La Fabbrica della Magia . Морган Райс
Lo mise in mezzo al tavolo. Papà prese una fetta. Poi Chris si chinò in avanti e afferrò il resto, senza lasciare nulla per Oliver.
“EHI!” gridò Oliver. “Avete visto?”
Sua madre guardò il piatto vuoto e fece uno dei suoi soliti sospiri esasperati. Poi guardò suo padre come ad aspettarsi che intervenisse e dicesse qualcosa. Ma lui si limitò a scrollare le spalle.
Oliver strinse i pugni. Era così ingiusto. Se non avesse anticipato una cosa del genere, si sarebbe perso un altro pasto grazie a Chris. Il fatto che nessuno dei suoi genitori si mettesse dalla sua parte lo faceva andare su tutte le furie: sembrava che neanche si accorgessero di quanto spesso saltasse i pasti a causa di Chris.
“Voi due andate a scuola a piedi insieme?” chiese sua madre nell’ovvio tentativo di scansare il problema.
“Non posso,” disse Chris con la bocca piena. Il burro gli gocciolava sul mento. “Se mi faccio vedere in giro con un nerd, non riuscirò mai a farmi degli amici.”
Papà sollevò la testa. Per un secondo parve sul punto di dire qualcosa a Chris, magari per rimproverarlo di aver usato quel nomignolo per Oliver. Ma poi decise evidentemente di non farlo, perché si limitò a sospirare stancamente, riabbassando lo sguardo sul tavolo.
Oliver strinse i denti, cercando di tenere a bada la propria rabbia.
“Non è un problema per me,” sibilò, lanciando un’occhiataccia a Chris. “Ad ogni modo preferisco starti ad almeno trenta metri di distanza.”
Chris si lasciò andare a una fragorosa e perfida risata.
“Ragazzi,” li mise in guardia la mamma con la voce più mite possibile.
Finita la colazione, la famiglia si preparò rapidamente e tutti uscirono di casa per dare inizio alle rispettive giornate.
Oliver guardò i genitori che salivano sulla vecchia auto ammaccata e partivano. Poi Chris si allontanò a grandi passi senza aggiungere una parola di più, le mani in tasca e il volto accigliato. Oliver sapeva quanto fosse per lui importante stabilire immediatamente che lui era un tipo con cui non bisognava fare casino. Era la sua armatura, il modo in cui gestiva il fatto di dover cambiare scuola ogni sei settimane durante l’anno scolastico. Sfortunatamente per Oliver, lui era troppo magrolino e basso per poter anche solo tentare di seguire le sue orme e coltivare una tale immagine anche per sé. Il suo aspetto fisico semplicemente contribuiva a metterlo ancor più in evidenza.
Chris andò velocemente avanti fino a scomparire dalla vista di Oliver, lasciandolo camminare da solo per quelle strade così sconosciute. Non fu la passeggiata più piacevole nella vita di Oliver. Il quartiere era duro, con un sacco di cani che abbaiavano dietro ringhiere di ferro, e auto malridotte e rumorose che percorrevano le vie piene di buche senza riguardo per i bambini che potevano attraversarle.
Quando la Scuola Media Campbell comparve davanti a lui, Oliver sentì scorrere un brivido lungo la schiena. Era un posto dall’aspetto orribile, fatto di mattoni grigi, completamente quadrato e con la facciata rovinata dal tempo e dalle intemperie. Non c’era neanche dell’erba su cui sedersi, solo un ampio cortile di asfalto con canestri da pallacanestro rotti da entrambi i lati. I ragazzini si spingevano a vicenda contendendosi la palla. E il baccano! Era assordante: discussioni, canti, grida e chiacchiericci vari.
Oliver avrebbe voluto girarsi e tornare di corsa da dove era venuto. Ma riuscì a cacciare giù la paura e continuò a camminare a testa bassa, le mani in tasca, attraversando il cortile e poi entrando da una grande porta di vetro.
I corridoi della Campbell erano bui. Sapevano di candeggina, sebbene sembrasse che non li pulissero da un decennio. Oliver vide l’indicazione della reception e la seguì, sapendo di doversi annunciare a qualcuno. Quando trovò l’ufficio, vide che dentro c’era una donna dall’aspetto piuttosto annoiato e scontroso, le lunghe unghie rosse che digitavano qualcosa sulla tastiera del computer.
