Arena Due . Морган Райс
sarebbe felice là. Possiamo portarla giù e seppellirla lì. Andrebbe bene?”.
Ho il cuore che batte fortissimo mentre sto in attesa della risposta. Stiamo sforando il tempo previsto, e so quanto può essere cocciuta Bree se c’è qualcosa a cui tiene.
Per fortuna, annuisce.
“Okay” dice. “Ma la porto io”.
“Credo pesi troppo per te”.
“Non me ne vado senza averla portata” dice, con gli occhi che si riempiono di caparbietà mentre si alza e mi guarda in faccia, con le mani sui fianchi. Capisco dai suoi occhi che non lascerà fare in altro modo.
“D’accordo” dico. “Portala tu”.
Stacchiamo entrambe Sasha dal pavimento, dopodiché mi metto a perlustrare la casa alla ricerca di qualcosa da recuperare. Vado di corsa verso il corpo del mercante di schiavi, gli tolgo i pantaloni, e nel farlo sento qualcosa nella sua tasca di dietro. Rimango positivamente sorpresa nello scoprire dentro qualcosa di grosso e metallico. Tiro fuori un piccolo coltello a scatto. Sono elettrizzata e me l’infilo in tasca.
Do una rapida occhiata al resto della casa, correndo di stanza in stanza, cercando qualsiasi cosa possa essere utile. Trovo qualche vecchio sacco di iuta vuoto e li prendo tutti. Ne apro uno e ci metto dentro il libro favorito di Bree, L’Albero, e una copia del Signore delle Mosche. Corro verso l’armadio, afferro le candele e i fiammiferi rimasti e li infilo dentro.
Corro attraverso la cucina e poi fuori verso il garage, con le porte ancora spalancate da quanto hanno fatto irruzione i mercanti di schiavi. Spero con tutte le mie forze che non si sono messi a cercare nel retro, in fondo al garage, dove c’è la cassetta degli attrezzi. L’avevo nascosta bene, in una rientranza della parete. Corro verso lì e sono sollevata nel vedere che è ancora al suo posto. L’intera cassetta è troppo pesante per portarla tutta, così la frugo e prendo ciò che può servire. Prendo un piccolo martello, un cacciavite e una scatolina di chiodi. Trovo una torcia, con tanto di batteria. La provo, funziona. Afferro un piccolo set di pinze e una chiave, quindi lo chiudo preparandomi ad andare.
Mentre sto per correre fuori, qualcosa in alto sul muro cattura la mia attenzione. È un largo cavo per teleferica, tutto arricciato, ben ripiegato e appeso a un gancio. Me ne ero dimenticata. Anni fa, papà lo comprò e lo tirò fra gli alberi pensando che sarebbe stato divertente. L’abbiamo usato una volta e basta, poi lo rimise nel garage. A guardarlo adesso mi sembra possa avere un qualche valore. Salgo sul piano di lavoro, allungo la mano e lo tiro giù, mettendomelo a tracolla su una spalla con il sacco di iuta sull’altra.
Esco di corsa dal garage e torno in casa. Bree è ancora là, con le braccia e gli occhi fissi su Sasha.
“Sono pronta” dice.
Ci affrettiamo verso la porta di casa, Logan si gira e vede Sasha. Scuote la testa.
“Dove la state portando?” domanda.
“Al fiume” rispondo.
Scuote la testa in segno di disapprovazione.
“Il tempo passa” dice. “Hai ancora 15 minuti prima di ripartire. Dov’è il cibo?”.
“Non qua” dico. “Dobbiamo salire ancora, al cottage che ho scoperto. Ce la facciamo in 15 minuti”.
Cammino con Bree verso il pickup e getto il cavo e il sacco nel retro. Tengo i sacchi vuoti però, pensando che mi serviranno per trasportare il cibo.
“A cosa serve quel cavo?” domanda Logan, facendosi avanti verso di noi. “Non ci serve a niente”.
“Non si sa mai” dico.
Mi volto, metto un braccio attorno a Bree che sta ancora fissando Sasha, e la faccio voltare, spostandole lo sguardo verso la montagna.
“Muoviamoci” dico a Logan.
Controvoglia, si gira e si mette a camminare con noi.
