Ribelle, Pedina, Re . Морган Райс
Aveva la perfetta espressione dell’ideale spasimante preoccupato, cosa che indusse Stefania a fidarsi ancor meno di lui.
“Prenditi il tempo di pensare a tutto quello che ho detto,” disse Lucio. “Pensa a tutto quello che un matrimonio con me potrebbe offrirti. Certo se paragonato allo stato di una donna che è stata sposata con un traditore. Potrai anche non amarmi ancora, ma la gente come noi non prende decisioni basate su quel tipo di follia. Ne compiamo perché siamo superiori e riconosciamo quelli come noi quando li vediamo.”
Stefania non era per niente come Lucio, ma sapeva che non era il caso di dirlo. Voleva solo che se ne andasse.
“Nel frattempo,” disse Lucio vedendo che non gli rispondeva, “ho un regalo per te. La tua damigella ha pensato che potessi averne bisogno. Mi ha detto ogni genere di cosa su di te mentre implorava che la lasciassi in vita.”
Trasse una fiala dalla tasca che aveva alla cintura e la mise sul tavolino accanto alla finestra.
“Mi ha detto del motivo per cui sei dovuta scappare dalla festa della luna di sangue,” disse Lucio. “Mi ha detto della tua gravidanza. Chiaramente non potrei mai allevare il figlio di Tano. Bevi questo, e non ci saranno problemi. In nessun senso.”
Stefania avrebbe voluto gettargliela addosso quella fiala. La prese proprio per questo motivo, ma era già arrivato alla porta.
Andò verso di lui per gettargliela comunque, ma si fermò, tornando alla finestra e fissando la boccetta.
Era trasparente, la luce del sole la attraversava e la faceva apparire più innocente di quanto fosse. Se la beveva sarebbe stata libera di sposare Lucio, il che era un pensiero orribile. Ma questo l’avrebbe anche messa in una posizione pericolosissima all’interno dell’Impero. Se la beveva gli ultimi rimasugli di Tano sarebbero spariti.
Stefania rimase lì non sapendo cosa fare e lentamente le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance.
Magari dopotutto l’avrebbe bevuta.
CAPITOLO TRE
Ceres lottava disperatamente cercando di riprendere conoscenza, spingendo tra i veli di buio che la bloccavano a terra, come una donna che sta annegando e che si dimena nel tentativo di risalire in superficie. Ancora sentiva le grida dei morenti. L’imboscata. La battaglia. Doveva sforzarsi di svegliarsi, o sarebbe andato tutto perduto…
Gli occhi le si aprirono di scatto e lei balzò in piedi, pronta a combattere ancora. Ad ogni modo ci provò. C’era qualcosa che le teneva fermi polsi e caviglie. Il sonno finalmente la lasciò e Ceres vide dove si trovava.
Muri di pietra la circondavano, incurvandosi in uno spazio largo appena da consentirle di starvi sdraiata dentro. Non c’era nessuno letto, solo il duro pavimento di pietra. Una piccola finestra sbarrata lasciava trapelare la luce. Ceres poteva sentire il costrittivo peso dell’acciaio attorno ai polsi e alle caviglie e vide la massiccia staffa alla quale erano fissate le catene che la tenevano al muro. La spessa porta chiusa con barre di ferro dichiarava il suo stato di prigioniera. La catena scompariva attraverso una fessura nella porta, suggerendo che avrebbero potuto tirarla indietro da fuori, fino alla staffa, bloccandola al muro.
La rabbia pervase Ceres quando si rese conto di essere bloccata là dentro a quel modo. Tirò la catena cercando semplicemente di tenderla dal muro con la forza che le veniva dai suoi poteri. Non accadde nulla.
Era come se nella sua mente ci fosse una sorta di nebbia e lei stesse cercando di vederci attraverso per scorgere il paesaggio oltre ad essa. Qua e là la luce della memoria sembrava filtrare attraverso la nebbia, ma era qualcosa di frammentato.
Poteva ricordare i cancelli della città che si aprivano e i ‘ribelli’ che facevano loro segno di entrare. La corsa là dentro, gettandosi pienamente in quella che pensavano sarebbe stata la battaglia finale per la presa della città.
Ceres si accasciò indietro. Era dolorante e alcune ferite erano più profonde di quelle fisiche.
“Qualcuno ci ha traditi,” disse sottovoce.
