Amata . Морган Райс
Copyright © 2011 di Morgan Rice
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Questa è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell'immaginazione dell'autrice o sono utilizzati a puro scopo d'intrattenimento. Qualsiasi rassomiglianza a persone reali, viventi o meno, è pura coincidenza.
Jacket art ©iStock.com/© Ivan Bliznetsov
FATTO:
Nel 1692, a Salem una dozzina di ragazze, note come “le tormentate” furono colpite da una misteriosa malattia, che le rese isteriche, inducendo le persone a credere che le streghe del luogo le tormentassero. Questo portò ai celebri processi alle streghe di Salem.
Alla misteriosa malattia che colpì quelle giovani donne, ancora oggi, non è stata data alcuna spiegazione.
“Questa notte ella ha sognato la mia statua,
Simile ad una fontana, da cui spuntano mille getti,
Da essa scorreva sangue puro: e molti coraggiosi Romani
Si avvicinavano sorridenti, e vi si lavavano le mani:
E questo sogno ella interpreta quale profetico
Di sventure imminenti…”
--William Shakespeare, Giulio Cesare
CAPITOLO UNO
La Valle dell'Hudson, New York
(Giorni Nostri)
Per la prima volta da settimane, Caitlin Paine si sentiva finalmente rilassata. Era seduta comodamente sul pavimento del piccolo fienile, con la schiena rivolta contro una balla di fieno, e sospirò. Un piccolo fuoco ardeva nel camino in pietra a circa tre metri di distanza; aveva appena aggiunto un ciocco, e provò una sorta di rassicurazione al suono del legno scoppiettante. Marzo non era ancora giunto al termine, e quella notte faceva davvero freddo. La finestra sul muro opposto permetteva di scorgere il cielo notturno: la neve stava ancora scendendo.
Il fienile non era riscaldato, ma lei si sedette abbastanza vicino al camino, in modo da poter trarre sollievo dal fuoco che ardeva. Era molto a suo agio e cominciò a sentire che gli occhi si facevano pesanti. L'odore del fuoco dominava il fienile, e lei si distese ancora un po', tanto da poter sentire che la tensione stava cominciando ad abbandonare le spalle e le gambe.
Naturalmente, la vera ragione che giustificava il suo senso di pace - lo sapeva bene - non era il fuoco, il fieno o persino il rifugio all'interno del fienile. Ma era lui. Caleb. Lei si sedette e lo guardò.
Era disteso di fronte a lei, a circa quattro metri di distanza, giacendo così perfettamente immobile. Era addormentato e ne approfittò per studiare il suo volto, i suoi lineamenti splendidi, la sua pelle pallida e traslucida. Non aveva mai visto dei lineamenti scolpiti in una maniera così perfetta. Non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a sopravvivere per ben 3.000 anni. Lei, a 18 anni, già sembrava più vecchia di quanto sembrasse lui.
Ma si trattava di qualcosa di più dei suoi lineamenti. C'era una sorta di aura intorno a lui, che emanava una qualche energia. Un grande senso di quiete. Quando lei era con lui, sapeva che tutto sarebbe andato a finire bene.
Era semplicemente felice che lui fosse ancora lì con lei. E si concesse di sperare che sarebbero rimasti insieme. Ma sebbene lo pensasse, si rimproverò perchè consapevole che si sarebbe messa nei guai. Pensò che ragazzi come questo non si trovavano in giro. Ma non era soltanto il modo in cui erano fatti.
Caleb dormiva così perfettamente, respirando talmente piano, che fu difficile per lei stabilire se fosse davvero addormentato. Era uscito prima, aveva detto, per nutrirsi. Ed era ritornato persino più rilassato, portando con sè un mucchio di ciocchi, ed aveva trovato un sistema per sigillare la porta del fienile, per impedire che la neve vi penetrasse. Aveva acceso il fuoco, e, ora che dormiva, lei l'aveva mantenuto vivo.
Lei allungò la mano a prendere il bicchiere e bevve un altro sorso di vino rosso, sentendo che il liquido caldo la rilassava lentamente. Aveva trovato la bottiglia in una cassa nascosta sotto una balla di fieno; si era ricordata di quando suo fratello minore Sam l'aveva nascosta lì, mesi prima, e per un capriccio. Lei non beveva mai, ma non trovava nulla di male in qualche sorso, specie dopo quello che aveva passato.
Teneva il suo diario in grembo, con la pagina aperta, una penna in una mano e il bicchiere nell'altra. Era così da ormai 20 minuti. Non aveva idea di come iniziare. Scrivere non era mai stato un problema prima di allora, ma stavolta era diverso. I fatti degli ultimi giorni erano stati fin troppo drammatici, troppo difficili da elaborare. Questa era la prima volta che si sedeva tranquilla e rilassata. La prima volta in cui si sentiva persino minimamente al sicuro.
Decise che fosse meglio iniziare dal principio. Che cosa era accaduto. Perchè lei era lì. Chi era lei. Aveva bisogno di elaborare il tutto. Non era nemmeno più sicura di conoscere le risposte.
*
Fino alla scorsa settimana, la vita era normale. Alla fine, avevo cominciato ad apprezzare Oakville. Poi la mamma un giorno è arrivata e ha detto che ci saremmo trasferiti. Di nuovo. La vita è stata sconvolta, come è sempre accaduto con lei.
Stavolta, è stato peggio. Non si trattava di un altro sobborgo. Era New York. Una città. Con una vera scuola pubblica e una vera vita. E un quartiere pericoloso.
Anche a Sam non piaceva l'idea. Abbiamo parlato di non andarci, di scappare via. Ma la verità è che non avevamo nessun altro posto in cui andare.
Allora siamo andati. Ci siamo giurati in segreto che, se non ci fosse piaciuto restare lì, ce ne saremmo andati via. Avremmo trovato un posto. Ovunque. Forse avremmo anche persino cercato di localizzare papà ancora una volta, sebbene entrambi sapessimo che non sarebbe stato possibile.
E poi è accaduto tutto. Così velocemente. Il mio corpo. Mutazione. Cambiamento. Non so ancora che cosa sia avvenuto, o chi sia diventata. Ma so per certo che non sono più quella di prima.
Ricordo quella notte fatale in cui tutto è iniziato. Carnegie Hall. Il mio appuntamento con Jonah. E poi…intervallo. Il mio….nutrirmi? Uccidere qualcuno? Ancora non riesco a ricordare. So soltanto quello che mi hanno detto. So che ho fatto qualcosa quella notte, ma è ancora tutto confuso.