoviti lentamente” comanda Logan, sempre diffidente.

      L’uomo allunga il braccio con cautela e porge l’arma.

      “Brooke, prendilo tu” dice Logan.

      Faccio un passo in avanti, afferro arco e frecce, e li lancio nel retro del pickup.

      “Vedi” dice l’uomo con un sorriso. “Non sono una minaccia. Voglio solo unirmi a voi. Vi prego. Non potete lasciarmi morire qua”.

      A poco a poco, Logan abbassa la guardia e cala un pochino la pistola. Ma ha ancora gli occhi puntati sull’uomo.

      “Mi spiace” dice Logan. “Non ci possiamo permettere un’altra bocca da sfamare”.

      “Aspetta!” urlo a Logan. “Non ci sei solo tu qua. Non decidi tutto tu”. Mi volto verso l’uomo. “Come ti chiami?” domando. “Da dove vieni?”.

      Mi guarda con aria disperata.

      “Mi chiamo Rupert” risponde. “Sono due anni che sto quassù cercando di sopravvivere. Avevo già visto te e tua sorella prima. Quando i mercanti di schiavi l’hanno catturata, ho cercato di dare aiuto. Sono quello che ha buttato giù l’albero!”.

      A queste parole ho un tremito al cuore. È quello che ha provato ad aiutarci. Non posso lasciarlo qui. Non è giusto.

      “Dobbiamo portarlo con noi” dico a Logan. “Troveremo il posto per un altro”.

      “Non lo conosci” risponde Logan. “E poi non abbiamo cibo”.

      “Posso cacciare” dice l’uomo. “Ho arco e frecce”.

      “Per quello che vale da queste parti” dice Logan.

      “Per favore” dice Rupert. “Posso aiutarvi. Vi prego. Non voglio il vostro cibo”.

      “Lo prendiamo” dico a Logan.

      “No, non lo prendiamo” risponde lui. “Non lo conosci. Non sai niente di lui”.

      “A stento so qualcosa di te” rispondo a Logan, con la rabbia che monta. Non sopporto questo suo essere così cinico, sempre in allarme. “Non sei l’unico ad avere il diritto di vivere”.

      “Se lo porti con noi, metti a repentaglio tutti noi” dice. “Non solo te. Ma anche tua sorella”.

      “L’ultima volta che ho contato eravamo tre, se non sbaglio” si sente la voce di Bree.

      Mi volto e mi accorgo che è scesa giù dal pickup e che si trova dietro di noi.

      “E questo significa che siamo una democrazia. E il mio voto conta. E io voto per portarlo con noi. Non possiamo lasciarlo qua a morire”.

      Logan scuote la testa disgustato. Senza dire altre parole, e digrignando i denti, si volta e salta sul pickup.

      L’uomo mi guarda e mi rivolge un grosso sorriso, corrugando la faccia in mille pieghe.

      “Grazie” sussurra. “Non so come ringraziarti”.

      “Muoviti, prima che cambia idea” gli dico non appena montati sul pickup.

      Mentre Rupert si avvicina allo sportello, Logan dice “non ti puoi sedere davanti. Vai nel retro del pickup”.

      Prima ch’io possa aprire bocca, Rupert passa tranquillo nel retro. Bree salta a bordo e partiamo.

      C’è ancora della strada snervante da fare per tornare al fiume. Mentre procediamo vedo il cielo che si fa scuro insieme al rosso del tramonto che sfuma tra le nuvole. Fa più freddo ogni secondo che passa, e la neve diventa più dura man mano che andiamo avanti, trasformandosi in ghiaccio in qualche punto, e rendendo la guida molto più rischiosa. L’indicatore della benzina va calando, e la spia rossa inizia a lampeggiare. E anche se ci resta qualcosa tipo un chilometro, mi sembra di lottare per ogni centimetro. Mi rendo anche conto di quanto sospettoso sia Logan con il nuovo passeggero. È un altro sconosciuto. Un’altra bocca da sfamare.

      Dal canto mio spero che il pickup ce la faccia, che ci sia ancora luce, che la neve non diventi troppo dura. Il tutto mentre continuo a dare gas. E proprio quando penso che non riusciremo ad arrivare, dopo una curva vedo il nostro bivio. Giro con decisione verso la stretta strada di campagna che scende verso il fiume, e lascio andare il pickup. So che la barca si trova a un centinaio di metri.

      Facciamo un’altra curva, e tiro un sospiro di sollievo nel vedere la barca. È ancora là che galleggia sull’acqua, vedo Ben che scruta nervoso l’orizzonte in attesa del nostro arrivo.

      “La nostra barca!” urla Bree euforica.

      Come prendiamo velocità in discesa, la strada si fa sempre più accidentata. Ma ce l’abbiamo quasi fatta. Sento una diffusa sensazione di sollievo.

      E proprio mentre scruto l’orizzonte, scorgo in lontananza qualcosa che mi fa gelare il sangue. Non ci posso credere. Deve essersene accorto anche Logan.

      “Dannazione” mormora.

      In lontananza sull’Hudson c’è una barca dei mercanti di schiavi – un grosso motoscafo nero che viene verso di noi. È due volte più grande del nostro, e sono certa che è equipaggiato meglio. E la cosa peggiore è che dietro vedo un’altra barca.

      Logan aveva ragione. Erano molto più vicini di quanto pensassi.

      Schiaccio sul freno e ci mettiamo a pattinare fino a quanto non ci fermiamo a una decina di metri dalla riva. Metto la macchina in folle, apro lo sportello e salto fuori, preparandomi a correre verso la barca.

      All’improvviso, qualcosa va storto. Sento mancarmi il respiro mentre un braccio mi stringe la gola; poi mi sento tirata dietro. Sto esaurendo il fiato, inizio a vedere bianco, e non capisco cosa stia succedendo. Siamo stati assaliti dai mercanti di schiavi?

      “Non ti muovere” dice una voce minacciosa al mio orecchio.

      Sento sulla gola qualcosa di affilato e freddo, e capisco che è un coltello.

      È allora che mi rendo conto di cos’è successo: Rupert. L’estraneo. Mi ha teso una trappola.

      TRE

      “ABBASSA L’ARMA!” urla Rupert. “ORA!”.

      Logan è qua accanto con la pistola sollevata, puntata proprio oltre la mia testa. La tiene lì, e lo vedo voglioso di sparare in testa a quest’uomo. Vedo che vorrebbe farlo ma ha paura di colpire me.

      Adesso capisco quanto sono stata stupida a prendere con noi questa persona. Logan ha avuto sempre ragione. Avrei dovuto dargli ascolto. Rupert ci stava usando tutto il tempo, voleva prendere la nostra barca, il nostro cibo e le nostre provviste in modo da averle tutte per sé. È completamente disperato. In un


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