Erano stati vicinissimi alla vittoria e qualcuno li aveva traditi in tutto. Per denaro, o per paura, o per necessità di potere. Ad ogni modo qualcuno aveva ceduto tutto ciò per cui avevano lavorato e li aveva lasciati finire in trappola.
Ceres allora ricordò. Ricordò il nipote di Lord West con una freccia che gli spuntava dalla gola, lo sguardo di incredulità e impotenza sul volto prima di cadere di sella.
Ricordò le frecce che avevano oscurato il sole, e le barricate, e il fuoco.
Gli uomini di Lord West avevano cercato di tirare in risposta agli arcieri che li avevano assaliti. Ceres aveva visto le loro doti di arcieri a cavallo mentre si dirigevano verso Delo, capaci di cacciare con archi piccoli e tirare a pieno galoppo se necessario. Quando avevano scoccato le prime frecce del contrattacco, Ceres aveva addirittura osato provare speranza, perché sembrava che quegli uomini potessero essere capaci di prevalere su tutto.
Ma non era stato così. Con gli arcieri di Lucio nascosti sui tetti, si erano trovati troppo in svantaggio. Da qualche parte nel caos i calderoni di fuoco si erano uniti alle frecce e Ceres aveva provato vero orrore quando aveva visto gli uomini che iniziavano a bruciare. Solo Lucio avrebbe usato il fuoco come arma nella sua stessa città, senza preoccuparsise le fiamme si fossero allargate alle case circostanti. Ceres aveva visto i cavalli impennarsi e uomini cadere a terra mentre i loro destrieri andavano nel panico.
Ceres sarebbe dovuta essere capace di salvarli. Aveva cercato di tirare fuori il potere dentro di sé e aveva trovato solo vuoto, un buco nero dove invece ci sarebbero dovuti essere pronti la forza e il potere di distruggere i suoi nemici.
Li stava ancora cercando quando il suo cavallo aveva scartato e l’aveva fatta cadere…
Ceres forzò la mente a tornare al presente, perché c’erano dei luoghi in cui la sua memoria non voleva rimanere. Tuttavia il presente non era molto meglio, perché fuori Ceres poteva udire le grida di un uomo che ovviamente stava morendo.
Ceres si diresse alla finestra costringendosi ad andare fino al limite estremo consentitole dalle catene. Fu uno sforzo anche quello. Si sentiva come se qualcosa l’avesse graffiata dentro, strappandole via tutta la forza che poteva aver avuto prima. Era come se potesse a malapena stare in piedi, immaginarsi quindi di liberarsi dalle catene che la costringevano.
Riuscì ad arrivarci e strinse le mani attorno alle sbarre, come a volerle strappare. In verità però quelle erano quasi l’unica cosa che la aiutasse a reggersi in piedi. Quando guardò in basso verso il cortile che si trovava sotto alla sua nuova cella, ebbe bisogno di supporto.
Ceres vide lì gli uomini di Lord West, disposti in piedi in diverse righe. Avevano tutti addosso ancora i resti delle loro armature, anche se in molti casi dei pezzi si erano rotti o erano stati strappati via. E nessuno portava le proprie armi. Avevano le mani legate e in molti stavano inginocchiati. C’era qualcosa di triste in quella scena. Parlava della loro sconfitta più chiaramente di qualsiasi altra cosa.
Ceres riconobbe degli altri, dei ribelli, e la vista di quei volti portò una reazione ancora più viscerale. Gli uomini di Lord West erano venuti con lei per loro volontà. Avevano rischiato le loro vite per lei, e Ceres se ne sentiva responsabile, ma le donne e gli uomini là sotto erano persone che lei conosceva.
Vide Anka. Era legata al centro, le braccia bloccate dietro alla schiena, attorno a un palo, troppo in alto da consentirle di sedersi o inginocchiarsi per riposare. Una corda all’altezza della gola minacciava di strozzarla ogni qualvolta osasse rilassarsi. Ceres poté vedere il sangue sul suo volto, lasciato lì apposta, come se lei non avesse alcun valore.
Tutta quella scena bastò per farle venire la nausea. Erano amici, persone che in molti casi conosceva da anni. Alcuni di loro erano feriti. Un lampo di rabbia attraversò Ceres, perché nessuno poteva aiutarli. Stavano invece in piedi o in ginocchio come i soldati.
E poi c’erano le cose accanto alle quali stavano aspettando. Ceres