“Mi scusi,” disse Oliver.
La donna non rispose. Lui si schiarì la voce e tentò di nuovo, solo con tono un po’ più alto.
“Mi scusi. Sono un nuovo studente, inizio oggi.”
Alla fine la donna distolse lo sguardo dal computer e lo guardò. Socchiuse gli occhi. “Un nuovo studente?” chiese con voce molto sospettosa. “È ottobre.”
“Lo so,” rispose Oliver. Non serviva che glielo ricordasse. “La mia famiglia si è appena trasferita qui. Mi chiamo Oliver Blue.”
La donna lo guardò in silenzio per un lungo momento. Poi, senza pronunciare un’altra parola, riportò l’attenzione sul computer e riprese a scrivere. Le sue unghie lunghe ticchettavano sui tasti.
“Blue?” disse. “Blue. Blue. Blue. Ah, ecco. Christopher John Blue, terza media.”
“Oh no, quello è mio fratello,” rispose Oliver. “Io sono Oliver. Oliver Blue.”
“Non vedo nessun Oliver,” rispose lei disinteressata.
“Beh… eccomi qui,” disse Oliver abbozzando un sorriso. Dovrei essere nell’elenco, da qualche parte.”
La segretaria non parve per nulla colpita. Tutto quello sfacelo non lo stava minimamente aiutando con il suo nervosismo. La donna riprese a scrivere, poi emise un profondo sospiro.
“Ok. Ecco. Oliver Blue. Prima media.” Si voltò sulla sua sedia girevole e gettò una cartella di documenti sulla scrivania. “Hai il tuo programma, mappa, contatti utili, eccetera, tutto qua dentro,” disse picchiettando pigramente con una brillante unghia rossa sulla cartellina. “La tua prima lezione è inglese.”
“Bene,” disse Oliver prendendo la cartella e infilandosela sotto al braccio. “Lo parlo bene.”
Sorrise per lasciar intendere che si trattava di una battuta. La segretaria piegò leggermente un lato della bocca, mostrando un’espressione che poteva assomigliare a divertimento. Rendendosi conto che non c’era altro da aggiungere, e percependo che la donna avrebbe gradito vederlo sparire, Oliver uscì dalla stanza con la sua cartella stretta in pugno.
Una volta tornato nel corridoio, la aprì e iniziò a studiare la mappa, cercando l’aula di inglese e la sua prima lezione. Era al terzo piano, quindi Oliver si diresse verso le scale.
Qui i ragazzi che si spingevano e che sgomitavano sembravano ancora più ‘sgomitanti’. Oliver si trovò risucchiato in un mare di corpi, spinto su per la scala insieme alla folla piuttosto che per sua propria volontà. Dovette passare a forza in mezzo alla calca per arrivare incolume al terzo piano, dove arrivò ansimante. Non era certo un’esperienza che bramava di ripetere più volte al giorno!
Usando la mappa come guida, Oliver trovò senza difficoltà l’aula di inglese. Sbirciò attraverso la finestrella sulla porta. Era già mezza piena di studenti. Sentì lo stomaco che si contorceva per l’angoscia al pensiero di incontrare gente nuova, di essere visto, giudicato e valutato. Spinse giù la maniglia della porta ed entrò.
Faceva bene ad avere paura, ovviamente. Aveva fatto questa cosa talmente tante volte da sapere bene che tutti si sarebbero girati a guardarlo, curiosi di sapere chi fosse il ragazzo nuovo. Oliver aveva provato questa sensazione ben più volte di quanto volesse ricordare. Cercò di non guardare nessuno negli occhi.
“E tu chi sei?” chiese una voce rude.
Oliver si girò e vide l’insegnante, un uomo anziano con i capelli sorprendentemente bianchi, che lo guardava dalla cattedra.
“Sono Oliver. Oliver Blue. Sono nuovo.”
L’insegnante si accigliò. Aveva gli occhi piccoli, neri e sospettosi. Fissò Oliver per un tempo penosamente lungo. Ovviamente questo si unì allo stress di Oliver, perché ora anche i suoi compagni di classe stavano prestando una maggiore attenzione nei suoi confronti, mentre altri ancora entravano dalla porta. Un pubblico sempre più grande lo guardava con curiosità, come fosse una specie di spettacolo da circo.
“Non sapevo che me ne avrebbero mandato un altro,”