Saliamo tutti e tre la montagna a passo regolare, mentre il vento si fa sempre più forte e la temperatura si abbassa. Guardo il cielo preoccupata: si sta inscurendo più velocemente di quanto pensassi. So che Logan ha ragione: dobbiamo tornare verso l’acqua prima che cali la sera. E visto che siamo praticamente al tramonto, sono sempre più preoccupata. Ma in cuor mio so anche che dobbiamo recuperare il cibo.
Continuiamo tutti e tre a camminare con fatica su per il versante della montagna, fino a quando non raggiungiamo la radura proprio mentre una forte raffica mi colpisce in faccia. È più freddo e scuro ogni minuto che passa.
Ritrovo le mie tracce verso il cottage, la neve è fitta quassù; la sento penetrare attraverso gli stivali mentre cammino. Lo scorgo, ricoperto di neve, ancora ben nascosto come sempre. Lo raggiungo di corsa e apro la porticina. Logan e Bree stanno dietro di me.
“Bella scoperta” dice, e per la prima volta sento della stima nella sua voce. “Ben nascosto. Mi piace. Quasi quasi mi convincerebbe a rimanerci – se non ci fossero i mercanti di schiavi a inseguirci, e se avessimo scorte di viveri”.
“Lo so” dico, mettendo piede nella casetta.
“Che bella” dice Bree. “È questa la casa dove stavamo per trasferirci?”.
Mi volto e la guardo, con l’anima in pena. Annuisco.
“Un’altra volta, ok?”.
Capisce. Neanche lei ha voglia di aspettare i mercanti di schiavi.
Entro rapidamente, sollevo la porta della botola e scendo la ripida scala. È scuro quaggiù e procedo con cautela. Allungo una mano e sento una fila di vetro, che tintinna appena lo tocco. I barattoli. Non perdo tempo. Tiro fuori i sacchi e li riempio di barattoli il più velocemente possibile. Riesco a malapena a distinguerli mentre la borsa si appesantisce, ma ricordo che c’era marmellata di lamponi, di more, sottaceti, cetrioli… Riempio il sacco fin quanto ce n’entra, poi lo allungo e lo porgo a Logan su per la scala. Lo prende e ne riempio altri tre.
Ripulisco l’intera parete.
“Basta” dice Logan. “Non possiamo portarne più. E si sta facendo scuro. Dobbiamo andare”.
Adesso sento un po’ più rispetto nella sua voce. Chiaramente è rimasto positivamente colpito dalla riserva che ho trovato, e finalmente riconosce il bisogno che avevamo di venire qua.
Allunga il braccio e mi porge la mano, ma risalgo la scala da sola; non ho bisogno del suo aiuto e sono ancora offesa per il suo comportamento di prima.
Mi rimetto in piedi, afferro due pesanti sacchi mentre Logan prende gli altri. Usciamo velocemente tutti e tre dal cottage, e ritroviamo subito le nostre orme sul ripido cammino. In pochi minuti, siamo di nuovo sul pickup, e sono sollevata nel vedere che è tutto ancora al suo posto. Controllo l’orizzonte, e non vedo nessuno segno di attività sulla montagna né nella valle lontana.
Saltiamo sul pickup, accendo il motore, lieta che parte, e ci rimettiamo sulla strada. Abbiamo cibo, provviste, il nostro cane, e sono riuscita a salutare la casa di papà. Sono soddisfatta. E sento che anche Bree, accanto a me, è contenta. Logan guarda fuori dal finestrino, perso nel suo mondo, ma non posso fare a meno di credere che lui stia pensando che abbiamo fatto la cosa giusta.
Il viaggio di ritorno dalla montagna è privo di eventi, e con mio stupore i freni di questo vecchio pickup funzionano abbastanza bene. In alcun punti, dove la strada è più scoscesa, schiacciare il freno significa andare in discesa libera, ma in pochi minuti ci lasciamo il peggio alle spalle e ritorniamo sulla Route 23, direzione est. Prendiamo velocità, e finalmente mi sento davvero ottimista. Abbiamo alcuni strumenti preziosi, e cibo sufficiente per diversi giorni. Mi sento bene, sicura di ciò che ho fatto. Attraversiamo la 23 e siamo ormai a pochi minuti dalla barca.
Ed è qui che cambia tutto.
Schiaccio i freni nell’attimo in cui vedo in mezzo alla strada spuntare dal nulla una persona che agita freneticamente le braccia, bloccandoci il cammino. Sarà a una cinquantina di metri e sono costretta frenare parecchio, tanto da fare derapare il pickup.
“NON TI FERMARE!” ordina Logan. “Continua